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Il nostro legislatore riconosce il diritto alla pensione di reversibilità al coniuge superstite (articolo 13 del regio decreto legge 636/39, come sostituito dall’articolo 22, legge 903/65), anche se separato o divorziato.

Il trattamento di reversibilità spetta al coniuge superstite anche nel caso in cui sia passata in giudicato la sentenza di separazione per sua colpa o con addebito, senza che sia richiesta la sussistenza del diritto al mantenimento. Lo ha chiarito la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15516 del 16 ottobre 2003.

Nel caso esaminato dalla Corte, la separazione legale era stata pronunciata con addebito ad entrambi i coniugi e non era stato stabilito assegno di mantenimento o altra provvidenza di tipo alimentare a favore della moglie, in considerazione della sufficienza dei mezzi economici a disposizione della stessa, che si era vista negare, dal giudice d’appello, il diritto alla pensione di reversibilità per l’inesistenza di una situazione di bisogno.

La Corte, richiamandosi alla giurisprudenza costituzionalein materia, ha ribadito che il coniuge separato per colpa, o al quale la separazione sia stata addebitata, è equiparato in tutto e per tutto al coniuge superstite -separato o non- ai fini della pensione di reversibilità, specificando che non può negarsi il diritto alla pensione di reversibilità per mancanza di prova dello stato di bisogno, atteso che, a seguito della sentenza costituzionale n.286/87, anche per il coniuge separato per colpa, o con addebito della separazione, opera, ai fini del diritto alla pensione di reversibilità, la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte.

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