Opera meno nota, sicuramente sottovalutata, “Suo marito” è un libro umoristico, perché spassoso e tragico insieme: spassosi e tragici sono i suoi personaggi, spassose e tragiche le sue scene, la sua trama, che ricalca per altro il vissuto, la scandalosa vicenda di Grazia Deledda, scrittrice nonché donna emancipata. I l potenziale lettore che si accinge a leggere il romanzo, resterà un po’ sbalordito perché per quanto si possa dire circa la misoginia e l’antifemminismo dell’autore, dalle prime pagine affiora nondimeno la ridicolizzazione dell’uomo e la sua crisi virile. Questa scaturisce sin dal primo personaggio che incontriamo: Raceni, figura chiaroscurale. E che dire dell’ambiente mondano, ipocrita dei cenacoli culturali a Roma? E che dire di Giustino Boggiolo marito della scrittrice Silvia Roncella?
Pirandello non risparmia nessuno nella sua disamina, nella sua critica all’arte affettata, per questo non pura, ma soprattutto nella sua fustigazione contro il femminismo. Emerge chiaramente questo aspetto: la donna emancipata deve rinunciare ad essere moglie e madre, allora il Nirvana del successo si schiuderà ai suoi occhi. La protagonista, è Silvia Roncella, personaggio passivo, investita da una crisi d’identità: ella si vede vivere, si sente troppo distante da se stessa. Avverte la degenerazione dell’ambiente cui è tristemente costretta a far parte, quello romano appunto, cosi come avverte la deformità del marito, la sua comicità. Subito dopo il parto cui nessuno assiste, Silvia viene spedita in Piemonte dalla suocera con il neonato e lo zio.
Ma che persona è Silvia Roncella?
Benché Pirandello dedichi molto spazio ai suoi monologhi , mi sembra muta e statica, non per questo priva di profondità psicologica. Mi appare fragile, ingenuo impasto di riservatezza e semplicità, per nulla paragonabile a Dora Barmis, che seppur conturbante e sensuale è una scrittrice fallita ma anche una donna fallita.
Giustino è un damerino, un affarista quando vuole, ma ama sinceramente la moglie. Le sue lacrime sono vere quando Silvia lo abbandonerà. Giustino è ridicolo vorrebbe prepotentemente far parte di un mondo che non sarà mai suo, sebbene il ruolo di manager ficcanaso gli si addica. La coppia Frezzi- Gueli è in ogni modo speculare e opposta a quella Roncella- Boggiolo. Gueli e Roncella sono oppressi e soffocati dai rispettivi compagni, ed entrambi hanno una doppia personalità.
La Frezzi e Boggiolo sono entrambi personaggi focosi ed intransigenti. A parer proprio il personaggio più bello del libro è la Frezzi: mi piace la sua intransigenza, quella che i critici, chiamano pazzia, quella sua condizione di perversione mentale che non è assolutamente gelosia, ma piuttosto coerenza. Il suo è un percepire la realtà dossica come assurdo.
Certo, la Frezzi agisce come una psicopatica perché ferisce quasi mortalmente il marito, ma mi piace questo suo “fondamentalismo” la piena aderenza e consonanza alle sue idee. Mi piace quando dice di non volersi donare al mondo, di non volersi svelare agli altri neppure con un sorriso, mi piace, mi diverte nel tentativo impossibile di trattenersi tutta in se, e tutta ostinatamente in se rendendosi cosi impermeabile a qualsiasi impulso esterno, perché il gesto più banale, come un gesto di compiacenza svilisce il suo valore. Il suo trincerarsi la impreziosisce.
Se fosse stata lei la protagonista del romanzo questa storia non sarebbe mai stata creata perché la Frezzi non si sarebbe ma i concessa alla realtà in maniera così gratuita come fa una scrittrice affermata con i suoi libri. Ma soprattutto lei non si sente percepita, ma percepisce, nella sua smania di voler controllare il marito. Il fin dei conti lo ha sedotto per il suo sdegno, per la sua nausea verso la letteratura che consacra gli uomini alla fama, per questo insulsa. E’ acredine il sentimento che prova per la mercificazione dell’arte.
Per lei è inconcepibile perché vendere un’opera personale equivarrebbe a vendere una parte di se, la più bella…. Significherebbe per lei scomplessare una vita intera, smontare il senso comune delle cose.
Pirandello, nel demolire quella quarta parete che divide il teatro dal lettore non fa che offrirci un chiaro esempio di quanto sia vana l’affettazione e la stucchevolezza di Giustino. Silvia lo disprezza perché cavalca l’onda del suo successo, quello che non avrebbe mai potuto raggiungere.
Silvia al suo ritorno è una donna algida anche un po’ feroce perché Giustino non ha saputo capire la sua solitudine dopo la morte dello zio Ippolito Roncella. Lo stillicidio di divenir folli innesca un processo di autocoscienza nella donna: comincia a capire che la vita nel villino, prigione dorata con tanto di servitù e mobili ducrot, non fa per lei comincia quindi a “capire il giuoco” divenendo quindi una forestiera della vita come dice Pirandello stesso. Prende quindi le distanze da quel mondo che tanto l’aveva fagocitata cui era entrata a forza.
Lascia Giustino per Maurizio Gueli anche se questa fuga d’amore (amore?) non durerà molto. Giustino è allora un uomo distrutto, disperato. E’ il dramma dell’uomo solo, che perde il suo lavoro, la sua donna, la vita. Il finale è più che mai tragico e struggente: muore il figlio, quel bambino che non è mai nato per sua madre.
Colui che conosceva il mondo con gli occhi dei suoi giocattoli: una barchetta, un pagliaccetto, un cavalluccio a dondolo. Un mondo mai suo, se non in quel piccolo cavalluccio a dondolo, che sapeva di cartapesta, in quella barchetta con le vele spiegate, in quella trombetta di latta, in quel pagliaccetto che rideva e batteva i cembali di scatto. Silvia Roncella versa lacrime di dispiacere per la morte del figlio ma in quelle lacrime c’è anche molta vergogna, per aver letteralmente scaricato il bambino alla suocera piemontese.
Questo spiega quanto la maternità non possa mai conciliarsi con le esigenze della letterata, con il capriccio -nella fattispecie- dell’emancipazione. Nel caleidoscopico libro pirandelliano, questo e molti altri temi nondimeno attuali vengono toccati, ad esempio quello religioso: è bellissima quanto simbolica l’immagine della chiesina di campagna che reca il motto “ognuno a suo modo”, quasi di reminiscenza delfica.
Infine altrettanto belli i paesaggi, gli impressionisti “prati sonori” e gli espressionisti “alberi pazzi dai rami pazzi, convulsi”.
Valeria de Stefano (5 dicembre 2003)