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Questo articolo è nato da un costruttivo confronto dialettico, oltre 10 anni fa. È sembrato giusto proporlo nella giusta maniera e arricchito dalle esperienze regalate dal tempo.

BUONA LETTURA

Avrei bisogno di farle alcune domande che mi sono scaturite dalla lettura di un suo vecchio articolo intitolato Il sognatore. E’ disponibile?

Certo, come sempre.

Bene. lei, all’inizio del suo lavoro, riporta una frase che recita, testualmente, “Negli occhi dei bambini non c’è amarezza”. Come si può essere certi di una cosa del genere, dal momento che ognuno di noi ha ricevuto tante frustrazioni durante la propria crescita?

La felicità della tua vita, dipende dalla qualità dei tuoi pensieri (Marco Aurelio). Man mano che si cresce e si diventa adulti, in base alle proprie esperienze e, soprattutto, alla personalità che si ci si ritrova, si può perdere il piacere di considerare la vita una “fantastica avventura” oltre che un’irripetibile opportunità. Questo non può accadere da piccoli (ovviamente non consideriamo situazioni particolari di malattie o sofferenze di altro genere). Si è mai soffermata sullo sguardo “perso” di un bambino di fronte ad uno stecco di zucchero filato? Ha mai notato il piacere che prova nell’assaporare una gomma da masticare o l’interesse che sviluppa davanti alla visione di un cartone animato?

Qualcuno ha detto che non si cambia mai il piacere: si cambia solamente l’oggetto. Allora possiamo presumere che, soprattutto da bambini, si riesca a proiettare su tutto quello che rappresenta un elemento fortemente motivazionale, il piacere primordiale della fusione con l’essere nel quale siamo cresciuti come all’interno di un lago senza increspature.

Ogni attimo di felicità si genera su quella linea di confine fra il ricordo delle privazioni passate e il timore di poter perdere tutto, nel futuro.

Mi spiego meglio. Man mano che cresciamo, ci accorgiamo che quel mondo Fantastico che immaginavamo, all’ombra della protezione dei nostri genitori, si trasforma in una specie di percorso ad ostacoli in cui, il prezzo della “crescita”, consiste nel lasciare andare comodità cui ci eravamo abituati.

Caspita, è vero! Però, ad esempio, il fastidio che può provare un bambino piccolo quando nasce un fratellino e si sente meno al centro dell’attenzione, non può generare amarezza per il senso dell’abbandono che prova?

Diceva Filumena Marturano nell’omonima commedia di Eduardo de Filippo: “Lo sai quando si piange? Quando hai conosciuto il bene e non lo puoi avere!” Ogni genitore che ha imparato ad accettare il proprio “pargolo” a prescindere dal numero dei figli e dal quantitativo delle loro marachelle, trasmette inconsapevolmente il più grande tesoro del mondo: la percezione di essere amati. “La felicità è un regolato scorrimento di lubrificanti endocrini” (E. Pound)

È vero che, crescendo, si soffre di più?

È un dato di fatto che, normalmente, ad uno sviluppo neurobiologico corrisponda un’attivazione sensoriale maggiore. Ed è più che auspicabile che, man mano che ci si stacca dalla simbiosi col “genitore guida”, aumenti la sensazione di quell’angoscia che anticipa ogni cambiamento importante.

E questo, cosa comporta?

Che ti accorgi di tante più cose, della realtà che ti circonda. E, se nel tuo percorso tutto va secondo regole corrette, eviti di nasconderti le verità. Anche perché, come ha scritto Simone de Beauvoir, se un tormento viene tenuto temporaneamente lontano, non si può dire che abbia cessato di esistere. È presente persino nella cura con cui si cerca di evitarlo

E quindi?

Tanto più sei maturo, tanto meglio affronterai gli eventi.

Restando tetragono ai colpi di ventura?

Vedo che apprezza Dante Alighieri. In realtà, nessuna persona sincera con se stessa può far finta di nascondersi ai momenti belli e a quelli brutti. Si ride e si piange, questa è la verità!

C’è chi è più fortunato di altri?

Se non ci limitiamo ad ascoltare i racconti popolari e ci approfondiamo su quello che ci racconta la Storia (quella con la esse maiuscola, appunto), ci accorgeremo che, al massimo, si nasce più o meno avvantaggiati ma poi si recupera, se si vuole. Eclatanti esempi di disabili che hanno raggiunto i vertici nel campo dell’arte, dell’ingegneria e delle scienze in genere lo testimoniano contro chi vorrebbe vittimizzarsi per comodità.

Qualcuno sostiene che, inconsapevolmente, costruiamo muri dietro ai quali nasconderci, sperando di essere al sicuro dalle possibilità di restare feriti. Concordo sul fatto che, però, questi muri ci imprigioneranno, ingabbiando il nostro dolore.

Cosa intende per “ideale positivo” e per “impegnarsi e lottare”? Fino a che punto bisogna darsi da fare per realizzare un obiettivo? Non c’è il rischio di sacrificare molto della propria esistenza in attesa di vedere realizzato qualcosa che non si è neppure certi di raggiungere?

Si dice che qualcuno nasca “con la camicia” (molto fortunato) e chi “senza la camicia” (meno fortunato). Allo stato attuale, è più corretto affermare che gran parte delle persone si ritrovi “col cappotto” (buona salute, assenza di indigenza, ambiente protettivo, etc.) e non se ne accorge, anzi, o si “accomoda” godendosi il tepore, oppure si lamenta. A fronte di ciò, esiste un’altra frangia di volenterosi che, pur essendo coperti “solo da una maglietta”, prendono il largo con la ferma determinazione di andare lontano e diventare, come sosteneva Einstein, “persone di valore oltre che di successo”. Ecco, io voglio essere uno di loro, anche se non è facile diventarlo.

Un’ultima domanda. C’è un modo per cercare di udire ogni giorno il “suono armonico” di cui lei parla alla fine del suo articolo?

Ricordo che, da bambino, una voce gentile accompagnava i miei momenti di tristezza: “Avrai una stanza tutta per te e una finestra da dove osservare le nuvole rincorse dai dubbi che, sapendo di non poter raggiungere il sole, faranno compagnia alla nostalgia dei momenti più belli. In questo modo, i desideri torneranno a farti compagnia rendendo dolce l’ombra della sera”.

In fondo, come abbiamo imparato da Trilussa, c’è un’ape che si posa su un bottone di rosa: lo succhia e se ne va. Tutto sommato, la felicità è poca cosa!

Ho i brividi: è normale?

Vuol dire che ha trovato la risposta alla sua domanda

G. M.

Si ringrazia Erminia Acri per la formulazione delle domande

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