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“L’amore per le cose, per le persone, per le piante, per i fiori, per la musica, per lo studio è la cosa più importante di tutte”. (Susanna Agnelli)

Il nome Susanna, ha radici molto antiche. Oltre che dal Latino e dal Greco antico, trae spunto dall’Ebraico antico (con il significato di “giglio”, quindi: “purezza e castità, nobiltà e fierezza d’animo, innocenza e candore”) e dall’Ebraico moderno (con il valore di “rosa” e, di conseguenza: “amore, devozione, ammirazione, bellezza e perfezione”). La diffusione iniziale del nome è dovuta, probabilmente, sia alla donna del libro di Daniele dell’Antico Testamento (che, accusata falsamente di adulterio, viene aiutata dal profeta) che da quella del Nuovo Testamento la quale, da discepola di Gesù, porta la Mirra al suo sepolcro.

Cari Lettori, dopo esserci occupati, qualche editoriale tempo fa, di Gianni Agnelli, colto in tutta la sua poliedricità contrappuntata da narcisismo e solitudine, quest’oggi ci soffermeremo sull’anticonformismo “equilibrato” di Susanna Agnelli, scomparsa a 87 anni il 15 maggio del 2009. Chiuderemo il “cerchio” affrontando anche la triste melanconia di Umberto Agnelli

Questa analisi di una famiglia tanto potente quanto controversa ha, come unico obiettivo, quello di ritrovare “tracce” di aspetti caratteriali che, in modo o nell’altro, possano appartenere a ognuno di noi e occuparci, quindi, attraverso questo “escamotage” (parlare della famiglia Agnelli) di come capire, comprenderci e (possibilmente) vivere meglio.

A proposito di “Suni” (come era affettuosamente chiamata) l’Economista americano James Galbraith ha, così, avuto modo di definirla: “Elegante. Perspicace. Caritatevole. Raconteur. Patriota. Umanitaria. Le parole non riescono a cogliere il suo spirito, il suo raggio d’azione, la sua profondità”.

Corto, chiaro e corretto

Queste, le linee guida cui attenersi, per potersi interfacciare con lei.

Terza dei sette figli di Edoardo Agnelli e Virginia Bourbon del Monte, influenzata dell’austera società sabauda e da una rigida educazione inglese ha creato, in sé, accanto a un carattere temprato dai dolori della vita, anche un forte desiderio di libertà che ha “espresso” fin da giovanissima (come sublimazione della perdita prematura del padre e dei conflitti fra la madre e il nonno) con una non comune abilità di occuparsi degli altri (anche in forza del suo cattolicesimo liberale) tra l’altro, come crocerossina sulle navi ospedale e autista di ambulanze.

Oggi non si insegna più a dire grazie. Viene preso per scontato il ricevere un regalo o una gentilezza.

Qualcuno ha scritto che, dopo i dieci anni vissuti in Argentina (fino al 1958) e la separazione dal Conte Urbano Rattazzi (il 1964), con sei figli al seguito organizzò la sua vita intorno a tre “pilastri” fondamentali:

  • Il lavoro e la Famiglia
  • Il ruolo politico
  • L’impegno nel Sociale

Mia sorella Suni è stata la mia vera amica, forse anche perché è la più vicina a me per età (Giovanni Agnelli)

Premurosa con tutti i congiunti e, in particolare, col “Dominus” Gianni (cui teneva testa al punto da essere definiti, entrambi “Zeus” e “Giunone”), oltre che curare rubriche editoriali su diversi giornali scrisse degli interessanti libri, fra cui, “Addio, addio, mio ultimo amore” (prendendo spunto dalle sua esperienza di sindaco, delinea  una precisa denuncia dei contradditori meccanismi burocratici e politici che impediscono una giusta e democratica soluzione dei problemi nazionali) e il più famoso “Vestivamo alla marinara”.

In questo romanzo (premio “Bancarella”), l’autrice parla della sua famiglia e degli anni della adolescenza e fanciullezza.

