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“SOTTRARRE GLI ANIMALI ALLA CRUDELTÀ” (Emile Zola).

Cari amici, quanto più spesso si sente di maltrattamenti disumani sugli animali, a partire dalle uccisioni a bastonate dei piccoli di foca bianca per non rovinare la pelliccia, per finire alle nostre barbare e locali consuetudini dello sgozzamento dei maiali al fine probabilmente di evitare la rapida coagulazione del sangue. Basta guardare negli occhi questi animali o sentire le loro urla strazianti per capire le sofferenze che stiamo loro impartendo e allora mi chiedo:

Ma se un giorno gli animali facessero questo a noi o ai nostri figli?

Forse basterebbe tale riflessione per farci essere un po’ più compassionevoli… e se esiste una giustizia divina, prima di continuare a infliggere le vostre crudeltà sugli animali, pensate che forse davanti al giudizio di Dio non ci sarà differenza fra uomini e animali: lì, saremo tutti uguali!!! (Francesco Schirinzi)

Cari Lettori, poco più di un mese fa (il 10 dicembre) è stata celebrata la Giornata Internazionale per i Diritti degli Animali. 

La data di questo evento simbolico non è casuale ma si basa sul fatto che, proprio il 10 dicembre, nel 1948, l’Assemblea delle Nazioni Unite ha redatto la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, al cui interno sono stati sanciti il rispetto e la dignità per ogni essere umano.

Cinquant’anni più tardi, nel 1998, l’associazione animalista che ha preso il nome di Centre for Animals & Social Justice ha deciso di istituire la ricorrenza della Giornata Internazionale per i Diritti degli Animali, con lo scopo di estendere i diritti inalienabili non soltanto agli umani ma anche agli animali stessi.

E ciò, anche, perché l’essere umano possa provare, nel rispetto dal “Diverso” da lui, ad emanciparsi dalla condizione egocentrico narcisistica (tipica del bambino) di credersi “IL” centro di ogni attenzione (come accade nel rapporto con la propria Madre) e in diritto di servirsi di TUTTO, per riuscire (finalmente) nel difficile cammino del “sentire” la crescita interiore e, con essa, il senso della VITA.

EQUILIBRIUM – Il respiro…

Ti voglio chiedere una cosa: Perchè sei vivo?

Io sono vivo… io vivo… per salvaguardare la continuità di questa grande Società, per servire l’Idea…

È circolare: tu esisti per continuare la tua esistenza! Ma, qual è, il punto?

E qual è il punto della “tua” esistenza?

“Sentire”. Tu non l’hai mai provato e non potrai mai saperlo, ma è vitale come il respiro. E senza quello, senza amore, senza rabbia, senza dolore, il respiro è solo un orologio che fa tic tac!

Nel 2002, esce Equilibrium, scritto e diretto da Kurt Winner. Questo film, in risposta al celebre Matrix del 1999, prende spunto, in realtà da 1984, Fahrenheit 451 il mondo nuovo.

Le vicende sono ambientate in una immaginaria Società del futuro.

La trama è ambientata a Libria, una sorta di città Stato (alla stregua di Sparta o Atene) di un futuro post atomico, successivo alla terza guerra mondiale, posta sotto il controllo totale di un dittatore soprannominato “il Padre”, in grado di esercitare un controllo totale, con tanto di indottrinamento carismatico.

In pratica, dopo uno spaventoso conflitto nucleare che ha quasi spazzato via la razza umana dal pianeta, i pochi superstiti hanno deciso di creare un nuovo ordine e sradicare la guerra partendo dalle sue basi, cancellando dall’essere umano l’aggressività e l’indotto ad essa collegato.

Sostanzialmente, si tenta di modulare il funzionamento del lobo limbico cerebrale, inibendo la produzione di emozioni.

Ogni cittadino, infatti, è costretto, per legge, ad assumere quotidianamente una sostanza (simile ad un neurolettico modificato) il cui nome è Prozium che dovrebbe inibire, appunto, la genesi emotiva.

I ricordi della civiltà del passato sono ugualmente vietati: libri, vecchi dischi o semplici giocattoli, se scoperti, devono essere immediatamente bruciati e, il loro semplice possesso, porta alla condanna di “reato di emozioni”.

