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L’edera

“Molti anni fa, quando non eravamo ancora marito e moglie, in un pomeriggio di marzo o aprile, lungo le rive di un lago, un poco scherzando un poco sul serio colsi, al piede di un abete, un breve ramo di edera, simbolo di fedeltà dei sentimenti, per ricordo di quella passeggiata tranquilla: ultima di un’età della nostra vita.

Senza turbamento non so guardarla. La luce ha scolorito a poco a poco le foglie che erano verdi e nere. Mutamenti impercettibili, sintesi molto lente, alterazioni invisibili. Come se non vent’anni ma molti secoli fossero passati. Ora quel ramo somiglia a tante cose che, inutile, è qui nominare.

Pure, solo così impallidendo, ha vissuto. Se una volta era degno di sorriso ora è più somigliante figura d’amore”.

Questa particolare poesia di Franco Fortini (critico letterario e attivo militante alla ricerca della libertà, nel senso della vita) declina, in senso verticale, la necessità della trasformazione per scoprire al meglio, ogni tappa della vita.

La libertà, nel “senso” della vita…

Che, poi, è come dire “aprire il libro della Storia Infinita su quello che è stato e su tutto il divenire per scoprire, con l’angoscia dell’adolescente, di non essere preparato a camminare da solo, andando incontro all’inesorabile fine del proprio giorno…

Cari Lettori, a tal proposito, il volume di mons. Vincenzo Paglia “L’età da inventare. La vecchiaia tra memoria ed eternità” è un testo assai importante e stimolante per riflettere sulla vecchiaia, in vista di necessarie e ineludibili operosità.

La vecchiaia non è solo un malinconico e lungo congedo dalla vita.

La vecchiaia è una fase del ciclo dell’esistenza cui tutti andremo incontro. É quindi un punto d’arrivo con un bagaglio di esperienze. Come tale la vecchiaia va vissuta consapevolmente nella sua speciale qualità.

“A differenza dei nostri nonni siamo destinati ad avere 30 anni in più da vivere. Tutto ciò, però, comporta notevoli conseguenze sul modo stesso di concepire la propria esistenza, i propri giorni, i propri progetti. Spostare in avanti la propria morte non è una semplice aggiunta temporale: essa modifica profondamente il nostro rapporto con l’esistenza”. (Vincenzo Paglia)

Qualcuno ci ha spiegato che, la vita può essere considerata come un insieme di luoghi e di persone che scrivono il tempo nel quale, senza accorgercene, cresciamo e maturiamo “collezionando” quelle esperienze che, in modo o nell’altro, ci definiscono per ciò che saremo, insegnando a distinguere fra ciò che è giusto e quello che, invece, è sbagliato: in pratica, cosa essere e cosa non essere, scoprendo, un po’ alla volta, cosa vogliamo diventare.

Le rughe della vecchiaia formano le più belle scritture della vita, quelle sulle quali i bambini imparano a leggere i loro sogni.  (Marc levy)

In questo tratto di strada, alcune persone e alcune circostanze è come se si “legassero” a noi in un modo spontaneo ma inestricabile.

È come se, stranamente, ci sostenessero nell’esprimerci e nel realizzarci, legittimandoci nell’essere autentici e veri.

E mano mano che procediamo scopriamo che, tutto il “panorama” incontrato, se “significa” veramente qualcosa, ci ispira nel contribuire al cambiamento di quello che ci viene incontro.

Sarà per questo che, a noi, è rimasto impressa la scena di Enea che, in fuga da Troia, porta in salvo il proprio padre, caricandoselo sulle proprie spalle: immensa rappresentazione simbolica  dell’assumersi la responsabilità e il peso di chi ha bisogno di noi, proteggendo “il refolo della loro vita dalle tempeste dei cieli”

Cari Lettori, se ci soffermiamo a osservare la trasformazione di quella prima cellula sociale che è la Famiglia, ci rendiamo conto di come stia diventando sempre più “stretta” (per numero di figli) e, al tempo stesso, più “lunga” (per numero di generazioni sopravvissute).

Prendendo spunto dalla descrizione del Monsignor Vincenzo Paglia, dobbiamo immaginare la Famiglia come un grande palazzo di più piani: quello dei bambini, dei giovani, degli adulti e degli anziani. Tutto questo, poggia sulle fondamenta (la vita nel seno della madre) e ha uno sbocco naturale sul terrazzo condominiale (la fase terminale) che consente di guardare il Cielo (l’oltre la morte)

Qual è, oggi, il problema?

