Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Sí, ha ragione un cortese lettore che ci ha inviato una lettera nella quale definisce una mostruosità linguistica l’uso errato che la stampa (ma non solo) fa dei verbi giustiziare e assassinare. Ma il lettore non deve meravigliarsi più di tanto; dovrebbe aver fatto il callo, ormai, a questo assassinio linguistico, anche se sappiamo benissimo di pretendere molto da una persona linguisticamente onesta. Come si fa, infatti, a restare insensibili di fronte a un delitto? Soprattutto quando gli autori dell’assassinio non danno prova alcuna di pentimento? Questa gente dovrebbe essere giustiziata o assassinata? In senso metaforico, ovviamente. Giustiziata, senza ombra di dubbio. Giustiziare significa, infatti, punire eseguendo una condanna a morte. E chi può punire, quindi giustiziare, se non un’autorità costituita? Se esistesse, per assurdo, la pena capitale contro i colpevoli di lesa lingua lo Stato (autorità costituita) avrebbe il diritto-dovere di… giustiziarli, non di assassinarli, anche se ai fini pratici purtroppo non cambierebbe nulla.
È un gravissimo errore, quindi, scrivere in un articolo di cronaca nera che il malvivente è stato giustiziato dai suoi complici; è stato assassinato, non giustiziato, in quanto gli autori del delitto o, se preferite, della punizione non sono un’autorità costituita, la sola, ripetiamo, abilitata a giustiziare. Vediamo, ora, sotto il profilo prettamente linguistico, come sono nati i due verbi che la stampa ritiene sinonimi ma che tali non sono. Il primo, giustiziare, è la traduzione del francese medievale justicier, tratto dal latino iustitia (da iustum, secondo il diritto; e chi ha il dirìtto se non, appunto, un’autorità?). L’altro, assassinare, è tratto dalla voce turca hasciashin, non dal latino, come ci si aspetterebbe.
Vediamo, per sommi capi, la storia di questo verbo. Nel secolo XIII gli aderenti a una setta musulmana, nata in Persia, divennero famosi per le loro azioni violente e terroristiche perpetrate ai danni della Siria, della Palestina e della Mesopotamia. Questi eroi si macchiavano dei più atroci delitti, impensabili in persone normali: non erano banditi ma belve assetate di sangue umano che uccidevano anche quando nessuno li contrastava. Per caricarsi prima di compiere le loro imprese sanguinarie facevano uso di una droga arrivata, purtroppo, fino a noi: l’hashish. I malcapitati, quando li vedevano arrivare, li chiamavano hasciashin, bevitori di hashish. Il termine, giunto a noi, è stato adattato in assassini, donde il verbo assassinare. Giustiziare e assassinare sono sinonimi dunque? Sotto il profilo linguistico no, sotto quello ‘pratico’ sí.
A cura di Fausto Raso
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.