Pubblicato su Lo Sciacqualingua
A proposito della “disparità semantica” tra fratricida e sororicida, ci siamo dati una risposta compulsando vari testi.
L’italiano, pur nella sua apparente simmetria morfologica, nasconde talvolta squilibri semantici che sfidano la logica. Uno di questi riguarda la coppia fratricida e sororicida. A prima vista, sembrerebbero termini speculari: il primo indica chi uccide un fratello, il secondo chi uccide una sorella. Eppure, i dizionari ci sorprendono: fratricida viene definito come “chi uccide un fratello o una sorella”, mentre sororicida resta confinato al significato ristretto di “uccisore della sorella”. Come si spiega questa “asimmetria linguistica”?
La risposta – che ci siamo dati – non sta tanto nella morfologia, quanto nella storia e nell’uso. Fratricida è parola antica, attestata nel latino classico e medievale, presente in testi storici, giuridici e letterari. Da Caino e Abele a Romolo e Remo, il fratricidio è un archetipo narrativo, un gesto fondativo e distruttivo che ha attraversato secoli di cultura. Il lessema ha goduto di una fortuna semantica che ne ha ampliato il significato: da “uccisore del fratello” a “uccisore del consanguineo”, fino a indicare chi uccide un connazionale, un compagno, un simile. Il termine frater, in latino, non designava solo il fratello biologico, ma anche il confratello, il compagno d’armi, il correligionario. Questo ha permesso a fratricida di espandersi, inglobando anche la sorella nel suo raggio d’azione.
Sororicida, invece, è un neologismo “moderno”, costruito analogicamente. Il latino soror (da cui deriva sororicida) aveva un significato più ristretto e meno produttivo: indicava esclusivamente la sorella biologica, senza le estensioni simboliche di frater. Di conseguenza, sororicida è rimasto un termine tecnico, usato quasi esclusivamente in ambito criminologico o medico-legale, senza subire quell’ampliamento semantico che ha reso fratricida una parola polisemica e figurata.
La disparità si riflette anche nella codificazione lessicografica. I principali dizionari italiani registrano fratricida con accezione estesa, non così per sororicida, che ha un significato ristretto. Non si tratta dunque di una scelta arbitraria, ma del risultato di una stratificazione culturale: il fratricidio è stato raccontato, analizzato, mitizzato; il sororicidio, al contrario, è rimasto ai margini della narrazione storica e letteraria.
Questo squilibrio lessicale pone una questione più ampia: la lingua non è sempre equa. Alcuni termini si espandono, si figurano, si moltiplicano; altri restano isolati, tecnici, invisibili. Frater ha generato fratellanza, fraterno, confratello, fratellino; soror ha prodotto al massimo sororale, usato in ambito sociologico o medico. La produttività semantica non è simmetrica, e la lingua riflette – e talvolta perpetua – queste asimmetrie.
A cura di Fausto Raso

Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.