La condanna, per tale “crimine”, è quella di morire al rogo

Al fine di sorvegliare, mantenere e tutelare l’ordine costituito, è stato creato il Tetragrammaton, a metà tra polizia segreta e ordine monastico, con i suoi efficientissimi e micidiali Cleric addestrati alle discipline di combattimento più raffinate, come il letale kata della pistola (Gun Kata). 

John Preston (interpretato da Christian Bale) è il migliore tra i Cleric ma (non tanto) paradossalmente, non potrà evitare di mettersi in discussione, emotivamente parlando, allorché si trova a dover giustiziare il suo migliore amico e collega, deciso a sospendere l’assunzione di Prozium.

Questo film, spettacolare nei suoi effetti speciali, colpisce perché consente un’analisi tanto impietosa quanto predittiva rispetto alla sorte che incomberà su di noi, nel futuro prossimo venturo.

Ad un occhio attento, infatti, non può sfuggire il dato in base al quale, gli umani del film (più correttamente, “umanoidi”) non percepiscono conflitti interiori ma, al tempo stesso, agiscono come criminali psicopatici che, nel rispetto delle Leggi, compiono azioni efferate senza provare sensi di colpa. 

Né più né meno di un gerarca nazista alle prese con la pianificazione dello sterminio ebraico o di un terrorista che seppellisce (o “inforna”), senza tentennamento alcuno, bambini vivi…

Noi, fin da giovanissimi siamo stati molto legati al mondo degli animali.

Uno di noi due, in particolare, raggranellando più soldi possibile (attraverso regali e mance elargite grazie ad una servizievole disponibilità) “riscattava” la vita dei pesci ancora in grado di respirare, esposti sui banconi delle pescherie, per liberarli nelle vasche delle fontane pubbliche.

Con questa premessa abbiamo, spesso, trovato doloroso e sconcertante guardare negli occhi un animale destinato al macello.

Incrociando lo sguardo di vitelli, maiali o capretti, avviati sul “miglio verde” ci ha assalito, sempre, una strana sensazione: quella di essere riconosciuti come essere “puri” a cui, sollevando il capo chino verso l’inesorabile destino, chiedere: “Perché mi state facendo questo?”

Ora che possiamo contemplare i nostri capelli grigi…

Restiamo sempre dell’idea che tutto ciò che può sentire dolore non dovrebbe essere sottoposto al dolore.

A volte, sempre uno di noi due (sempre lo stesso…), è angustiato, perfino, dall’idea dell’insalata che (coltivata in libertà, nei campi) lentamente e dolorosamente (in quanto dotata di sistema nervoso) avvizzisce in frigo, nell’attesa di essere pasteggiata.

Ma…

Ci è stato consentito di apprendere, anche, che nulla si crea e nulla si distrugge perché, in fondo, è tutta una trasformazione di energia, in forme sempre diverse e più idonee, su un piano evolutivo.

E, “magicamente” i nostri sensi di colpa sublimano come la canfora, lasciando spazio a valutazioni più tranquille e meno perturbate. Quasi distaccate.

Anche se uno di noi due (sempre lo stesso…) è convintamente vegetariano.

Le emozioni. E il dubbio

È questo, che fa la differenza. Ma Cosa è un’emozione?

È il risultato del lavoro che crea le idee (in risposta a stimolazioni dal mondo esterno o dal mondo interno) che determina una risposta mentale di attivazione verso il proprio mondo interno (stato d’animo, umore ) o verso l’esterno ( parole, gesti, segni di vario tipo ).

In pratica, nessuna idea, una volta prodotta, può restare “nuda” e inespressa, sul piano emozionale, altrimenti non riusciremmo a generare alcun tono dell’umore (consapevole o meno).

Le emozioni quindi, in base al tipo, alla qualità e alla quantità, sono responsabili di stati d’animo variabili.

Ora, il punto è che, Madre Natura, ci mette in condizioni di produrre emozioni “imperturbabili” (prive di conflittualità) ogni qual volta siamo assolutamente certi delle nostre convinzioni e, parimenti, emozioni “tumultuose” se, invece, siamo colti dal dubbio dell’errore. 

In pratica, se e quando ci rimettiamo in discussione.

La gerarchia del mondo tradizionale “prima gli uomini, poi gli animali e, infine il mondo vegetale” va del tutto rifiutata perché ha prodotto solo effetti negativi e comportamenti deprecabili.

Bisogna parlare di esseri senzienti e da questo punto di vista tutti gli esseri sulla terra sentono.

