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L’abitudine, la routine, il ritmo scandito delle nostre vite, ci porta a dare per scontata ogni cosa. Il traffico odioso che incontriamo la mattina presto, lunghe file alla cassa di un supermercato, ogni azione che facciamo, una stretta di mano, la distanza fisica tra noi e gli altri, finanche l’arrogante che non si ferma allo stop e i conducenti che impediscono i sorpassi sono meno insopportabili.

Gli abbracci, i baci che diamo ai bambini, ma anche agli adulti, i quali ci hanno sempre fatto star bene, ed hanno fatto del bene, oggi assumono le fattezze di potenti mine distruttive da schivare.

Tuttavia c’è qualcosa che si propaga nel mondo che è mille volte più veloce del Covid-19: la paura e al contempo il senso di appartenenza.

È tutto un lavoro continuo di pazienza, di disperata attesa della normalità.

Misure restrittive, tristi, ma necessarie, le quali in molti casi richiedono ad ognuno di noi di mettere in moto la propria capacità di adattamento.

Spero che da tutto questo disfacimento ogni essere umano, a prescindere dal luogo in cui si trovi, possa comprendere che viviamo in un universo che è un tutto interconnesso, che anche la distanza fisica può annullarsi.

Persino il legame di attaccamento non conosce distanza o lontananza, poiché siamo tutti connessi.

Si tratta però di un legame, di una connessione che va oltre alle lan, ai social e alle applicazioni, poiché anche empatizzare con l’altro, mettersi nei panni dell’altro, sentire le proprie paure, sentire la propria rabbia, implica connessione.

È utile comprendere che esistono dei bisogni primari non indispensabili, non appagando i quali tu sopravvivi ma non vivi. Poi ci sono delle situazioni necessarie che ti consentono una crescita interiore, ed infine ci sono le necessità del tempo storico ad esempio tablet, pc, smartphone, automobili che tuttavia non sono dei bisogni, poiché quest’ultimi sono da intendere tali solo se nascono con l’essere umano.

Abbiamo però qualcosa di speciale, che spesso sottovalutiamo: un’energia potenziale, tanta energia vitale a disposizione. Siamo tutti mossi da tale energia, ma in pochi la conoscono. Si tratta della stessa energia che utilizziamo per appagare bisogni come ad esempio mangiare, bere, vestirci, e che dopo aver raggiunto il minimo indispensabile ci permette di andare oltre.

Il Dott. Giorgio Marchese, Medico-Psicoterapeuta, vice-direttore e docente della scuola di Formazione in Psicoterapia ad indirizzo Dinamico SFPID di Roma, riporta il concetto del Fondatore della SFPID, il dott. Giovanni Russo (medico psicoterapeuta) il quale definisce tale energia vitale “NEUTRERGIA” e la descrive come quell’energia vitale che sblocca il flusso del ruscello, che permette al cavallo di rialzarsi.

Ci avviciniamo quindi al concetto Freudiano di Pulsione. Con il Progetto di una psicologia (1895):Freud descrivel’energia nervosa sul modello dell’energia fisica. Tutti i fenomeni mentali vanno interpretati in termini di investimenti e movimenti di tale energia, e i principi che regolano le quantità di energia sono: l’inerzia, cioè la tendenza alla completa scarica dell’energia, e la costanza, ovvero la tendenza a mantenere costante l’eccitamento. Secondo Freud per spiegare il conflitto diventa quindi centrale il concetto di pulsione, inteso come un processo dinamico che si compone di una fonte (eccitamento somatico), una meta (scaricare la tensione energetica per ripristinare l’omeostasi interna), ed un oggetto.

Mi sembra legittimo chiedermi: tutto questo ha qualcosa a che fare con la resilienza? Dovremmo quindi riflettere sull’etimologia del termine resilienza, il quale deriva dal latino resalio, ossia saltare in dietro, risalire, salire. Nella terminologia marinara resalgo indica l’atto di risalire nella barca qualora si fosse finiti in mare per una forte onda o a causa di un forte urto.

Questa situazione purtroppo ci conferma che vi è un limite al di là del quale non siamo in grado di andare e che ci fa paura. La paura di affrontare una malattia, con l’aggravante che si tratta di una malattia che lascia impreparata anche la medicina, la paura che gli ospedali non possano contenere il numero dei pazienti contagiati, la paura di sapere cosa c’è oltrepassando una porta.

In un momento di forte incertezza, difficoltà e stress, l’induzione ad agire data dalla paura non serve a nulla, così come il prendere decisioni importanti.

È importante un continuo dialogo con se stessi e scoprire le risorse che ognuno ha, per risalire, per rialzarsi.

La resilienza, è quindi la capacità adattiva nel superare, e sopravvivere a degli eventi avversi di vita, in modo tale da riuscire a vivere meglio quella che potrebbe essere una piccola grande sfida. Ed è proprio in momenti come questi che essa può alleggerire il carico emotivo a cui tutta l’Italia, e non solo è sottoposta. Pertanto è opportuno svilupparla, potenziarla e restituirla:

  • affrontando le difficoltà;
  • affrontando le paure;
  • provandoci con coraggio;
  • mettendosi alla prova;
  • essere protagonisti della propria vita.

Questo è possibile poiché abbiamo un cervello complesso che ci permette di adattare le esigenze logiche con le necessità sociali, e per far questo abbiamo dei bisogni e la necessità di non allontanarci per troppo tempo dal “naturale”; questo fa la differenza tra una persona in equilibrio e una persona che deraglia.

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