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Le condizioni di dissesto del fondo stradale, che sempre più frequentemente si riscontrano sulle strade e sui marciapiedi comunali, non di rado sono causa di infortuni per i pedoni.

In casi del genere, la giurisprudenza di merito tende a riconoscere il diritto al risarcimento dei danni in base all’art.2043 codice civile, quando il danno sia stato cagionato da cattiva manutenzione della strada e da tale condotta sia derivato l’evento dannoso, non potendosi applicare agli enti proprietari delle strade la disciplina di cui all’art.2051 codice civile, secondo cui ognuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito, in quanto diventa impossibile un controllo idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per terzi laddove il territorio da monitorare è troppo esteso.

Tale orientamento è stato espresso dalla Corte di Cassazione, tra le altre, con la sentenza n.23277/2010, che ha affermato la responsabilità del Comune proprietario della strada per i danni patiti dall’infortunata caduta, nel caso esaminato, per essere andata ad inciampare su un tombino instabile che, in mancanza di segnalazione o recinzione della zona interessata, rappresentava un pericolo occulto e imprevedibile per gli utenti della strada.

In particolare, secondo la Corte, in materia di responsabilità per danni derivanti da beni di proprietà della Pubblica amministrazione, ove non si possa applicare la disciplina di cui all’art. 2051 cod. civ., perchè sia accertata in concreto l’impossibilità dell’effettiva custodia del bene, per la notevole estensione del bene stesso e per le modalità di uso del medesimo da parte di terzi, “l’ente pubblico risponde dei pregiudizi subiti dall’utente, secondo la regola generale dell’art. 2043 cod. civ., norma che non limita affatto la responsabilità della P.A. per comportamento colposo alle sole ipotesi di esistenza di un’insidia o di un trabocchetto. Conseguentemente, secondo i principi che governano l’illecito aquiliano, graverà sul danneggiato l’onere della prova dell’anomalia del bene, che va considerata fatto di per sé idoneo – in linea di principio – a configurare il comportamento colposo della P.A., mentre spetterà a questa dimostrare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia o l’impossibilità di rimuovere, adottando tutte le misure idonee, la situazione di pericolo”.

Erminia Acri-Avvocato

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