Anche un ramo spezzato ha un suo dolore. Basti ricordare la grandiosa pagina dello Zibaldone di Leopardi (22 aprile 1826) in cui l’autore ci fa cogliere come anche dietro l’apparente bellezza di uno splendido giardino si nasconde la crudeltà, la violenza, il dolore.

Bisogna parlare di esseri senzienti, dunque, e in tal caso il nostro modo di vivere e di agire dovrebbe cominciare ad essere sostanzialmente diverso.

Millenni di cultura “gerarchica” hanno inoculato nell’essere umano comportamenti considerati naturali, che invece naturali non sono affatto, essendo piuttosto modi consolidati dell’operare storico.

L’uomo addirittura nel corso dei secoli ha avuto l’abilità di “scaricare” la sua sete di violenza e “belluinità” sugli animali, ai quali ha affidato tutti i comportamenti “originali” dei vari tipi di malvagità.

Qualche esempio non guasta: “solo come un cane”, “cattivo come una iena”, “astuto come una volpe”, “aggressivo come un lupo” etc.

Anche alcuni comportamenti umani vengono sempre coloriti con riferimenti al mondo animale: “c’erano solo quattro gatti alla riunione”, “è un uomo lurido come un topo di fogna”.

L’uomo non vegetariano da sempre è andato a caccia di animali considerati ottimi per il suo palato. Pensiamo al capriolo, “cibus deorum”!

Pensiamo ai tanti uccelli “conquistati” con le tecniche più furbe ed inique.

La malvagità degli uomini tocca il suo acme quando di tratta di uccidere gli animali domestici, quelli che stanno a nostro contatto per mesi e che, noi, amorosamente alleviamo per poterli poi mangiare.

Qualcuno dirà che siamo esagerati. Visto che un maiale deve morire che differenza fa il tipo di morte?

E invece, no.

Le regole ufficiali da qualche anno, anche a livello di mattatoio, prevedono morti dolci e non violente.

Invece ci sono degli addetti ai lavori che pare, fuori dai controlli, usino mezzi cruenti che si perdono nella notte dei secoli.

Addirittura la ndrangheta e la mafia, fino a qualche tempo fa, applicavano queste tecniche anche sugli uomini per mandare messaggi chiari e persuasivi: “è stato sgozzato come un agnello”, “è stato incaprettato” e via continuando su tali horribilia.

È vero che l’uomo è il re degli animali, perché la sua brutalità supera la loro. Viviamo grazie alla morte di altri. Già in giovane età ho rinnegato l’abitudine di cibarmi di carne, e ritengo che verrà un tempo nel quale gli uomini conosceranno l’anima degli animali e in cui l’uccisione di un animale sarà considerata con lo stesso biasimo con cui consideriamo oggi quella di un uomo. (Leonardo da Vinci)

Perché l’uomo si comporta così?

Il criminale, perché ha perso ogni modo di agire umano.

Ma l’uomo considerato normale, l’uomo comune, perché vive il suo stato di crisi e difficoltà personale scaricando la sua sete di cattiveria sugli animali, spesso quelli che vivono accanto a noi?

Il discorso non è agevole ma qualcosa si può fissare, facendo anche qualche riferimento a testi importanti della nostra storia letteraria.

C’è una novella di Luigi Pirandello, esemplare al riguarda. Si intitola “La carriola”.

È la storia di un avvocato che vive la sua “forma” nel modo più completo possibile. Egli è l’avvocato di successo e deve comportarsi nel modo che la comunità ritiene debba vivere e comportarsi uno della sua professione.

Un giorno, egli però comincia ad avvertire un profondo fastidio nel vivere “ingessato” nella forma che gli altri gli hanno donato.

Scatta uno spirito di ribellione che però sarà subito sopito. Non si può vivere nella libertà e nella autenticità perché, fuori della forma, c’è solo il fallimento sociale personale familiare.

E invece il nostro personaggio tiene al successo, alla carriera, al decoro sociale.

Che fare? Il personaggio si “salva” con una trasgressione che sembra di poco conto, ma che anche ai suoi occhi pare “terribile”.

Ogni giorno, nel suo studio, quando sa che nessuno entrerà, si concede il gesto apparentemente insensato di prendere la cagna, che dorme lì, per le zampe posteriori, facendole fare “la carriola” per una decina di passi.

Il terrore negli occhi dell’animale diventa la dimostrazione che non si può uscire dal ruolo che il mondo ci ha assegnato.

Gesto “liberatorio” nel suo sadismo?

