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Nella lingua italiana, “orfano” è il figlio a cui mancano i genitori. Esiste anche un altro termine: “orbato”. Come se venisse a mancare la luce ai propri occhi. È terribilmente vero. (Fabrizio Caramagna)

Cari Lettori, il Natale, a ben riflettere, rappresenta il momento simbolicamente e laicamente più importante, perché identifica “la venuta al Mondo”.

Aprirsi alla vita con, infinite, nuove possibilità: cosa può esserci di meglio?

Ma, se questa nascita, è solo la prefazione di un libro la cui trama è intrisa di dolore e sofferenza, da osservatori, come valuteremmo colui (o coloro) che genera(no) e colui (o colei) che nasce nel dolore, vive nell’angoscia e muore in solitudine?

Non ci riferiamo soltanto al “povero Cristo” (detto senza alcun intento sacrilego) di Betlemme ma, anche e soprattutto, alla caducità dell’Essere Umano. Nella sua interezza.

Nell’analisi condotta sugli Agnelli più famosi della Storia (dopo il Senatore Giovanni Senior) e, cioè, Giovanni, Susanna e Umberto , abbiamo potuto osservare il prezzo che si paga nell’appartenere ad un empireo controverso. Ci riferiamo, non solo alla famiglia tutta, orfana del Padre Edoardo e schiacciata dal nonno Giovanni ma, anche a personaggi come Giorgio (che ha terminato i suoi giorni in una struttura psichiatrica), Giovanni Alberto (morto a soli 33 anni, dopo l’inganno di essere stato falsamente designato a Condottiero della galassia FIAT), Lapo Elkan (che attraverso i suoi comportamenti alquanto “borderline” ha tentato di ribellarsi a un’etichetta asfissiante).

Potremmo continuare ancora a lungo ma un’immagine di struggente tristezza (che abbiamo scelto come riferimento di copertina) ci ha ricordato Edoardo jr, l’unico in grado di fronteggiare pubblicamente il Padre Gianni. E, non tanto per un Edipo non risolto (perché dubitiamo di un forte attaccamento alla mamma Marella) quanto, piuttosto, per il bisogno di essere riconosciuto (soprattutto dal Padre) come Essere a sé stante, con il necessario e consequenziale rispetto.

Perché, se è vero che, il Padre, è la radice più robusta, è altresì vero che, il figlio, deve rappresentare l’albero più promettente.

La domanda di padre che oggi attraversa il disagio della giovinezza non è una domanda di potere e di disciplina, ma di testimonianza. (MASSIMO RECALCATI)

Cari Lettori, il Natale celebra l’arrivo di un figlio. Noi, vorremmo riflettere un attimo sulla figura del Padre da cui, quel figlio deriva.

E, siccome da che Mondo è Mondo abbiamo immaginato una (o più ) Divinità in funzione della nostra capacità immaginativa, ecco che modificando la percezione dell’idea di Padre nell’Immanente, cambia anche il rapporto con l’Autorità nel Trascendente.

Il rapporto fra padre e figlio, in ogni epoca si è evidenziato con modulazioni diverse ma, identiche, nella sostanza.

Nel nostro tempo, il rapporto è dominato dalla “evaporazione”, della figura del padre.

Ciò è dovuto sostanzialmente a due ordini di motivi: uno politico, l’altro di dinamica e mutamento sociale.

Il fattore politico è legato a quel risveglio di coscienze che ha preso universalmente il nome di “Sessantotto” che, accanto ad una giusta lotta all’autoritarismo, ha disgregato anche elementi di forte positività.

Il fattore sociale è legato alla Società dei consumi che ha infranto il concetto di limite, proponendo il godimento continuo e teorizzando che tutto è possibile.

Tutto ciò costituisce un duro attacco alla figura del padre che tra i suoi doveri ha invece quello precipuo di ricordare al figlio che ci sono limiti, che ci sono regole.

La crisi del Padre è, a livello cinematografico, espressa in modo mirabile nel film “Habemus papam” di Nanni Moretti.

Il Papa non ha più la Parola, non sa che dire al popolo dei fedeli. Impotente chiede al popolo di pregare per lui.

