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Quasi senza accorgermene la penna è scivolata fra le mie mani. Ed improvvisamente quel precario equilibrio si frantumò. A me era sempre sembrato forte, solido, ben costruito. Anche con tanta fatica. Quello che dico quando ho voglia di raccontare è che è affascinante il modo in cui la mente ha comunicato. E’ come se mente e corpo si fossero temporaneamente scissi, ma rimasti collegati da un sottile e robusto filo di nylon, pronto a vibrare ad ogni leggero scossone, che si propaga a velocità sostenuta ma non costante. Anzi in accelerazione positiva e crescente, proporzionale all’entità dello stimolo che l’ha causato.

All’inizio ho pensato di tutto, una reazione spropositata ad un farmaco, una intossicazione e, per finire, anche un problema articolare. Poi, in un momento di disperazione totale, quasi una illuminazione. Anzi, forse per deformazione professionale, direi una intuizione. Ho cercato un numero, un nome che aleggiava nella mia testa da qualche tempo. In quel momento è iniziato il viaggio all’interno della mia anima e quasi senza accorgermene la penna è scivolata fra le mie mani e ha dato voce ad un insieme di dolori, inibizioni e malesseri che risultavano imprigionati dentro me stessa. Improvvisamente un senso di pace interiore e proprio dal mio interno è partito un messaggio istantaneo diretto al mio corpo: “Ora puoi stare bene. Hai finalmente capito o quantomeno hai preso coscienza”.

La cosa mi sembrava alquanto strana. Ma come, io una persona razionale ed intelligente, sempre pronta ad affrontare i problemi e non sfuggirli, attenta alle persone e forse un po’ diffidente che decide istantaneamente di affidare la propria anima ad uno sconosciuto!

E così invece è stato. Ho varcato la soglia parlando a me stessa, raccomandandomi di non fermarmi, di provare a non guardare, di credere ciecamente per una volta e di abbandonarmi. Penso di aver parlato piangendo, oppure di aver pianto ad alta voce. Non è la stessa cosa. Ora posso dire di aver versato molte lacrime in questi ultimi anni della mia vita, senza però mai accorgermene, in silenzio.

Si toccano corde profonde e dolenti, si devono fare i conti con gli schemi che si creano all’interno della propria coscienza. Quelli che vengono fuori dai vissuti propri di ogni persona che si pone continuamente delle domande e che cerca di darsi delle risposte. Si attraversano momenti di euforia, brevi sprazzi di felicità perché sai benissimo che stai vedendo delle cose che non sono visibili a tutti. Ma questo ha un prezzo da pagare. E quindi si cade nella nostalgia, di chissà poi che. Forse di niente, è solo uno stato d’animo che al culmine diventa tristezza profonda. Si impadronisce di ogni cellula, di ogni tessuto, di ogni organo del tuo corpo e, con prepotenza assoluta, prevale. Ma con la stessa violenza con la quale ti pervade, ti abbandona e lascia il posto alla consapevolezza. Alla certezza che quello è il cammino giusto e che vuoi o non vuoi, và vissuto, in ogni giorno della tua vita, fra le tempeste e fra i bei colori dell’autunno che dolcemente si fa strada e lascia il posto alla rigidità, ma anche al caldo tepore delle serate d’inverno. E allora mi fermo a pensare a quanto c’è di bello, anche in una serata di nostalgia e tristezza. E quando guardo insistentemente negli occhi di chi mi sta di fronte, sto cercando di scrutare all’interno della mia anima.

I mille cocci in cui si era frantumato quell’equilibrio quasi per magia del momento si ricompongono e con molta fantasia immagino che si concretizzino in una forma armonica e semplice, ma reale.

E nella mia mente risuonano i versi di una canzone di un noto cantautore italiano: “La vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia” (Vasco Rossi, Sally).

Alla mia famiglia

A chi mi ha dato la vita

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