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A che cosa servono le regole se poi i vocabolari “fanno come gli pare”? E ci spieghiamo.
Una norma grammaticale stabilisce che nel plurale i nomi in “-gia” (e “-cia”) conservano la “i” se la consonante “g” (e “c”) è preceduta da una vocale: ciliegia / ciliegie; valigia / valigie; cupidigia / cupidigie. Perdono la “i” quando la consonante “g” (o “c”) è doppia o è preceduta da un’altra consonante: frangia  / frange; reggia / regge. 
I vocabolari consultati (Devoto-Oli, DOP, Gabrielli, Garzanti, Treccani, Zingarelli, Sabatini Coletti), invece, “fanno come gli pare”, consentono entrambi i plurali: “-gie” e “-ge” (valige e valigie; ciliege e ciliegie). Il De Mauro e il Palazzi non registrando il plurale lasciano intendere, quindi, che i sostantivi suddetti formano il plurale secondo la regola grammaticale (e personalmente li seguiamo). A questo punto – anche se consigliamo agli amanti del bel parlare e del bello scrivere di attenersi, per la formazione del plurale, tassativamente alla regola grammaticale – ci domandiamo perché i “sacri testi” continuano/continuino a “propinarci” tale norma.

A cura di Fausto Raso

Pubblicato su Lo SciacquaLingua

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