È un Padre (grandioso Michel Piccoli) che torna bambino, certificando così il naufragio del proprio ruolo.

Che fare?

Non ci resta che impostare il rapporto fra Padre e Figlio su basi diverse.

È necessario prendere atto che la figura patriarcale del Padre è da archiviare.

Dobbiamo, altresì, liberarci anche dalla convinzione che il Padre sia esclusivamente “maschile”. Il padre non coincide con lo spermatozoo ma, semmai, con una figura molto più complessa e legata creativamente ai tempi.

Il Padre, attraverso i propri atti, deve mostrare che la vita può avere un senso.

Il rapporto col Figlio diventa fisiologicamente conflittuale perché, il Padre, deve sempre ricordare il limite e, nello stesso tempo, è suo compito, nel fuoco della polemica, adoperarsi per il trasferimento del “desiderio” da una generazione all’altra.

Cari lettori, a ben riflettere, la rabbia di Dio di fronte ai suoi due figli (Adamo ed Eva) che hanno osato sfidare la sua Parola, potrebbe essere intesa secondo questo assioma costituendo, quindi, una rivoluzione di fronte al concetto di Peccato Originale inteso, quindi, non più alla stregua del più Delitto di tutti i Delitti ma, semmai come una trasgressione da cui deriva la “spinta” genitoriale a volare fuori dal nido, per scoprire il Mondo in ogni sua sfaccettatura di splendida Gioia o di sadico Dolore.

Come ci ricorda Massimo Recalcati, c’è Padre ogni volta in cui il padre si mostra come testimone del desiderio.

Il padre consapevole deve operare un “taglio”, staccando il figlio dalla Famiglia per consentirgli di scrivere, in Libertà e Autonomia, la propria Storia.

Compito del padre, in buona sostanza, è “dematernizzare” la lingua trasmettendo il senso della Legge affinché, il figlio, contamini positivamente ogni altro “fratello”

È significativo il fatto che, ogni volta che si esaminano i conflitti padre /figlio, la figura del padre, che non è in grado di leggere i segni dei tempi, esce sempre “sconfitta”.

Uno dei documenti più importanti a questo proposito è la tremenda lettera che, appena ventenne, Giacomo Leopardi scrisse al padre Monaldo.

Giacomo mette impietosamente in evidenza come il Padre tratti i figli alla stregua di marionette. Lui, il puparo, diremmo oggi, ha elaborato progetti per i figli, c’è un piano di cosa dovranno fare che non potrà essere rifiutato.

Tornando alle riflessioni degli Agnelli, con Gianni abbiamo un padre che, in aggiunta, risulta pericolosamente legato alla figura di Narciso e vive in un mondo che lui vorrebbe ignorasse le differenze tra generazioni.

Dal padre padrone al padre assente, stiamo costruendo una società di orfani (Papa Francesco)

Telemaco, in perenne attesa, è pertanto “icona simbolica” di un figlio alla ricerca della sua figura paterna perduta la quale, con la sua assenza, (in qualunque modo essa avvenga) si presenta come mancanza di eredità per i figli che sono completamente privi di ogni eredità paterna e familiare.

Senza Ulisse (se vogliamo stare ancora nel mito), il processo dell’ereditare sembra venir meno e, senza di esso, non si dà possibilità di trasmissione del desiderio da una generazione all’altra.

Siamo fantocci nelle mani di Dio che, forse, sono le nostre mani (A. Porchia)

Ed ecco che ogni anno, una volta l’anno, inconsciamente, esorcizziamo la nostra condizione di orfani, provando (avendone le potenzialità) a darci una nuova possibilità attraverso la celebrazione del ricordo della “Natività”.

E, allora, esiste un “vero” significato del Natale?

Quante belle “letterine”, quanti propositi. Ci sono, finalmente, i buoni a zittire i cattivi! E quante preghiere moltiplicate per dieci, quanto desiderio di un incontro, di un ascolto, per accorciare le distanze, per mettere pancia a terra la paura, per risultare infine persone migliori.

