Sarebbe il caso (anzi, è il caso) che tutti i vocabolari dell’uso emendassero l’etimologia del granturco, cioè — come si legge nel Palazzi — quella «pianta delle Graminacee, originaria dell’America, con grosso caule, larghe foglie, frutti bianchi, gialli o rossi, portati da grosse e fitte spighe chiamate pannocchie, da cui si ricava una farina per far polenta». Perché? Perché tutti i dizionari danno all’aggettivo turco il significato di “coloniale”, “esotico”, “straniero”, “forestiero”. Granturco o granoturco significherebbe, pertanto, “grano esotico”. No, non è cosí. Questo cereale fu chiamato “grano turco” per un errore di traduzione del nome che gli dettero gli inglesi, “wheat of turkey“, cioè ‘grano dei tacchini’, cosí denominati per una certa somiglianza del collo di questi animali a un turbante turco.
A cura di Fausto Raso
Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.