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Sotto il sole, la pioggia, il vento o anche le splendide giornate.

Le prime parole del mattino vengono fuori senza alcun filtro o purificazione e per questo sono le più spontanee, sincere e senza interessi.

Luglio. Lo sprint finale, è richiesto uno sprint finale per poter finalmente prendere il volo staccando quanti più contatti è possibile verso la libertà. E così mi ritrovo immersa nei tanti pensieri che affollano, ferma al solito semaforo prima ancora di cominciare.

Le macchine sfrecciano velocemente innanzi, incuranti del contorno, del paesaggio che comincia ad inaridirsi per il caldo. Con la mente divisa esattamente a metà fra le cose da fare e le ferie da raggiungere vengo ad essere richiamata dalla silenziosa presenza di qualcuno al finestrino della mia auto.

Una giornata di antico dolore, come un tempo.

Mi sveglio piena di energie da dedicare alla cura delle cose che più amo, comincio presto e senza fermarmi, consapevole che questo mi porterà velocemente e serenamente al riposo. Ma…, qualcosa prende un’altra strada, sfugge al controllo senza darmi la possibilità di recuperare anche solo per un momento.

La certezza della solitudine.

Curioso come il rumore di fondo che echeggia fra le mura bianche di questo asettico ambiente si fa sentire accompagnato dall’opprimente peso della solita solitudine. La abbraccio e mi lascio avvolgere, addormentandomi di un sonno doloroso e pieno di interferenze.

Nasce dalle incomprensioni, intese non solo come la non possibilità di farsi comprendere ma anche dall’incapacità di comprendere.

Fredda, come questa insolita stagione che proprio non vuole decollare, invadente, come l’arroganza della prepotenza, penetrante, in ogni angolo di anima.

Le due cose si intrecciano l’una nell’altra, potrebbero sembrare uno stato d’animo che incontra una bambina in carne ed ossa, apparentemente scollegati.

Ma il nesso logico qual è? Esiste veramente?

Con discrezione, senza far rumore, piena di dignità come fosse una donna adulta, ma, con la spontaneità che caratterizza il mondo dell’infanzia, si avvicina e, guardandomi dritta dentro gli occhi, timidamente avanza la sua tenera richiesta.

Ormai sono presa e catturata, senza alcuna voglia di tornare indietro né avanzare, vorrei restare qui, sotto questo albero sistemato al crocevia di una strada troppo trafficata, incurante del contorno che … peraltro è molto bello.

È vero. Da qualche giorno ormai mi sveglio con la sgradevole sensazione di arrivare quando la luce è già spenta. Assaporo ogni riga arricchendo l’emozione, convinta più che mai che siamo arrivati al bordo del trampolino. Poco si può fare se non che spiccare il salto. Nello stesso momento mi sento trattenuta da un mano invisibile, delicata ma forte ad impedire ogni mio tentativo di spostamento.

Dalla rima come sempre sporge una lacrima sempre più densa, frammista di malinconia, serenità, piacere di provare. Porto con me qualcosa o lascio andare?

Ricomincio a cercare, fra le cose cui più tengo, dal passato nella speranza che possa venir fuori una traccia. Cerco qualcosa che possa portarmi più vicino. Mi fermo a riflettere: cosa sarà mai, il desiderio di condividere l’innocenza, il piacere di donare un po’ di allegria, la voglia di partecipare? Dov’è la verità questa volta?

Incredibile come la complicità che si crea spontaneamente nelle situazioni più difficili suggella un legame che si avvia a diventare indissolubile.

Leggo a voce alta e ascolto da me stessa, senza lasciarmi distrarre dai rumori di fondo, che in questa stagione prepotentemente si impongono.

Un fiume di parole, senza sosta.

Lentamente, con le leggerezza che la caratterizza, timidamente ha imparato ad osare, a chiedere quello che le viene innaturalmente negato alla sua piccola età.

I ritagli di tempo, fugaci ma i più preziosi. Li colgo, respirandoli fino alla fine.

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