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Da ragazzo, Albert Einstein, ha trascorso un anno a bighellonare oziosamente. Se non si perde tempo, non si arriva da nessuna parte, cosa che i genitori degli adolescenti, purtroppo, dimenticano spesso. Era a Pavia. Aveva raggiunto la famiglia dopo aver abbandonato gli studi in Germania, dove non sopportava il rigore del Liceo. Era l’inizio del secolo e in Italia si assisteva all’inizio della rivoluzione industriale. Il padre, ingegnere, installava le prime centrali elettriche in Pianura Padana. Albert leggeva Kant e seguiva, a tempo perso, lezioni all’Università di Pavia; per divertimento, senza essere iscritto né fare esami. È così, che si diventa scienziati sul serio. Poi si era iscritto all’Università di Zurigo e si era immerso nella Fisica. Pochi anni dopo, nel 1905, aveva spedito tre articoli alla principale rivista scientifica del tempo, gli “Annalen der Physic” (Sette brevi lezioni di Fisica – Carlo Rovelli – Adelphi ed.).

A spasso verso un futuro migliore…Caro Dottore, la lettura di un suo articolo intitolato “Le Stagioni della Vita, in cui lei mette in rilievo il fatto che, secondo Natura, l’autunno e l’inverno dovrebbero essere periodi in cui ridurre le proprie attività, per ricaricarsi in vista della primavera e dell’estate, mi ha indotta a formulare alcune domande sull’importanza del “riposo” per l’essere umano. Secondo il dizionario italiano, questo termine significa: “cessazione dell’attività, della fatica; sonno”. Partendo da questa definizione, potrebbe chiarirmi meglio cos’è il riposo?

Le risponderò precisando, anzitutto, che il termine “riposo” non contempla, in effetti, la cessazione di ogni attività (quello sarebbe il riposo eterno!) ma soltanto la diminuzione del lavoro psicofisico entro limiti compatibili con una situazione di riduzione di stress che consenta un recupero funzionale delle energie spese nelle applicazioni precedenti.

Qual è il rapporto tra riposo e comunicazione con se stessi? Che rapporto sussiste tra riposo e logica?

In condizioni di assenza di stress negativo (distress), è chiaro che il rapporto con la propria identità si colloca entro parametri di correttezza; in questo modo, si ha tempo e possibilità di “dialogare” con il proprio mondo interno e approntare strategie adeguate per affrontare le difficoltà a breve e medio termine, senza lasciarsene “intossicare”.

La logica, come sappiamo, rappresenta un parametro fondamentale (il più importante) che ci consente di discernere ciò che è giusto da quello che è sbagliato o, addirittura, dannoso. È chiaro che, come ho detto prima, mettere la propria mente in condizioni di “tranquillità meditativa”, equivale a stipulare una polizza di sicurezza per la propria vita, in buone condizioni, ovviamente. Effettivamente, quando ci si sottopone a stress lavorativi incongrui, si corre il rischio di perdere di vista le vere motivazioni per cui valga la pena continuare ad aprire gli occhi, al mattino. A queste condizioni, (in cui la logica smette di fornire indicazioni cui “riferirsi”) si innescano fenomeni di disconnessione neuroendocrina ed immunitaria, con invecchiamento precoce e forte rischio di patologie gravi (neoplasie, etc.). Quello di cui sto parlando, non rientra nel campo delle ipotesi ma in quello della ricerca scientifica… e sono stati (purtroppo) sacrificati molti animali da laboratorio per dimostrare queste tesi.

A questo punto, la domanda è scontata: qual è il riposo fisiologico, corretto?

È chiaro che non ci riferiamo ad esempi di inattività da pigrizia, che creerebbero danni da ipostress. Oltre quello che ho già detto, posso aggiungere che, il riposo, non va inteso solo come periodi di “stacco” prolungato, ma come modo di intendere la vita e le proprie attività lavorative. Ad esempio, riuscire ad affrontare gli impegni con quel necessario “distacco” che eviti eccessivi (e pericolosi) coinvolgimenti, non impedisce di lavorare con passione, ma consente di usare correttamente il cervello, evitando di alterare il ciclo metabolico di adrenalina e cortisolo (con danni a breve termine). La vita, in fondo, è fatta di equilibri!“Quando non si trova il riposo in se stessi è inutile cercarlo altrove” (La Rochefoucauld). Cosa bisogna fare per “indursi” al riposo?

Anzitutto, affrontare e risolvere eventuali situazioni di conflittualità interiore. Poi, è altrettanto importante ricordarsi che non dobbiamo vederci come cavalli da corsa con l’obiettivo di vincere i “Grand Prix” o di interpretare la parte dei tristi comprimari che si “trascinano” senza senso, fra mille paure. In realtà noi siamo come gli scalatori che si godono ogni metro di ascesa, apprezzando le proprie capacità e i propri miglioramenti. Insomma, è necessario imparare a “ricercare” una buona motivazione per il “durante” perché, alla fine della corsa, non ci sarà possibile inserire un altro gettone e ricominciare da capo! Con queste semplici indicazioni, non è difficile riuscire ad andare d’accordo con se stessi e diventare capaci, anche, in caso di necessità, di “indursi” al riposo.