Neanche per sogno. L’avvocato si sente negativamente giudicato dalla cagnetta e mentre riceve un cliente e parla in tono professorale con lui, teme, sempre guardando la cagna che da un momento all’altro si metta a “parlare” denunciando la violenza.

Il caso è esemplare.

Ognuno di noi probabilmente avrà suoi meccanismi di difesa (più innocenti delle sevizie dell’avvocato) se non avrà impostato la propria vita in modo sereno e disponibile a star bene prima con se stesso e poi anche con gli altri.

Qualcuno, nello sguardo atterrito della bestiola, già appannato dalla vecchiaia, ha letto lo sguardo della figura genitoriale, con tutto quello che i grandi del ramo (Freud, Jung etc) dicono al riguardo.

Da che cosa ha origine la violenza verso gli animali? Quando ha origine? Nell’infanzia, come conseguenza di sofferenze e abusi subiti?

In età adulta questo vissuto doloroso dell’infanzia esploderebbe nei modi più strani e vari?

Una persona è un processo fluido, non un’entità fissa e statica; un fiume fluente di cambiamento, non un blocco di materiale solido; una costellazione continua di potenzialità, non una quantità fissa di tratti.

La vita piena è, dunque, un processo, non uno stato.

È una direzione, non una destinazione.

Se accetto l’altra persona come qualcosa di rigido, di già diagnosticato e classificato, di già formato dal suo passato, contribuisco a confermare questa ipotesi limitata.

Se l’accetto come un processo in divenire, contribuisco, invece, al limite delle mie possibilità, a confermare e a rendere reali le sue potenzialità. (Carl R. Rogers)

A questo punto un breve ma necessario approfondimento

Abbiamo già trattato le fasi del meccanismo di “Separazione – Individuazione” del bambino:

  • differenziazione e sviluppo dell’immagine corporea (dal 4º all’8º mese nella quale, apprende il proprio schema corporeo, esplora il mondo esterno, distingue la madre e avverte angoscia quando non c’è perché, ormai, si è “differenziato” da lei);
  • sperimentazione (dall’8º al 14º mese, in cui stabilirà anche fisicamente, una “giusta distanza” dalla madre e si appiglierà a un oggetto transizionale per non avvertire l’angoscia della solitudine);
  • riavvicinamento (dal 14º al 24º mese in cui, grazie anche ai progressi nel linguaggio, il bambino è capace di sopportare le attese e inizia a sentirsi, interiormente, al sicuro);
  • costanza dell’oggetto libidico (nel 3º anno, in cui crea una rappresentazione stabile, permanente e distinta sua e di sua madre, percependo la propria identità).

Diviene oltremodo interessante, per capire meglio il seguito di questo editoriale, scoprire cosa accade dal terzo al quinto anno di vita, durante il primo e più importante “scontro” che ci vedrà nudi alla meta: l’incontro/scontro con la figura paterna che determinerà la fase del Complesso Edipico.

Immaginiamoci come un proiettile che procede “sparato” nell’attraversamento di un corpo di “gelatina balistica”.

Nel caso in cui la funzione paterna sia deficitaria, lo scontro edipico non inizia nemmeno ed è come se il proiettile rimbalzasse sulla gelatina balistica, non riuscendo a penetrarvi. Il risultato, umanamente parlando, vedrà un bambino che resterà mentalmente in simbiosi con la propria madre e privo di autonomia: il quadro dell’anticamera delle psicosi, in cui non esiste senso di colpa.

Nel caso in cui il padre c’è ma non è sufficientemente autorevole, lo scontro edipico non avrà una risoluzione ed è come se il proiettile entrasse nella gelatina ma vi restasse imprigionato: avremo (sul piano della personalità) un quadro “borderline”, nel quale si vivranno stati di angoscia e di vuoto, celati da iperattività ossessiva, in cui prevalgono rabbia e confusione.

Nel caso in cui lo scontro Edipico si risolva correttamente, con il ridimensionamento del nostro narcisismo e l’accettazione della “parola paterna” (validata dall’autorevolezza materna), è come se il proiettile riuscisse ad attraversare la gelatina e ad uscire dall’altra parte: ci apriamo, in questo caso, al mondo della cosiddetta “normalità” o. al massimo, a quello delle “nevrosi” accettabili. il risultato tangibile sarà quello di un essere umano capace di autoregolarsi utilizzando, come freno, il senso di colpa.

