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Pubblicato su Lo SciacquaLingua

Moltissime persone, anche quelle la cui cultura linguistica dovrebbe essere insospettabile, scrivono e dicono “ossequiente” (inseriscono quella “i” che non c’entra minimamente) credendo che questo aggettivo sia un deverbale, sia, cioè, un aggettivo derivato dal verbo “ossequiare”. Se cosí fosse si dovrebbe dire “ossequiante” perché il participio presente (con funzione aggettivale) dei verbi in “are” ha la desinenza in “ante”: parlante; cantante; …ossequiante. La persona rispettosa, riverente, ubbidiente, che rende ossequio si dice “ossequente” (senza la “i”). Notiamo, con piacere, il fatto che in questo caso tutti i vocabolari sono concordi, lo stesso Zingarelli, uno tra i piú “permissivi”, non ammette la “i”. Altri, meglio, riportano – in parentesi – che la forma “ossequiente” è errata. E hanno perfettamente ragione: ossequente discende dal latino “obsequente(m)”, accusativo del participio presente “obsequens” del verbo “obsequi” (ubbidire, accondiscendere). Attraverso un processo di assimilazione ‘obsequentem’ è diventato ‘ossequentem’, quindi – in italiano – “ossequente”. L’assimilazione, sarà utile spiegarlo, è un processo linguistico per cui dall’incontro di due consonanti la prima diventa uguale alla seconda. Nel caso specifico di “obsequente(m)” la consonante “b” è stata assimilata dalla “s”. Il verbo “ossequiare”, quindi, come si può ben vedere, non ha nulla a che vedere con l’aggettivo ossequente che è – ripetiamo – la sola forma corretta. L’equivoco grossolano della “i”, se si esclude il verbo ossequiare, potrebbe esser nato dalla “i” di ossequio. Ma ora che avete “scoperto” l’errore, cortesi amici, siate… ossequenti alle leggi della lingua.

A cura di Fausto Raso (18 settembre 2013)