“Tutta l’infelicità degli uomini viene da una sola cosa: il fatto di non saper starsene a riposo in una stanza” (Blaise Pascal). Quanto c’è di vero in questa frase, considerato che la felicità dipende dall’equilibrio psicofisico che deriva dall’appagamento delle proprie necessità di esseri umani?

Gli aforismi, in genere, racchiudono tante verità che vanno, spesso, oltre la semplice definizione “nuda e cruda”. Il problema di gran parte dell’umanità consiste nel non aver ricevuto un’educazione tesa a sviluppare una buona capacità di adattamento (senza subire!) e a trascorrere, in “tranquillità” del tempo con se stessi. Provi ad immaginare di incontrare una persona che parla ad alta voce, da solo: cosa penserebbe?

Beh, potrebbe trattarsi di qualcuno che parla all’auricolare del proprio telefonino, oppure di una persona un “po’ strana”!

Ecco, questa è la prova di quello che ho detto prima! Non c’è la mentalità per capire, ad esempio, che parlare da soli rappresenta la prova del rapporto con la propria identità!

A me capita spesso di “dovermi” riposare per essere arrivata al punto di non riuscire più a far nulla, né come impegno mentale né come impegno fisico. A queste condizioni il riposo diventa una sorta di riparazione a stati di malessere. E’ possibile evitare di raggiungere queste situazioni e godersi, senza sofferenze, il riposo di cui si avverte il bisogno?

Se rilegge con attenzione quanto le ho esposto finora, troverà la risposta.

Perché, se non si arriva a certi livelli di saturazione, non si avverte l’esigenza di fermarsi? Forse perché, avendo una sola vita a disposizione, si cerca di realizzare il più possibile in funzione dell’appagamento dei propri bisogni?

Effettivamente, ogni essere umano vorrebbe lasciare una traccia di sé, nel cammino che percorre durante la parabola della propria esistenza. Bisogna fare i conti con la realtà. però…

In che senso?

Maggiore è il volume di lavoro che si sviluppa, in funzione dell’obiettivo di cui le ho parlato prima, minore sarà la qualità della propria vita, perché si avrà poco tempo a disposizione da dedicare alla ricerca di equilibri esistenziali, a misura di essere umano. Il fatto di non poter godere dell’opportunità di più vite (nell’attesa di verifiche scientifiche in merito alla possibilità di reincarnarsi), deve far riflettere sulla necessità di elaborare strategie miranti ad un’esistenza “piena”, fatta di lavoro e svago, inteso anche come tempo da dedicare alle scoperte di ogni genere (località varie, amicizie, esperienze, etc.).

Come si concilia l’esigenza del riposo, in funzione del rispetto di se stessi, con gli impegni lavorativi, familiari, sociali, ecc.?

Qui si tratta di stabilire un principio importante: tutto quello facciamo, per legge di Natura, deve “girare” in funzione dell’appagamento dei propri bisogni, egoisticamente parlando. Quindi, se non si perde la “bussola”, si riuscirà a dare un ordine di priorità (prima se stessi, poi tutti gli altri) altrimenti si brancolerà nel buio di un cammino irto di difficoltà e altamente demotivante.

Cosa si sentirebbe di suggerire, per convincere gli altri dell’importanza di anteporre se stessi agli altri?

Agli irriducibili “altruisti”, posso ricordare che, più ci manteniamo in buone condizioni, migliore potrà essere la nostra disponibilità verso gli altri.

“Ci imbattiamo contro gli ostacoli per avere riposo ma, quando lo abbiamo, diventa insopportabile”(Henry James). Perché per lo più, quando si avrebbe il tempo per riposarsi, si cerca, invece, subito di impegnarsi in un altro lavoro e, poi, ci si lamenta di essere sempre stressati?

Per riuscire a rilassarsi, occorrono delle condizioni particolari; le stesse che le ho già spiegato. Inoltre, posso aggiungerle che, molta gente, ha bisogno di tenersi sempre impegnata, seguendo la scia tracciata da altri e non verificata a sufficienza, per non essere costretta a domandarsi: “Ha una valenza concreta, quello che faccio?”. A causa di ciò nasce la frenesia del “doversi dare da fare”, ad ogni costo.

E’ piuttosto diffusa l’abitudine di elogiare chi si sacrifica, per il lavoro, per la famiglia, ecc., e di disdegnare chi dichiara di oziare, ogni tanto. Da dove è nata questa convinzione e quanto ci condiziona?

La responsabilità è da attribuire alla mentalità occidentale influenzata da condizionamenti morali e religiosi in base ai quali, ci si deve sentire in colpa se ci si dedica a se stessi (che poi è l’unico “bene” che realmente si possiede). In conseguenza di ciò, si è sviluppata l’abitudine di autoaffermarsi attraverso un impegno che possa avere ricadute positive nei confronti degli altri… ed essere elogiati per questa “dedizione”. È un modo come un altro (tutto sommato, a valenza positiva per la Società) per dare, egoisticamente, uno scopo alla propria esistenza terrena.

Grazie, dottore, anche per questa volta abbiamo fatto un buon lavoro. Possiamo salutarci con un aforisma?

Le riporterò qualcosa di simpatico, appartiene alla cultura tibetana ed è molto “curioso”: “Se la vita non ti sorride, cerca di essere tu a farlo. Se non basta, prova a farle il solletico!”

G. M. – Medico Psicoterapeuta (5 febbraio 2004)

Si ringrazia Erminia Acri, per la formulazione delle domande.

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