Natale porta spesso con sé il carico del coraggio di un qualcosa che inizia (come se fosse la prima volta, anche se si ripete da più di 2000 anni…) non soltanto attraverso le parole che fanno scintillante la notte ma, soprattutto, nel risveglio in mezzo al buio, di traverso a una tempesta silenziosa, innanzi a due occhi bellissimi che scuotono.

Due occhi lucidi e profondi come l’anima che traspare al di là della coscienza, della ragione che indaga e accusa. Con le mani fredde ed il cuore in gola, il respiro che non esce, il dolore nei polmoni salire alla gola e fare fatica a respirare. 

Cari Lettori, la vita di ciascuno dovrebbe essere connotata dalla disposizione del proprio animo a fare del bene.

Questo, secondo gli antichi Greci e Romani, richiama a quelle Virtù in cui, probabilmente, Amore, Saggezza, Verità, Giustizia e Bontà, convergono a creare la Stella a 5 punte che ha brillato, la sera del 24 dicembre dell’anno “zero”, per indicare la nascita del Re dei Re.

Secondo quello che la Scienza moderna ci spiega (attraverso la Teoria del “Tutto” di Stephen Hawking) quella specifica “luce”, è tipica della completezza di sviluppo che giustifica la presenza, sulla Terra, dell’Essere umano.

A livello potenziale, quest’ultimo possiede la forza che ha generato l’intero Universo: nasce dal raffreddamento della polvere delle Stelle e, di esse, mantiene i segreti della Vita.

Dalla persona retta e corretta (o “giusta” e “perfetta”, rispetto ai Disegni di Ciò che ha creato il “Tutto”) esce sempre una luce, una luce che rasserena, una luce che nutre, conforta, guarisce, purifica e vivifica.

Quella luce (che si promana attraverso fotoni di energia che trasportano informazioni aderenti a Leggi di Natura) verrà notata (anche da lontano) da coloro che percepiscono che qualcosa di speciale si sta manifestando. Una sorta di nuovo Big Bang.

Il termine “Cristo” è la traduzione greca di un termine ebraico (“unto”) dal quale proviene l’italiano “Messia”. Il significato di questo titolo onorifico deriva dal fatto che, nell’antico Medio Oriente, personaggi importanti come Re, Sacerdoti e Profeti, venivano solitamente scelti e consacrati tramite l’unzione con oli aromatici di purificazione.

Ciò che si manifesta dalla “Luce” è, appunto il Cristo (che, potenzialmente, “dorme” in ognuno di noi) e chiunque, anche chi esercita il Potere, non può non esserne attratto.

Ritornando alla natività più famosa della Storia, anche i grandi capi religiosi che credevano di aver raggiunto il vertice, percepiscono inconsapevolmente che, nonostante tutto, manca loro qualcosa rispetto al grado di spiritualità assoluto. E vanno ad apprendere, a inchinarsi, a portare dei doni.

Ecco la ragione della presenza dei tre Re Magi che onorano quel Bambino simbolo della nuova speranza di una sezione aurea che confermasse l’esistenza di un rapporto tra macrocosmo e microcosmo, tra Dio e l’Essere Umano, l’Universo e la Natura: un rapporto tra il tutto e la parte, tra la parte più grande e quella più piccola che si ripete all’infinito attraverso infinite suddivisioni.

L’ORO significava che Gesù era un RE. Il colore giallo, infatti, identifica la SAGGEZZA, il cui splendore brilla sopra il capo di chi genera Luce.

L’INCENSO evidenziava che Gesù era un SACERDOTE perchè, questa particolare resina rappresenta, sul piano religioso, il Cuore e l’Amore.

La MIRRA simboleggiava l’IMMORTALITA’: infatti serviva per imbalsamare i corpi e preservarli dalla decomposizione.

Ecco perchè, Natale, non è solamente ricorrenza di meravigliosi balocchi e colori accesi che s’innalzano al cielo.

Ecco perchè deve diventare la ricerca di boccate d’aria rimaste troppo tempo imprigionate, incatenate in attimi di vuoto e di pieno, di vita sospesa. Quella culla e quei due occhi come lune inchiodate, quel volto che non si è mai finito di conoscere, ma che è ora di “sentire” tutt’intorno.

