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Questo filosofo non è un positivista;

la scienza la propone rigorosa

ed anche nuova, non quella già vista;

“Fenomenologia”: per lui è maestosa.

Codesta disciplina muove i passi

da quel concetto di “intenzionalità”

che non allude ad una vera prassi,

però Husserl così la spiegherà.

Oggetto di partenza, egli ha affermato,

è l’  “esperienza vissuta”; ha anche detto

“Erlebnis”, che ha rappresentato

l’indistinzione tra soggetto e oggetto.

La sua teoria implica un tornare

alle cose stesse; è una descrizione

di pure essenze, le quali vuol spiegare

per evitare qualche confusione.

“Se osservo un tavolo, non lo vedo intero,

ma scopro solo qualche qualità;

allora l’intenzion non è mai il vero

e oggetto intenzionato esso sarà”.

Per ottenere un’evidenza adeguata,

l’oggetto non deve esser trascendente,

bensì un’essenza, che  “idea” viene chiamata

e all’ io stesso essa è immanente.

Le  “empiriche intuizion” son precedute

da quelle  “eidetiche”, che sono dell’essenza,

e chi di voi non le abbia conosciute,

le studierà davver con insistenza.

Le essenze sono  “a priori universali”

e fondan ogni possibile esperienza;

non ve ne sono ad esse proprio uguali,

che spieghino il motor della sapienza.

Per una emendazion della coscienza,

“fenomenologia” è la “riduzione”

e l’  “Epochè” è ciò, la cui presenza

consente tale purificazione.

Mette in parentesi ogni cosa vera,

per giungere soltanto a un’evidenza

priva di pregiudizi, più sincera,

eliminando un’ingenua coscienza.

Infine un  “residuo” resterà,

con la sua pura ed integra essenza;

ridurlo impossibile sarà,

perché si tratterà della coscienza.

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