Un Mondo maturo (basato sulla capacità, del singolo, di autocontrollo, autocomando, autodisciplina e autogestione) dovrebbe prevedere momenti di dubbio capaci di generare (dopo ripetute verifiche interiori rispettose dei principi logici e naturali) tranquillità d’animo capaci di renderci “determinati”.

Purtroppo, la cattiva gestione che, di solito, facciamo delle nostre capacità mentali, rende convinti delle proprie idee, anche quando, queste ultime, sono palesemente sbagliate. Tecnicamente, si parla di PRESUNZIONE NEGATIVA.

Ecco che, allora, è possibile la manifestazione di qualsiasi nefandezza. Nel mentre la si pianifica, infatti, si è convinti che sia la soluzione migliore. Alla stregua di uno psicopatico capace di divenire un serial Killer. Senza ombra di pentimento.

Per prima cosa fu necessario civilizzare l’uomo in rapporto all’uomo. Ora è necessario civilizzare l’uomo in rapporto alla Natura e agli Animali. (Victor Hugo)

Forse, allora, la soluzione migliore, non è quella di bombardare gli assassini, con le immagini delle loro azioni raccapriccianti. Si finisce per scioccare gli animi sensibili, rendendo sempre più impermeabili, le menti che funzionano “malamente”. Anche se su basi paradossalmente logiche.

La logica, infatti, è soltanto un verificatore posto, si ritiene, nell’Ipotalamo, capace di “rispondere” positivamente o negativamente ai quesiti (generati dalle riflessioni) posti ad essa, a livello inconscio.

La colpa, dunque, non è di chi risponde ma, semmai, di chi pone la domanda, molte volte “ad arte” per sentirsi con la coscienza pulita.

Ecco, allora che, ad esempio, il sadismo (nei confronti di umani o animali) altro non diventa che un necessario scarico di tensioni accumulate da esperienze traumatiche subite da bambino, le azioni terroristiche, situazioni di perequazione sociale, e via discorrendo…

Va bene, ma che atteggiamento adottiamo, di fronte a quadri comportamentali non accettabili, su un piano oggettivo?

Innanzitutto, verificando l’oggettiva conclusione in merito all’errore procedurale che darà la stura ad azioni nefande. L’unità di misura di tutto ciò, si chiama rispetto.

La lingua italiana, connota, con tale termine un sentimento di riguardo e considerazione nei confronti di persona ritenuta degna. Non si fa menzione di animali o piante.

E, questo, non perché non si debba portar loro, rispetto quanto, piuttosto, perché è solo la razza umana che deve mostrarsi degna delle enormi aspettative di Madre Natura, la quale ha investito molto su di noi, dotandoci di grandi capacità potenziali allocate nei meandri del raffinato sistema nervoso.

Piante e animali somigliano all’Ipotalamo: sono nati “perfetti” e vanno capiti, per essere utilizzati come maestri in grado di spiegare “il perché e il per come” delle cose presenti in Natura.

Gli esperti di Psicologia e Neuroscienze (così come anche i Filosofi) puntano l’attenzione sull’importanza del rapporto con sé stessi, con l’IO e la propria identità. La corteccia cerebrale di tipo “associativo” (quella che, per riconoscere elementi posti dall’esterno, attinge all’archivio multimediale creato dai 5 sensi), è stata strutturata per dialogare “essenzialmente” con sé stessa e aprirsi, al momento opportuno e con una tempistica ad hoc, alle relazioni con gli altri.

E, questa, è una prova dell’esistenza della propria identità

Ma, getta le basi dell’egocentrismo (rinforzato dai semi del Narcisismo patologico),  per cui ci consideriamo al centro del nostro Universo, legittimati a strumentalizzare tutto e tutti.

Il processo di crescita maturativo, ci porta a considerare gli altri come diversi da noi e dotati di eguale importanza. Un ulteriore balzo in avanti, consisterà nell’entrare in contatto con il “tutto” intorno a noi.

Praticamente, ci renderemo conto di essere immersi in un sistema di cui siamo parte, come “semplici” ingranaggi, fatto di onde elettromagnetiche che, a seconda della loro frequenza (e lunghezza d’onda) riescono a generare i colori, i suoni e le varie forme viventi (a questo punto anche i minerali possono essere considerati tali, visto che li anima una “corrente” di energia vitale, pronipote di quella che si è liberata dal Big Bang).

