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Le parti comuni del condominio sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo. Sono identificate nell’articolo 1117 del codice civile, si suddividono in necessarie (quelle costitutive della struttura stessa dell’edificio, tra cui: i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili), di pertinenza (costituite dai locali destinati ai servizi comuni) ed accessorie (comprensive delle opere, installazioni e manufatti che servono all’uso ed al godimento comune).

L’articolo 1102 del codice civile, dettato in materia di comunione ma applicabile al condominio in virtù dell’articolo 1139 cod. civ., stabilisce che ciascun condomino ha diritto di utilizzare i beni comuni purché non ne impedisca parimenti l’uso agli altri aventi diritto o non ne muti la destinazione. Pertanto, il fulcro del problema, fonte di numerose controversie, attiene ai confini ed ai limiti entro i quali il singolo condomino possa legittimamente apportare modifiche alle parti comuni, nel proprio interesse ed a proprie spese.

Un caso frequente, oggetto della recente sentenza della Corte di Cassazione n.13874/2010, è costituito dall’apertura di finestre o dalla trasformazione di luce in veduta su un cortile comune. Nel caso esaminato il condominio ricorrente aveva proposto ricorso per cassazione contro un condomino il quale aveva ottenuto, con sentenza di primo e secondo grado, l’annullamento della delibera assembleare che gli aveva negato la possibilità di ampliare una finestra che insisteva sulla rientranza del fabbricato completamente aperta sul cortile.

La Corte nel ribadire che, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., comma 1, ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per un proprio fine esclusivo, traendo ogni possibile utilità, purchè non alteri la destinazione della cosa comune e consenta un uso paritetico agli altri condomini, ha avuto modo di precisare che i cortili comuni, avendo la finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, possono essere utilizzate a tale scopo dai condomini, ai quali va riconosciuta anche la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni stabilite, in tema di luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprietà esclusiva. Trattandosi di condominio, i diritti e gli obblighi dei partecipanti vanno necessariamente determinati alla luce della disciplina dettata dall’art. 1102 cod. civ., e spetta al giudice di merito stabilire se l’uso della cosa comune sia avvenuto nel rispetto dei limiti stabiliti dal citato art. 1102 “dovendo al riguardo verificarsi se siano contemperate le opposte esigenze, ciò in attuazione di quel principio di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali e che richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione: una volta accertato che l’uso del bene comune sia conforme a tali parametri deve escludersi che sia configurabile una innovazione vietata”.

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