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Non è così semplice trovare un titolo. Eppure tutto parte sempre da lì, tutto, ogni volta, parte da lì.

So bene cosa vorrei trasferire ma ho sempre bisogno prima di due o tre parole che possano darmi lo start ad iniziare. E poi tutto è fatto.

Quest’oggi, in questo inizio settimana, di un maggio che vive come fosse l’inizio della stagione fredda, vorrei parlare della gestione della rabbia.

La prima domanda: ma la rabbia va gestita oppure lasciata defluire senza ostacoli? Se si cerca di gestire si corre forse il rischio di subire, ma se la si lascia defluire senza limiti si può esagerare.

Anche quando …

Ho imparato a mettermi in discussione ogni qualvolta mi trovo ad interagire con gli altri, cercando di assumermi le responsabilità di quello che faccio, evitando di fustigarmi come un tempo, ma contemporaneamente provando ad identificare i limiti di chi mi si trova accanto. Accettandoli quando non si può fare altro, ma soprattutto quando non diventano condizionanti al mio benessere. Ma … non sempre è così facile. I saggi consigli del passato mi invitano a fermarmi prima di agire, magari rilassando la mente a cercare un’altra dimensione e, solo dopo aver risistemato il tumulto all’interno, comunicare.

Difficile in questo periodo spostare l’attenzione e cercare una soluzione, la mente ritorna, come una ossessione, sulle grosse difficoltà, i pensieri che non riesco più a fermare, le paure alimentate dagli eventi della vita.

Il solito dubbio mi assale.

Un istante di collera mi distoglie dal fastidio che provo nel corpo e, senza accorgermene, rilassa, portandomi in un altro posto. Un controsenso: la collera che si accompagna al rilassamento. E allora mi chiedo quanto sia giusto assorbire dall’esterno ingoiando senza chiedere.

Poche righe scritte in un altro modo e ritrovo un briciolo di serenità.

Allo stato d’animo.

A questo stato d’animo.

Mi guardo intorno. Non sopporto il grigiore che riveste queste giornate oscurando l’intensità della luce che altrimenti dominerebbe la scena in questo periodo dell’anno.

Aspetto con ansia un giorno migliore, sognando la leggerezza che, un tempo ormai lontano, donava carica e vitalità a vivere ogni istante.

Eppure anche quelli erano “anni difficili”, vissuti però forse nell’inconsapevolezza del percorso che si stava vivendo.

E se gli “anni difficili” lasciassero il posto agli “anni migliori”?

Quelli della inaspettata maturità, della emotività non più destabilizzante, del tempo ritrovato.

I fatti della vita che accade è inevitabile non condizionino i nostri stati d’animo, ma negli “anni migliori” si potrebbero forse vivere con una soglia di accettabilità più alta, senza perdere mai di vista quello di cui si ha bisogno per vivere in equilibrio.

Un titolo a questo stato d’animo.

Già ne ho scritto in anni molto passati, cercando di analizzare quello che naturalmente avviene quando la si prova. Interessante potrebbe essere confrontare le attuali reazioni e modi di gestire. Quello che emerge all’istante è la diversa importanza che si da alle cose, agli eventi scatenanti.

Raggiunta la soglia di sopportazione, preludio all’esplosione incontrollata, sopraggiunge l’immediata rilassatezza, quasi come se l’evento scatenante si sgonfiasse inaspettatamente riportando il tono dell’umore al livello basale.

Ma è veramente così oggi?

L’irruenza nella emotività della giovane età, contro la riflessiva e controllata sensibilità della maturità. A confronto.

Mi fermo un istante sulle ultime righe. Il pensiero ancora una volta all’irrequietezza del momento, quasi avessi riperso la strada in questa fase della vita, forse vicini ad una curva stretta tale da cambiare direzione.

Qualcosa di nuovo deve accadere, qualcosa di nuovo accadrà.

Fernanda

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