Come argutamente spiega Monsignor Paglia, “In questo palazzo non ci sono né scale né ascensori. Anche il cielo è stato tolto! Sull’ultimo piano non c’è più il cielo, ma una cappa nera impenetrabile. È quel che chiamiamo incomunicabilità tra le generazioni e anche nichilismo, visto che il “nulla” è il futuro che ci attende…”

Praticamente, abbiamo isolato gli anziani all’interno di un attico di solitudine che diventa, alla fine, il “vuoto” di tutti.

La mancanza di rapporti intergenerazionali fa sì che, ad esempio, i giovani vengano privati della grande lezione che viene proprio dagli anziani di questa generazione: vecchi che in gioventù conobbero gli orrori della guerra, dei sistemi totalitari, degli olocausti, che costruirono e ricostruirono la pace insieme alle città e alle fabbriche d’Europa. Escluderli dal circuito sociale condanna i giovani a un appiattimento sul presente, che non ha memoria del passato e, di conseguenza, visione del futuro”. (Mons. Vincenzo Paglia)

A queste condizioni, come in quegli edifici i cui piani sono isolati per via di un incendio, si cerca di stare lontani dalle porta di ingresso, mettendosi dalla finestra in attesa dei soccorsi.

E, nel frattempo?

Ci si racconta delle storie a cui si finisce per credere. Tutti quanti. Ecco perché, socialmente, nasce il mito dell’eterna giovinezza a cui, tutte le età, tentano di conformarsi.

“La giovinezza è l’ideale della vita. Sulle sue spalle, comunque fragili, viene oggi posta l’intera esistenza: siamo tutti condannati a essere e a restare “giovani”. La società, illudendoci e illudendo sé stessa, fa ogni sforzo perché tutti possiamo convergere verso la determinazione a restare giovani sempre o almeno finché si può, prima del “crollo” della vecchiaia. Il presente e il futuro appartengono ai giovani e quindi la giovinezza va prolungata a ogni costo(Mons. Vincenzo Paglia)

È come se le “altre età” tendessero a scomparire. Solo la giovinezza è vita: forse perchè, psicoanaliticamente parlando, protetti dall’immaginario scudo paraeccitatorio dei fantasmi genitoriali (vissuti, nella propria memoria, come super eroi) ci poniamo di fronte ai fatti della vita come di fronte a un video gioco per il quale è previsto un reset continuo…

Per sopportar meglio le avversità, è meglio la forza della giovinezza o la saggezza della vecchiaia? (Cit.)

E ci tornano in mente i principali “quattro dolori” descritti dal Buddha…

  • Il dolore della nascita, causato dalle caratteristiche del parto e dal fatto di generare le sofferenze future.
  • Il dolore della vecchiaia, che indica l’aspetto di degrado dell’impermanenza.
  • Il dolore della malattia, determinato dallo squilibrio fisico.
  • Il dolore della morte, generato dalla perdita della vita.

Una società è veramente accogliente nei confronti della vita quando riconosce che essa è preziosa anche nell’anzianità, nella disabilità, nella malattia grave e persino quando si sta spegnendo. (Papa Francesco)

Come già spiegato in nostre altre pubblicazioni, il Premio Nobel per l’economia, Daniel Kahneman (economista e psicologo) insieme a un gruppo di psicologi ed epidemiologi ha collezionato migliaia di studi sulla felicità. Lo scopo è quello di indagare l’interazione tra cervello e sistema immunitario. Il dato fondamentale emerso è che lo star bene psicologico ha effetti benefici sulla salute fisica. Ne è nata la necessità di individuare test affidabili del grado di felicità soggettiva.

Sostanzialmente, una vita felice, è caratterizzata da una serie di obiettivi raggiunti che, nel tempo, siano stati in grado di generare:

  • Una ricchezza interiore(dal termine Feo che, in Greco, significa “produttore di fecondità);
  • Un basso livello di conflitti psicologici;
  • Una condizione mentale stabile ed equilibrata (senza eccessi), caratterizzata da disponibilità e conciliazione rivolte, prevalentemente, al proprio mondo interno.

Il tutto, per migliorare quel dialogo continuo e, prevalentemente, inconsapevole che ognuno ha con se stesso e che si chiama identità.

Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto ma, semmai, coloro che traggono il meglio da ciò che hanno. La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia! (Kahlil Gibran)

Secondo dati ISTAT, tra non molto tempo, un italiano su 7 sarà ultraottantenne. Inutile nascondercelo: a volte, l’idea della vecchiaia, ci spaventa. E allora, come possiamo affrontare tale processo naturale in modo idoneo?

Lo psichiatra, George Libman Engel, nato negli Stati Uniti nel 1913, intorno agli anni 70-80 del secolo scorso ha teorizzato un modello Bio psico sociale per considerare lo stato di salute di un individuo. In pratica, partendo anche da quello che sosteneva l’Organizzazione Mondiale della Sanità relativamente alla salute (intesa come un insieme di fattori che devono tener conto anche dello stato emotivo, quindi psicologico, per poter dire “quella persona sta bene effettivamente” oppure “non completamente”) ha specificato che la necessità di dover tenere conto, non solo di come funziona il suo organismo ma, anche, dell’ambiente in cui si viene a trovare.

La salute, infatti, è il risultato di una miriade di fattori (ambientali, familiari, personali e via discorrendo) ed è per questo che assume importanza, quindi, il concetto che comprenda l’analisi biologica, psicologica e socioambientale.

Cosa significa invecchiare

La vecchiaia è lo sguardo degli altri che ti incolla al tuo destino senza futuro?

È questa la paura che ci portiamo dentro. Aver sprecato la gioventù, essersi smarriti nella cosiddetta “età della ragione” per, poi, trovarsi sull’orlo di un baratro…

D’altronde, Ambrose Pierce, sosteneva che la fanciullezza è quel periodo di transizione (nella vita umana) che sta tra l’ingenuità dell’infanzia e la presunzione della giovinezza, a due passi dagli errori della maturità e a tre dai rimpianti della vecchiaia!

La mancanza di salute e la disabilità non sono mai una buona ragione per escludere o, peggio, per eliminare una persona; e la più grave privazione che le persone anziane subiscono non è l’indebolimento dell’organismo e la disabilità che ne può conseguire, ma l’abbandono, l’esclusione, la privazione di amore (Papa Francesco)

È apodittico (cioè, ampiamente dimostrabile) affermare che, più andiamo avanti nel tempo, meno tempo ci rimane da poter vivere. Il “Tempo”, però, non si misura in quantità ma in qualità. Tale affermazione non è soltanto un’accezione teorica perché, fondamentalmente, noi siamo quello che percepiamo, istante per istante, con dei programmi, degli obiettivi ( anche se non manifesti ). L’ideale, per ciascuno, ognuno di noi è star bene in questo istante, sentendoci a posto e provando il piacere di sperimentare quello che accadrà l’istante successivo, soprattutto se l’istante precedente a quello che stiamo vivendo, ci è piaciuto.

Invecchiare: crescere negli anni, avendo qualcosa in più da raccontare

Sostanzialmente, quindi, la risposta alla domanda iniziale si racchiude nel far trascorrere del tempo capitalizzando le esperienze per diventare migliori. Quando ci riusciamo otteniamo il raggiungimento di uno scopo, sentendoci felici.

A queste condizioni, paradossalmente, invecchiando si diventa felici.

Per questo, la vecchiaia non va vista come l’età della “rottamazione”, come il periodo residuale della vita ma, semmai, come il momento culminante dell’esistenza in cui si raccoglie una esistenza di decenni e la si consegna fruttuosamente a coloro che verranno.

Più che età umbratile e avvilente, la vecchiaia, tramite politiche di grande efficacia, può essere una fase culturale con una sua originalità rivoluzionaria.

Proprio perché ha capito il “gioco”, la persona che ha tanti decenni è a disposizione delle altre generazioni per offrire la propria esperienza che può essere  “superata”, dialetticamente, solo dopo averla analizzata e conosciuta.

Il progresso tecnico rende “sapienti”, oggi, i giovani che sono in grado di familiarizzare con le tecnologie in continua e inesauribile evoluzione.

In questa ottica, gli anziani sono considerati fuori di chiave, inutili, un peso.

Ma se inseriamo il progresso tecnologico nel reticolo del “Pianeta Essere Umano”, ci accorgiamo che, esso, finisce con inaridire la vita se non si sposa coi valori basilari dell’esistenza.

In questa visione, chi ha più anni, se vissuti con consapevolezza, è in grado di offrire con disinteresse un patrimonio di valori umani e sociali senza i quali l’esistenza perderebbe la sua ragione d’essere più autentica.

