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Anch’egli, come Fichte, è un Idealista

e conferisce all’ “Io” tanta importanza,

ma Schelling viaggia in un’altra pista,

perché una nuova idea, adesso, avanza.

L’ “Io” fichtiano agiva inconsciamente

ed il  “Non io” da quello dipendeva;

Natura e Spirito hanno un’immanente

attività, che è fra lor coeva.

La prima rappresenta la Preistoria

e ostacoli si dà per affermarsi;

quando si evolve, raggiunge la sua gloria

e, allor, “cosciente”, poi, potrà chiamarsi.

La Storia impersonerà il secondo:

nella Natur lo Spirito è palese,

per arrivare all’Assoluto tondo

a farsi in due, un dì, esso s’arrese.

Quello “teoretico” è per la conoscenza

e alla Natura, poi, s’adeguerà;

invece il “pratico”, con la sua esistenza,

adatto all’agir, per noi, sarà.

Soltanto l’Arte coglie l’Assoluto,

per merito del genio, il quale unisce

l’inconscio e il conscio, come Dio ha voluto,

sperando che l’idea, poi, non svanisce.

Il Dio di Schelling è un poco ambivalente

(la morte d’Hegel poi cambia il suo pensiero),

perché all’inizio dice che è immanente;

sarà, poi, trascendente per intero.

L’idea che Spirito sia nella Natura

Esprime appieno il Romanticismo,

di cui il filosofo è somma creatura,

perché ha conosciuto il Magnetismo.

Due poli opposti attratti son fra loro,

come lo sono Spirito e Natura;

insiem potrebbero formare un coro:

“unità indifferenziata” è ciò che dura!

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