“Don’t forget you are an Agnelli!” (Miss Parker, Governante di casa Agnelli)

Da anticonformista equilibrata, fa riferimento a momenti passati della propria famiglia senza oscurare situazioni anche delicate. Persona intelligente, oltretutto, sapeva che la storia della sua dinastia non era qualcosa di privato ma anche pubblica come accade alle famiglie importanti, sempre sotto i riflettori della stampa più o meno benevola.

Il successo del libro e la tematica dell’infanzia e giovinezza di una famiglia così nota, attirarono l’attenzione di un importante regista come Mauro Bolognini che, siamo certi, ne avrebbe realizzato un’opera cinematografica  degna  di nota.

Questo non avvenne per l’opposizione dell’avv. Gianni Agnelli, il dominus e custode del buon nome della Famiglia, che comprò i diritti del libro impedendone, di fatto, la circolazione in dimensione “filmica”.

Che c’era di così pericoloso nel romanzo? Il fastidio di vedere fatti privati portati all’attenzione di molti?

Probabile. Ma, il motivo più profondo, era quello di proteggere l’immagine della madre Virginia.

La famiglia Agnelli è stata accompagnata, nei decenni, da grandi successi ma anche da grandissimi dolori. Il papà di Gianni, Susanna e Umberto morì, in un incidente aereo, nel 1935 e la madre Virginia perirà, nel 1945, in un incidente stradale. 

Tra la morte del marito e la sua tragica e prematura fine, vi fu un decennio che Virginia visse in modo da avere il senatore Giovanni Agnelli sempre aspramente contro.

Dopo la morte del marito Edoardo, iniziò una intensa relazione con il giornalista e scrittore Curzio Malaparte che avrebbe voluto pure sposare.

Il suocero fu intransigente e si oppose con forza. Da lì problemi di vario tipo che, data l’epoca, erano considerati motivo di scandalo.

I figli vissero, sia pure con la protezione ovattata, quel delicato periodo e certo ne risultarono internamente toccati.

Eravamo ancora giovani e non sapevamo che, dietro l’angolo, la vita non sarebbe stata fatta di alberi in fiore.

Per Gianni, probabilmente, riaprire quei discorsi era come riaprire un periodo infelice della vita familiare.

Per Susanna, invece, era un modo, attraverso la mediazione della scrittura, di fare i conti col passato

“Volevo organizzare un gruppo di ambulanze che seguissero le armate alleate e potessero trasportare i feriti civili agli ospedali. Alle ambulanze militari era proibito caricare civili. Sono riuscita a trovare cinque macchine Fiat che potevano essere convertite in ambulanze. Ho indotto il quartier generale della Croce Rossa ad autorizzare la formazione di un gruppo di ragazze volontarie per guidare le ambulanze; ho ottenuto che gli Alleati ci concedessero la benzina e le razioni militari; ho trovato dieci ragazze che erano pronte a fare un corso di addestramento e poi a farsi militarizzare fino alla fine della guerra”.

A proposito del suo impegno politico, spinta dal desiderio di proteggere il “suo” territorio  è stata Sindaco (o, Sindaca, che dir si voglia) dell’Argentario nelle fila del partito Repubblicano, dal 1974 al 1984

Si dice che fosse molto attenta ai problemi dei cittadini amministrati e che, durante i terribili incendi del 1981, riuscì ad ottenere dal Presidente Mitterrand gli indispensabili Canadair.

Eletta alla Camera dei Deputati nel 1976, al Parlamento Europeo nel 1979 e al Senato nel 1983.

Ho detestato i miei anni in Parlamento quanto detestai quelli al liceo Azeglio di Torino. Una perdita di tempo di una inutilità infinita.

Benché intollerante agli intrighi politici, ha ricoperto cariche ministeriali: è stata la prima donna italiana sia Sottosegretario agli Esteri di cinque governi (1983-1991), sia Ministro degli Esteri del Governo Dini (1995-1996).

