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L’indennità di accompagnamento è una prestazione assistenziale che richiede i seguenti requisiti:

  • riconoscimento di un’invalidità totale ed impossibilità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore oppure incapacità di svolgere autonomamente gli atti quotidiani della vita;
  • non essere ricoverato gratuitamente;
  • essere cittadino italiano residente in Italia, cittadino comunitario iscritto all’anagrafe del comune di residenza o cittadino extracomunitario titolare del permesso di soggiorno di almeno 1 anno di cui all’articolo 1 del T. U. Immigrazione.

L’importo dell’indennità, pari a 525,17 euro mensili per l’anno 2022, è erogato dall’INPS per 12 mensilità e viene aggiornato ogni anno dal Ministero dell’Interno. In ordine a tale provvidenza, in più occasioni, è intervenuta per delinearne l’ambito di operatività la Corte di Cassazione, che, con la sentenza n. 25569/2008, in relazione alla richiesta di indennità di accompagnamento avanzata da una persona affetta da carcinoma e sottoposta a trattamento chemioterapico, ha affermato che l’indennità di accompagnamento spetta a coloro che siano stati riconosciuti inabili totali e che, inoltre, si trovino nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbiano bisogno di un’assistenza continua, sicchè il problema del trattamento chemioterapico “non può essere risolto in astratto, con l’affermazione che esso comporti sempre e di per sé, oppure non comporti, il diritto alla indennità di accompagnamento, ma costituisce una situazione di fatto, sicché si deve esaminare caso per caso se esso comporti, per gli alti dosaggi e per i loro effetti sul singolo paziente, anche per il tempo limitato della terapia, le condizioni previste dall’articolo 1 legge 11 febbraio 1980, n. 18”. La stessa, in virtù di tale principio, nel caso esaminato non ha ritenuto meritevole di accoglimento la richiesta della provvidenza perchè il consulente tecnico d’ufficio, pur avendo reputato il trattamento gravemente invalidante, non aveva “accertato alcun preciso e concreto elemento idoneo ad evidenziare una totale e continua impossibilità di deambulare o di attendere autonomamente agli atti quotidiani della vita anche durante il periodo di trattamento chemioterapico, al di fuori di un sin troppo generico riferimento alle gravi condizioni cliniche” dell’interessata.

Erminia Acri-Avvocato

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