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Pubblicato su Lo SciacquaLingua

Tutti i mezzi di comunicazione di massa (giornali e radiotelevisioni) non perdono occasione per propinarci parole barbare o, se preferite, anglismi. Personalmente non abbiamo nulla contro i discendenti della “perfida Albione”; ci spiace, però, che la loro lingua “spadroneggi” in casa nostra danneggiando irrimediabilmente l’italico idioma.

A costo di essere tacciati di “sciovinismo linguistico” siamo per un reciso no all’uso di termini stranieri – anglismi in particolare – in quanto questa moda che imperversa sulla carta stampata ha fatto dimenticare agli articolisti (e ai Lettori, loro malgrado) il buon uso della lingua di Dante.

Non parliamo, poi, dei giornalisti sfornati dalla scuola odierna: definirli analfabeti è un eufemismo. Costoro non studiando con la dovuta serietà la lingua madre (colpa dei programmi “morbidi” o degli stessi insegnanti?) sono totalmente all’oscuro delle elementari norme grammaticali: accenti errati, concordanze sballate, anzi “spallate” (come si dovrebbe dire correttamente) ed errori grossolani vari.

Basta sfogliare un qualsivoglia giornale per avere la prova provata della nostra amara denuncia. Ma non divaghiamo e torniamo al nocciolo della questione: gli anglismi (ma non solo) hanno fatto dimenticare l’uso corretto della lingua. Una prova lampante di quanto affermiamo (e denunciamo con forza) è un vistoso titolo “apparso” su un diffusissimo periodico (che non menzioniamo per amor di patria): “A caccia di cantanti e non”. Quel “non”, maledettamente errato, balza evidente agli occhi del lettore accorto.

Gli avverbi di negazione “no” e “non” hanno usi nettamente distinti; non si possono adoperare “ad capochiam” o ricorrendo al lancio della monetina: testa “no”, croce “non”. Il primo ( “no” ) appartiene alla schiera delle così dette parole olofrastiche (dal greco “hòlos”, intero e “phrazo”, dichiaro) le quali riassumendo in sé un’intera frase debbono essere sempre isolate e in posizione accentata; non debbono, cioè, essere seguite da altra parola: vieni o no?

Risulta evidente, dall’esempio, che il “no” è olofrastico in quanto sottintende (e la riassume) la frase “o non vieni?”. L’olofrasìa, quindi, neologismo da noi modestamente coniato, si può definire una “dichiarazione sottintesa”.

Il secondo avverbio ( “non” ) non si può mai trovare in posizione accentata (cioè assoluto, da solo), si deve sempre adoperare in posizione proclitica, vale a dire prima di un’altra parola che necessariamente lo deve seguire: vieni o non vieni?

A questo punto vediamo – per maggiore chiarezza – che cosa significa “posizione proclitica”. Si dicono “proclitiche” (dal greco “pro”, davanti, prima) quelle particelle atone che si appoggiano nella pronuncia (quindi nell’accentazione) alla parola che segue. Sono proclitiche, ad esempio, tutte le particelle pronominali messe prima del verbo in quanto si pronunciano “unite” al verbo: Giovanni ‘mi’ ha parlato. Il titolo incriminato avrebbe dovuto recitare, in forma corretta, “A caccia di cantanti e no”.

Come si può ben vedere il titolista non ha fatto seguire il “non” (in questo caso errato, lo ripetiamo) da un’altra parola. Ricordiamo inoltre, per chiarezza e completezza, che le paroline olofrastiche più comunemente adoperate sono “sì”, “no”, “certo” e “affatto”.

Ma torniamo, un attimo, sull’uso corretto della lingua perché abbiamo letto in un articolo di cronaca che “i soccorritori hanno dovuto fare uso delle cellule fotoelettriche per ritrovare il fanciullo disperso”. Dubitiamo che la zona interessata alle ricerche sia stata illuminata a dovere. Le cellule fotoelettriche fanno ben poca luce essendo marchingegni che trasformano le variazioni di luce in variazioni di corrente elettrica e vengono adoperate per i comandi di congegni automatici (apertura e chiusura di cancelli, portoni, ecc.). Fanno molta luce, invece, le fotoelettriche, vale a dire i riflettori.

A cura di Fausto Raso (26 febbraio 2006)