Quando è fuori dal mondo lavorativo, l’anziano è in grado di dire la sua e di dare il proprio contributo di vivibilità perché ha tempo libero per osservare e riflettere, mentre figli e nipoti, inseriti nel circuito della velocità e del tempo visto solo come danaro, sono tutti intruppati, al servizio dei poteri mondiali che tirano le fila della società capitalistica sempre più dura e senza autentici valori.

L’uomo, per le ideologie dominanti, vale per quello che ha, non per quello che è.

Chi non ha, non è. (Vincenzo Padula)

Eppure, cari Lettori, in base a come noi ci rapportiamo alle nostre aspirazioni, ai nostri sogni, ai nostri obiettivi, man mano, cambiamo direzione bypassando gli ostacoli e accomodandoci su nuovi ripiani. 

Il Tempo, infatti, si misura coi numeri, è contato in secondi e raccontato negli anni. La Vita, invece, si apprezza nei battiti, si “sente” col cuore e si racconta con l’anima.

Ecco perchè ci trasformiamo: sia da un punto di vista emotivo (quindi, psicologico) che, anche, organico e corporeo, diamo tutto ciò che siamo, consumiamo quello che abbiamo e dobbiamo ottimizzare l’utilizzo di risorse e riserve (mentali e organiche), man mano che andiamo a fornire quello che serve per il raggiungimento di uno scopo.

Poi, se ci piace quello che stiamo facendo, diamo il via ad una serie di lavori di ripristino che non ci riporteranno nella condizione precedente, ma ci faranno diventare come un mobile “restaurato”; altrimenti, si invecchia degradandosi, senza amore.

In sostanza se, alla fine del tuo caffè esistenziale, noti un retrogusto tra l’acido e l’amaro, sei invecchiato male; se, invece, ti porti dentro quella armonia di aromi che si sprigiona quando la miscela è fuori dal comune, allora, ti sei “antichizzato” acquisendo valore.

BUONA GIORNATA. IL RESTO NON CONTA.

E i valori, sono il rapporto umano e l’amore, verso di me, oltre che verso di te. Questo costituisce una specie di codice di ingresso al tuo dolore che, poi, (avendo la base umana, in comune) è anche il mio. Senza un amore condiviso (un hobby in comune, un filo conduttore da assaggiare un po’ per uno…) io scopro cosa significa volermi bene e, naturalmente cercherò di riappropriarmi di qualcosa che, per troppo tempo, mi era sfuggita…

ME, ATTRAVERSO TE! IL RESTO NON ESISTE

Cari Lettori, sicuramente la vita, quella che dovremmo amare, che è la nostra vita, è simile alle vostre. L’augurio è quello di poterle condividere, interfacciarci, anche se virtualmente, per poterci scambiare, rinforzandoli, sentimenti, emozioni, stati d’animo che ci spingono, poi, a voler procedere nonostante la voglia di ritornare sui nostri passi.

Se è vero che “il segreto di una buona vecchiaia non è altro che un patto onesto con la solitudine”, è altrettanto vero che il nostro “brodo primordiale” contenuto in quell’Inconscio Collettivo di Junghiana memoria ci conforterà nel continuare il cammino restando coerenti, “sempre e per sempre” (riagganciandoci alla poesia iniziale), nel rappresentare un riferimento per chi  ci sceglierà come punto di riferimento

Per poterci consentire una buona, grande vita. Fino alla fine dei nostri giorni terreni.

Sempre e per Sempre

Pioggia e sole
Cambiano
La faccia alle persone
Fanno il diavolo a quattro nel cuore
E passano
E tornano
E non la smettono mai

Sempre e per sempre tu
Ricordati
Dovunque sei
Se mi cercherai
Sempre e per sempre
Dalla stessa parte mi troverai

E ho visto gente andare, perdersi e tornare
E perdersi ancora
E tendere la mano a mani vuote
E con le stesse scarpe camminare
Per diverse strade
O con diverse scarpe
Su una strada sola

Tu non credere
Se qualcuno ti dirà
Che non sono più lo stesso ormai

Pioggia e sole abbaiano e mordono
Ma lasciano
Lasciano il tempo che trovano
E il vero amore può
Nascondersi
Confondersi
Ma non può perdersi mai

Sempre e per sempre
Dalla stessa parte mi troverai
Sempre e per sempre
Dalla stessa parte mi troverai

“L’età è quella che pensi che sia. Si è vecchi quanto si pensa di esserlo.” (MUHAMMAD Ali)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto per la collaborazione offerta 

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