La nostra identità, quindi, scopriremmo, è un tassello intermedio fra noi e il tutto.

Non meravigliamoci di ciò. Di fronte all’Immenso che ci circonda, siamo più piccoli di una colonia di formiche. Eppure, a differenza loro, “percependo” i segnali che ci vengono dall’essere costituiti della stessa materia dell’Universo, crediamo di essere ONNIPOTENTI.

Ma la Natura ha previsto anche questo…

dotandoci di Neuroni specchio, capaci di farci “sentire” gli stati d’animo altrui, entrando in vibrazione con l’altro (che sia umano, animale in genere, o vegetale, poco conta) alla stregua di un Diapason. Ci manca, però, lo sviluppo e l’allenamento.

Un grande statista americano, soleva attardarsi, la sera, a contemplare le stelle, per acquisire la giusta dimensione di infinitesimalità relativa, di fronte alla grandezza del “Cielo”…

E noi?

Cari lettori, il titolo del nostro editoriale riporta alla memoria l’apologo in tre atti di Luifi Pirandello, tratto dalla sua novella “richiamo all’obbligo”

Si tratta di un complicato intreccio ipocrita in cui, alla fine il “falso” moralista (il professor Paolino) innamorato e corrisposto dalla moglie del capitano Perella, terrorizzato all’idea che si scopra la gravidanza “indesiderata”, spinge la sua amata nelle braccia del legittimo marito.

PAOLINO: “Grazie, grazie, capitano! Scusi! – Sono veramente una bestia!”

PERELLA: “Eh, caro professore, bisogna essere uomini!”

PAOLINO: “A lei è facile, capitano – con una signora come la sua: la Virtù in persona!”

E noi, invece, preferiamo partire dalla dolce immagine di copertina in cui, un San Bernardo (simbolo di protezione) e un bambino (speranza del Futuro) osservano un orizzonte nel quale, la nebbia non fa che annunciare un sole radioso.

E noi, siamo quello che siamo anche grazie a scelte coraggiose come quelle di John Preston che, aiutato da un cucciolo di cane…

Questi animali erano difesi da donne e bambini. Li abbiamo sterminati senza problemi

Non è la prima volta che si presenta una scena così

Ma perché tengono questi animali? Cosa ci fanno?

Cosa vuole che faccia, Signore? Sterminateli, ovviamente.

Benissimo, al lavoro!

No!

Che succede, Cleric?

Niente, niente…

Prendetelo, è scappato un cane!

Daglielo Cleric, lo finisce lui!

Lo dia a me, Signore…

Aspettate! Secondo me alcuni alcuni vanno analizzati, per vedere se hanno malattie. Se c’è un’epidemia, è meglio esserne al corrente.

Ha rianimato le proprie emozioni vitali e, passando per rimpianti, rimorsi e sensi di colpa, apre le porte alla speranza di una Umanità migliore

Per potersi considerare il TUTTO di una parte del TUTTO.

Enzo Biagi, intervista OSHO

“L’ultima domanda, qual è la tua ricetta per essere felici?”

 “Ogni bambino nasce felice.  Ma poi accade qualcosa e tutta la loro felicità si trasforma in disperazione. Osserva un bambino che raccoglie conchiglie sulla spiaggia: è più felice dell’uomo più ricco del mondo. Qual è il suo segreto?

Quel segreto è anche il mio.

Il bambino vive nel momento presente, si gode il sole, l’aria salmastra della spiaggia, la meravigliosa distesa di sabbia. È qui e ora. Non pensa al passato, non pensa al futuro.

Il segreto della felicità è tutto qui: qualsiasi cosa fai non permettere al passato di distrarre la mente e non permettere al futuro di disturbarti.

Lla vita non ti dà due istanti contemporaneamente: te ne dà solo uno alla volta! E quell’istante può essere vissuto oppure ce lo si può lasciare sfuggire.

Esistono due modi per farselo sfuggire o ci si lascia appesantire dal passato, oppure ci si fa attrarre dal futuro… e l’istante scompare!

La mente non è mai nel presente, mentre il tempo è sempre presente; per cui la mente e il tempo non si incontrano mai. Ecco dov’è la tragedia: a ogni istante ti sfugge il treno e continuerai a perderlo per tutta la vita.”

“Fissa il tuo cane negli occhi e tenta ancora di affermare che gli animali non hanno un’anima” (VICTOR HUGO)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto per l’affettuosa collaborazione

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