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Ma è possibile che uno impara a camminare, a parlare, ad andare in bicicletta, a lavorare, a fare il minestrone, ad amare e, poi, il mondo continua ad andare avanti senza di lui… Senza esitazioni, senza un ripensamento? Possibile che io sono solo un vaso di coccio che precipita nel vuoto? Eppure, io voglio conoscere la verità, qualunque sia; perché se sai le cose, sei libero. In fondo, ho bisogno di Amore. Ci sono molte cose che non vorrei perdere adesso… Dio quante! L’alba, il tramonto, il bellissimo grande mare, gli occhi degli altri. Gli altri: vivi, come me, ora”

Questa volta iniziamo con una riflessione che racchiude un po’ il succo di tutte le domande poste nel nostro Forum di SOS Alzheimer On Line: quella dell’artista Fabio Volo riportata nel film “Uno su Due” nel quale interpreta il ruolo di un professionista di successo che, scoprendo all’improvviso di essere gravemente malato, si rende conto di cosa significhi vivere, nel senso più vero e più pieno.

La malattia non è una crudeltà in sé, né una punizione, ma solo ed esclusivamente un correttivo, uno strumento di cui la nostra anima si serve per indicarci i nostri errori, per trattenerci da sbagli più gravi, per impedirci di suscitare maggiori ombre e per ricondurci alla via della verità e della luce, dalla quale non avremmo mai dovuto scostarci” (Edward Bach).

È chiaro che difficilmente decidiamo di ammalarci. Almeno in maniera consapevole.

Riflettiamo, però, sulle meraviglie di cui siamo composti: potremmo definirci i discendenti di chi o di ciò che ha creato (attraverso quello che gli scienziati definiscono Big Bang) l’Universo.

Infatti, dopo pochi istanti dalla “Creazione” si sono costituiti dei gas e del plasma. Da qui le infinite galassie di stelle, alcune delle quali, andando a raffreddarsi, hanno dato vita ai pianeti come, ad esempio la Terra.

Un po’ alla volta, grazie alle prime piogge, i germi vitali contenuti nei granelli apparentemente inerti, hanno iniziato a produrre i batteri e, via via, tutte le altre esistenze senzienti da cui siamo comparsi noi.

Carl Gustav Jung, ha parlato di un Inconscio Collettivo (che potrebbe essere allocato nel nostro DNA) nel quale sono contenuti milioni di anni di evoluzioni e di esperienze condivise.

Non un semplice serbatoio però ma, come accade per il pianeta Terra (che nel suo interno ha un magma incandescente), semmai come un propulsore di esperienze che ci proietta verso il futuro attraverso degli “sbuffi” che fertilizzano la nostra voglia di procedere che altrimenti, per le troppe frustrazioni, verrebbe a spegnersi.

Accade, però, che in base all’ambiente nel quale (fin da piccoli) facciamo il nostro rodaggio esistenziale (gli esperti parlano di “Modelli Operativi Interni”), finiamo col divenire più o meno resilienti alle frustrazioni o, addirittura, corriamo il rischio di smarrire quella via maestra grazie alla quale, da spermatozoi, siamo a riusciti a fecondare l’ovulo e, da neonati (grazie alle cure dei nostri genitori) ci apriamo, con una inesauribile curiosità, alla Vita.

Come ho avuto modo di esprimere in altre circostanze, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 1946, ha chiarito che “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non, semplicemente, l’assenza di malattia e di infermità”

ma è con la Carta di OTTAWA del 1984 (al termine della prima Conferenza  internazionale sulla promozione della salute), che si è capito cosa farne, del benessere fisico e mentale: “Grazie ad un buon livello di salute, l’individuo e il gruppo devono essere in grado di identificare e sviluppare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, modificare l’ambiente e adattarvisi”.

E allora, per tornare alle riflessioni di partenza, sul significato da dare alla nostra esistenza così “ricca” e “nobile”…

Potremmo intendere la Vita più o meno come un viaggio in Treno, con stazioni e cambi di direzione. Alcuni possono essere piacevoli sorprese, altri profondi dolori. Quasi tutti, non previsti consapevolmente.

Alla nascita crediamo che i nostri genitori ci accompagneranno per sempre eppure, prima o poi, scenderanno lasciandoci continuare, da soli e senza il loro insostituibile amore, il nostro viaggio.

Però, se impareremo a guardarci intorno, scopriremo che molte altre persone saliranno sul treno della nostra vita (i fratelli, gli amici, l’Amore…)

Ed è curioso osservare come, a volte, anche i più familiari siano sistemati in vagoni diversi dal nostro. Durante l’intero viaggio possiamo restare separati, senza alcun tipo di contatto o di comunicazione. Ma, in realtà, nulla ci impedisce di avvicinarci a loro, se c’è una reciproca volontà.

E il viaggio continua, pieno di sfide, sogni, fantasie, gioie, dolori, attese e addii…

Sarebbe bello avere un buon rapporto con tutti cercando, in ognuno, il meglio che ha da offrire perchè, a un certo punto della strada, tutti esiteremo in cerca di qualcuno che ci capisca.

Il grande mistero è che non sapremo mai in quale stazione dovremo scendere (noi, o nostri più intimi compagni di viaggio).

E ci ritroveremo a pensare: “Quando toccherà a me, avrò nostalgia di casa? Quanto dolore proverò dal distaccarmi dalle persone a cui voglio bene?”

Probabilmente lasceremo i nostri figli al proprio destino, senza più poterli aiutare…

Eppure potremo aggrapparci alla speranza di vederli, un giorno, arrivare alla stazione per loro più importante, con un bagaglio che non avevano quando hanno iniziato il loro viaggio. Ci renderà felici il sapere di aver contribuito nella crescita, fino alla stazione finale.

La morale della nostra storia consiste nel sentirci “strumenti umili e importanti al tempo stesso”, di questo fantastico viaggio, al punto che il nostro posto vuoto accanto a chi, invece, resta… lasci la forza di continuare, sul Treno della Vita.

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