Natale non sta solo a una data, è piuttosto un pensiero che fuoriesce e taglia di netto il sentiero praticato a occhi bendati, sgretola le abitudini consolidate, i sussurri che impongono i piedistalli delle parole a paravento che non stanno scritte da nessuna parte.

La culla è là…

il Bambino tace, ma non è silenzio, assorda, discosta e cancella le celle, i muri e gli steccati. La presenza si espande, rimbalza, prosegue e non smette la sua corsa, neppure quando cadiamo in ginocchio, spossati, svuotati di noi stessi.

Io penso che Dio, durante Auschwitz, pregasse. Me lo immagino inginocchiato, davanti alla foto di un bambino impiccato, mentre prega. Noi preghiamo Dio. Lui pregava gli uomini, che non lo hanno ascoltato. Onnipotenti nell’orrore, sono stati gli uomini. Lui soffriva e non gli restava che pregare. (Walter Veltroni – “Noi”)

Padre, perché mi hai abbandonato?

E ritorna l’immagine di quel giovane, laureatosi in Storia ad Indirizzo Teologico, mai psicologicamente “individuato” né tantomeno “riconosciuto” che affermava di voler prendere le distanze dai valori del capitalismo e sosteneva di volersi dedicare all’approfondimento dell’essenza spirituale…

Un giorno di novembre del 2000 un signore di Roma era nell’ufficio di Gianni Agnelli a Torino per parlare d’affari. All’improvviso si aprì la porta, entrò Edoardo come una furia ed esclamò: “Sei stato capace di farmi anche questo! Hai fatto una cosa per Luca (Montezemolo N.d.R.) che, per me, non hai mai fatto in tutta la mia vita. E non saresti nemmeno mai stato capace di fare”. Sbattè la porta e se ne andò. Una settimana dopo, fu rinvenuto alla base del trentacinquesimo pilone del viadotto autostradale “Generale Franco Romano” della Torino-Savona, nei pressi di Fossano. La sua Fiat Croma, con il motore ancora acceso e il bagagliaio socchiuso, parcheggiata a lato della carreggiata, 80 metri più sopra. (Gigi Moncalvo)

Siamo come due occhi lucidi che bagnano lo stesso viso, distanti tra loro senza mai incontrarsi, ma che vivono dello stesso sguardo. (Marco Vannoli)

Cari Lettori, queste bellissime riflessioni del poeta Marco Vannoli ci riportano alla struggente foto di copertina nella quale, Gianni ed Edoardo, diventano due “Figli” che, con lo sguardo, cercano il Messia in un Natale che diventa speranza di riunione nel nome del Padre e del Figlio, uniti nella trinità di uno Spirito indissolubile e, per ciò, Santo.

È Natale. E quel Bimbo che dorme, ci conferma una volta di più che Dio non è morto.

Lacrime di pioggia

Lacrime di pioggia, il tuo ricordo mi parla. Dalla mia finestra io guardo il mondo che passa. Ed ogni giorno ci sarai, ogni minuto che vorrai, ad ogni passo nella vita.
E quale strada sceglierai, che direzione mi consiglierai, ad ogni passo della vita.

Sei solo un’ombra, io che ho creduto e credo in te. Tutto l’amore che hai per me (Ma la tua voce mi parla), ridallo al cuore di tua madre.

Dalla tempesta, e molto presto capirai che tutti gli anni che vivrai (Dal grande sogno del nulla) Cancellano i peccati suoi. Nei suoi pensieri io vivrò, con le sue mani ti accarezzerò, ad ogni passo della vita
Stringila forte quando avrà paura, che c’è il mio amore che non l’abbandona, ad ogni passo della vita

Lacrime di pioggia, il tuo ricordo mi parla, Dalla mia finestra io guardo il mondo che passa

Lacrime di pioggia

“Era là. Senza né corteccia né foglie. Ma era felice: custodiva un nido” (Angelo Branduardi)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto  e a Vincenzo Andraous per l’affettuosa collaborazione

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