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“Negli occhi dei bambini non c’è amarezza”. Questo sostiene, molto probabilmente a ragione, Paolo Cohelho nel suo libro “I cavalieri della luce”

Già, ma dopo?

Perché si perde, lo spirito di quell’essere umano che va incontro alle nuove esperienze con curiosità e voglia di fare? Perché ci si abbrutisce dietro ad un “format” che “spegne” ogni sguardo calando un sipario di tenebre e mediocrità?

Qualcuno sostiene che ciò sia dovuto al peso delle responsabilità che via via, chi più, chi meno si accolla. Altri ritengono che ciò vada ascritto alla monotonia che assale gli umani, gradualmente, inesorabilmente, rendendoli simili a prodotti industriali… in attesa di “consumazione”. Tutto giusto, per carità ma…

…se fosse soltanto paura?

Paura di non essere all’altezza delle richieste che la vita ci propone e ci impone, paura perché altri ci inoculano le proprie insicurezze, che si sviluppano dentro di noi e ci ottenebrano i pensieri…

La breve (rispetto ai “tempi” dell’Universo) esistenza umana è costituita da una serie di “stanze” comunicanti fra loro in maniera osmotica, che si dividono, alla ricerca di un equilibrio, fra l’applicazione ad un lavoro (inteso come “nobile” esercizio mediante cui realizzare il meglio di sé), la ricerca di un amore (in grado di scaldare quell’animo scalfitto dalle disillusioni), l’educazione dei figli (come valore fondamentale) ed una buona gestione del tempo libero. In questo modo, lo spazio dei ricordi, che inesorabilmente corrode quello delle speranze e del tempo che verrà, si arricchirà di quegli spunti che renderanno più dolce, dignitosa e nobile l’ultima frazione della propria esperienza terrena.

C’è chi mi accusa di non saper amministrare le mie risorse vitali (salute, energia, etc.) per via della dedizione al lavoro ed all’impegno verso progetti di vita innovativi ed impegnativi, arrivando addirittura a ventilare l’ipotesi di un egoismo sfrenato, a danno delle persone a me più care.

Ovviamente con ciò, non voglio offrire uno spaccato della mia privacy, di cui sono molto geloso. Il mio interesse è quello di trasmettere un messaggio forte e chiaro a chi sa e vuole ascoltare: la vita non ha senso, quando è priva di un ideale positivo, per il quale valga la pena di impegnarsi e lottare. Lasciare una traccia di sé, non tanto per mania di protagonismo, quanto per poter dire:“io c’ero”. Per realizzare un progetto del genere, non c’è bisogno di fanfare e lustrini: esistono, infatti, tanti piccoli eroi silenziosi impegnati in continui cimenti chiaroscurali. Al di fuori di ciò, l’unica utilità della propria presenza è quella di trasformarsi in concime, ad exitus determinato.

“Nella spiaggia ad est del paese c’è un’isola sulla quale sorge un gigantesco tempio con tante campane – disse la donna. Il bambino notò che lei indossava strani abiti e che un velo le copriva i capelli. Non l’aveva mai notata prima. – hai mai visto questo tempio? – gli domandò lei – vai fin laggiù e dimmi cosa ne pensi .- Il bambino si recò sul luogo stabilito e dei pescatori gli spiegarono che l’isola era sprofondata molto tempo prima a causa di un violento terremoto. Solo loro, grazie alla particolare sensibilità ed alla fantasia che contraddistingue ogni “lupo di mare” erano in grado di sentire il suono delle campane che, come per magia, si diffondeva dalle profondità marine. Il bambino sostò su quella spiaggia, ogni giorno, per lungo tempo nella speranza, vana, di udire qualcosa. Arrivò il giorno in cui decise di abbandonare e, solo allora, libero da condizionamenti e pregiudizi, percepì nitido un armonico accordo di campane: era finalmente pronto…” (Paolo Cohelho – Il manuale del guerriero della luce)

Alcuni esperti sostengono che esiste il rischio in base al quale, forse, non vivrò a lungo, visto il sistema che ho innescato nel mio interno. Ebbene, a parte il fatto che a me piace smentire i presaghi, posso dire che mi basterà, sulla via del tramonto, riuscire ad ascoltare il suono di quella armonica via di fuga dalla mediocrità individuando, all’orizzonte, il punto esatto dove libertà e fantasia si fondono insieme. Ecco, è lì che vorrei andare. Con gli occhi di quel ragazzo che non mi ha mai abbandonato. Le mie figlie, capiranno.

Roma, lì 22.11.2204

G. M.