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La “collana” sull’Amore che vi proponiamo, prende origine dall’Opera Omnia “Il sofferto bisogno di amare” e si offre come spunto per le brevi riflessioni video del canale YouTube “infinito presente”. Nessuna velleità di apparire come una guida per vivere meglio ma, soltanto, un’occasione per provare a ritrovare la via, incisa in ognuno di noi, che ci ha permesso di sorridere ogni volta che abbiamo incrociato gli occhi di chi ci ha amato veramente.

In questo diciassettesimo incontro: Il Narcisismo e La svalutazione del partner

“C’è una certa classe di persone che ti massacra e poi rimane completamente sconcertata dalla profondità del tuo dolore”. (SUE GRAFTON)

Cari Lettori, grazie per gli interessanti spunti di riflessione che continuate ad inviarmi dopo esservi confrontati con le puntate de “le ragioni del cuore”

Anche questa volta, mi ha particolarmente colpito la domanda postami da uno studente dell’Istituto di Istruzione Secondaria “Lucrezia della Valle” di Cosenza.

“L’amore suscita sempre allegria, oppure anche sofferenza? La sofferenza passa o rimane?”

Cercheremo, insieme, la strada per arrivare alla giusta risposta

Negli ultimi due incontri abbiamo cominciato il viaggio nelle infide acque del Narcisismo e di come, quest’ultimo, condizioni ogni tipo di rapporto. A partire dalle relazioni d’amore.

Partiamo da una premessa importante che riguarda il concetto del Sé, sul piano psicologico

Con questo termine, ci riferiamo a ciò che un individuo pensa di sè stesso ed è l’immagine allo specchio che ci si forma in relazione alle esperienze vissute e alle interazioni con gli altri.

Il Narcisismo, nella sua variante non fisiologica (potremmo dire, “negativa”), scaturisce da una fissazione a un sé grandioso arcaico, con ricerca di attenzione, arroganza, esibizionismo, sfrenata ambizione, fantasie grandiose e una discreta condizione di ansia, magari ben dissimulata.

Come abbiamo avuto modo di osservare nei due ultimi precedenti incontri, condizioni ambientali – familiari non costruttive possono determinare condizioni di blocco emotivo che non consentono il realizzarsi di un sé equilibrato.

Di conseguenza, abbastanza spesso, questo tipo di personalità narcisistica mette in campo il sé grandioso e patologico proiettando la parte svalutata del sé (quella frustrata dai fallimenti percepiti e dai rimproveri ricevuti, durante la crescita)  su chi sta accanto che, paradossalmente, resta affascinato dai “giochi di prestigio” da illusionista e fornisce carburante di “conferma” al sé grandioso stesso.

Un po’ meno frequente è il caso in cui la personalità narcisistica proietta il sé grandioso patologico sul partner e mette in atto una relazione tra questo sé grandioso e il suo riflesso proiettato.

Cioè…

Lo specchio simbolico con cui si parla, proietta immagini di grandiosità dalle quali, però, traspaiono (come una contaminazione hacker) gli aspetti più retrivi di sé, che si sarebbero voluti cancellare per sempre. 

In questi casi, infatti, il partner diventa un puro veicolo di una relazione tra aspetti del sé.

Ovviamente, se il partner ha una vaga somiglianza, sul piano della personalità narcisistica, si finisce col diventare, ognuno dei due, la replica dell’altro, oppure si riesce in una operazione fantastica e pericolosa al tempo stesso: facendosi da completamento, l’uno dell’altro, si crea un “sodalizio”, un’unità ideale grandiosa immaginaria.

Un delirio condiviso, insomma.

Come spesso avviene, anche in questo caso il tema dominante centrale è l’invidia preedipica: cioè una specifica forma di rabbia e risentimento contro la figura della Madre (o di chi ne ha rivestito la “funzione”) di cui, idealmente, si continua ad avere bisogno ma che viene vissuto come frustrante o rifiutante (perché, come è normale che sia, una madre non può essere “sempre” al servizio del figlio che la vive, comunque, come “seducente e abbandonica”).

Ci si riferisce al preedipico, perché è come se non fosse intervenuto il Padre (o chiunque ne abbia rivestito la “funzione”) a inquadrare all’interno del binario delle regole.

Per reagire a questa sofferenza (del tutto inconscia) si sviluppa un desiderio di distruggere, di sciupare e di prendersi con la forza ciò che viene rifiutato: in particolare ciò che viene più ammirato e desiderato.

La tragedia di questa personalità sta nel fatto che, l’appropriarsi in modo rabbioso e avido di ciò che viene negato e invidiato, non porta alla soddisfazione e, il soggetto, finisce per sentirsi vuoto e frustrato.

Nello stesso tempo, dato che la bontà di ciò che l’altro ha da offrire è fonte di frustrazione (perché ricorda la Madre che si è “negata”), il canale empatico con questo oggetto d’amore diventa impossibile e deve essere negato.

Il narcisista, quindi, ha bisogno di essere ammirato piuttosto che amato e vive la normale reciprocità delle relazioni umane, come uno sfruttamento e un’invasione.

Cari Lettori, in un modo o nell’altro chiunque di noi è stato bagnato dalla pioggia di questo temporale narcisistico. C’è chi è riuscito a trovare un riparo in tempo e chi, invece, si è completamente inzuppato…

E allora, come rispondere alla domanda posta all’inizio di questa, odierna, passeggiata?

“L’amore suscita sempre allegria, oppure anche sofferenza? La sofferenza passa o rimane?”

L’immagine di copertina riporta un narcisista per antonomasia, Il Marchese Onofrio del Grillo, celebrato attraverso una memorabile pellicola cinematografica, con la partecipazione di Alberto Sordi…

Personalmente, ritengo che il modo migliore di andare “oltre” la paura di soffrire, sia quello di assaporare (alla stregua di un antidoto contro un veleno) le riflessioni del grande Gigi Proietti, nel finale di un altro film: “Il Premio”, del 2017:

“Di solito i vincitori non sono mai così interessanti, le loro parabole si assomigliano tutte. Hanno sempre a che fare con l’uso dei superlativi, cori di adulatori, narcisismi prevedibili.

La vita è certamente più difficile per chi non salirà mai su un podio, ma non per questo rinuncerà a viverla.

E a ben vedere, è proprio negli affanni del quotidiano di un’esistenza “normale” che si misura il senso più autentico del nostro cammino comune.

Un uomo che cade, offre la possibilità di tendergli una mano.

Colui che cerca una strada, la possibilità di aiutarlo a trovarla.

E così noi, tutti noi.

A seconda delle circostanze, siamo colui che cade e la mano che lo afferra. Quello che cerca una direzione, e il dito che gliela indica.

Nessuno basta a sè stesso.

Scendere dal podio…spostarsi dal centro della scena è il primo antidoto contro gli orrori della storia.

Ogni premio, riconoscimento individuale non ha senso, se non è frutto di una condivisione.

…Ogni vita, si sa, è piena di sventure, ma anche di infinita bellezza.

E, il nostro, non può che essere un gioco di squadra.

Questo video riassume, semplificandoli, i contenuti finora espressi, offerti con una delicata base musicale. Buona “degustazione”

Arrivederci al prossimo incontro, che avrà per titolo: “La sindrome del Don Giovanni”

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