Da poco in Farnesina spiegò allo staff il suo approccio:

Si può lavorare molto bene e ridere. Si può lavorare, viaggiare, fare dei discorsi e allo stesso tempo divertirsi. Perciò, smettete di fare una faccia come se andassimo sempre ad un funerale e, per altro, dimezzate la lunghezza dei miei discorsi che, comunque, nessuno ascolta.

Eminentemente portata per questi ruoli, parlava l’inglese, il francese e lo spagnolo bene quanto la lingua madre e conosceva numerosi leader mondiali, da Henry Kissinger all’Aga Khan.

Grande europeista, forse il passo di maggiore rilievo in politica internazionale è stato compiuto nel 1995, quando annunciò la sospensione del veto italiano all’avvio dei negoziati di accesso della Slovenia all’Ue, un gesto di fiducia nella volontà degli sloveni di risolvere l’annosa questione dei beni immobili lasciati dai profughi istriani.

Il terzo Pilastro, ha riguardato il suo impegno nel Sociale.

L’amore non è un dovere, è una grazia. Bisogna averne molto dentro di sé per poterlo dare agli altri.

Anzitutto, Presidente della Scuola per Infermiere Professionali “Edoardo e Virginia Agnelli” (dal 1945 al 1977) e, a seguire, delegata della Lega delle Società della Croce Rossa in Vietnam (nel 1967) e parlamentare europea impegnata a favore dei profughi cambogiani. Nel 1990 ha creato e presieduto (dal 1992 al 2009) la Fondazione Telethon   Nel 1997 fonda “II Faro” per formare e inserire, nel mondo del lavoro, giovani in difficoltà, prevalentemente immigrati.

In buona sostanza, la “nostra” Susanna, non si chiuse mai nel bozzolo di un cognome che da solo faceva storia, ma sentì forte l’esigenza di stare a contatto delle persone, con attenzione ai luoghi amati.

Del resto in queste grandi Famiglie che lo sviluppo industriale ha reso depositarie di ingenti capitali (si parla di oltre un miliardo di Euro, solo per Giovanni Agnelli) i personaggi più importanti vanno, una volta riconosciuta l’egemonia del capo, ognuno per la propria strada, come accadeva nei secoli passati per i non primogeniti dei vari casati.

Merito di Susanna Agnelli è stato quello di costruirsi un percorso di vita originale e tutto suo vivendo nelle problematiche di un mondo che anelava il nuovo ma ancora era impastoiato nel vecchio.

Il mondo antico, da cui pure ereditava privilegi e benessere, interessava a Susanna solo come momento memoriale recuperabile solo con la scrittura. Per il resto era, come per tutti noi, perduto per sempre.

Cari Lettori, rifacendoci alla particolare immagine di copertina, ci piace accostare la figura di Susanna Agnelli al personaggio di Holly Golightly di “Colazione da Tiffany” in versione riveduta e corretta, però. Se, nel famoso film del 1961 (interpretato da Audrey Hepburn e George Peppard) la protagonista accetta soltanto alla fine di aprirsi all’Amore, la terzogenita di casa Agnelli, compresa fin da subito l’importanza dei sentimenti che contribuì ad elargire, nella passione di ogni giorno.

Ci è sembrato giusto, quindi, scegliere per accomiatarci, la colonna sonora del film, composta da Henry Mancini: “Moon River”

Moon River

Più largo di un miglio

Ti attraverserò come si deve

Un giorno

Vecchio creatore di sogni

Tu che infrangi i cuori

Ovunque tu stia andando

Ti seguirò

Due errabondi

Alla scoperta del mondo

C’è così tanto mondo

Da vedere

Ricerchiamo la stessa felicità

Aspettando dietro l’ansa del fiume

Il mio amico per la pelle

Moon River

Ed io

Guardo il mare che ieri era una lavagna d’acciaio, sconfinante senza interruzioni nel cielo, e oggi è ritornato mare, vivo, increspato, palpitante. Come la vita: mai uguale, mai monotona, sempre imprevedibile. (Susanna Agnelli)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la collaborazione

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