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Perdonare, è liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu” (Sacre Scritture ).

2 Agosto 2003. Un messaggio nel mio server di posta elettronica. Una freccia scoccata con la precisione di un arciere che sa cosa colpire, quando e perché. Così conosco Vincenzo Andraous, nato a Catania nell’ottobre del 1954, detenuto nel carcere di Pavia, ristretto da una vita e condannato all’ergastolo.

“FINE PENA MAI”.

Non avrei mai immaginato che una simile sequenza di lettere avrebbe generato in me un senso di angoscia legato alla consapevolezza di un’impossibile via d’uscita. Un evento contro cui è inutile lottare. Troppo, per chi non è abituato ad arrendersi. Nemmeno all’evidenza.

Ed è così che comincio a leggere alcuni dei suoi libri, autentici pezzi d’arte nel panorama della saggistica sul carcere e la devianza. “Autobiografia di un assassino: dal buio alla rinascita”. Forte, come un pugno nello stomaco. Amaro, come le lacrime di chi soffre con dignità. Dolce, come la speranza di chi sa che può rappresentare un simbolo di riscatto per intere generazioni di sbandati: dannati come chi vaga nelle tenebre della propria coscienza ma, al tempo stesso, “teneri come grissini al primo imbocco”.

È sempre il più furbo che, alla fine della corsa, pagherà per tutti invecchiando “dentro”, come il pezzo di carcere che lo ha sepolto…

Lui non si considera uno scrittore. Né un poeta. Dichiara di essere “solo” uno che ha qualcosa da comunicare, senza alcuna presunzione di insegnare nulla a nessuno, o salvare alcuno dal proprio destino. Il suo essere diventato qualcuno da osservare, nel corso dei tanti giorni con “il sole a spicchi” per capire che si può diventare diversi e, addirittura, migliori dei tanti che stanno “fuori” ma, al tempo stesso, chiusi “dentro” i propri egoismi.

Imparando a conoscerlo ho capito che è una persona che disegna con le parole ciò che sente, senza perifrasi o falsi moralismi. Ha imparato a scrivere leggendosi “dentro” e lascia impronte che inducono ad ascoltare le note del cuore.

Inizia, così, unacollaborazione tecnica che dura fino ad oggi e che mi ha portato a concludere che là, dove, sovente, la civiltà muore, dove il popolo delle galere non ha più generazioni da consegnare alla storia… c’è lui, per non sentirti un numero, né un oggetto ingombrante ma, semmai, un uomo da aiutare per diventare a tua volta, un perno su cui far girare tanti altri in difficoltà.

È lui, col suo modo di trasmettere chi era e cosa è diventato, ad insegnarmi ogni volta che leggo i suoi pensieri, che il destino, a certe condizioni, disegna la propria trama, ai bordi delle vie maestre, dove si “interpreta” la vita alla stregua di un rettilineo privo di uscite di emergenza, dove l’inciampo è a un tiro di schioppo, dove non è possibile gridare.

Questo Lui, il nostro Vincenzo, impastando (insieme alla sua belle Margarita) alchemicamente le migliori energie, ha dato alla luce uno dei più bei fiori del 2016. Marinella. Che, etimologicamente, significa: “allegra e piena di vita”.

E, giustamente, a Lei, ha dedicato la letterina di NATALE

Tanti cari auguri, VinceAmico mio. (Giorgio Marchese)

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Il Bambino nasce per ogni uomo libero perché responsabile, per tanti altri ai ceppi alla riconquista della propria dignità, è un tempo di ricongiungimenti auspicati, di separazioni schiodate ai legni, di una pena che non possiede cadenza dei domani che bussano alla porta.

Natale è festa sprovvista di timbri sul passaporto, non concede autorizzazione né rilascia vacanze pagate al miglior offerente, è attesa che non regala favole inventate, lettura di qualche pagina consunta dalle dimenticanze, usurate, nell’indifferenza. E’ Avvento di perdono che non teme tradimenti, non lascia scampo alle attenuanti, quelle comode di ieri, di oggi che è già domani, non sta nascosto alle parole, ai metodi e alle forme dei comportamenti.

Quest’anno, davvero, non sarà Natale delle solite promesse, delle rese, delle perdite consistenti, non sarà percorso di gara da affrontare con il numero UNO in bella mostra sulla pettorina, quel Bambino nasce per tutte le colpe che non sono facili da raccontare, per formare un sentiero dalle radici piantate profonde, affinché l’albero della vita non tema il vento né la tempesta che pure ci saranno. E’ momento di condivisione, di cittadinanza e appartenenza a un progetto di vita, richiamo per coloro che non vedono, guardano a ciò che è accaduto, a ciò che ancora accade tutti i giorni, senza pensare a questa venuta che induce a prendere coscienza, a non avere paura dei muri di gomma, del prossimo rimbalzo, del potere che non fa servizio, e rimanda alla strada del tempo freddo che non finisce, spinge fuori dalle assi di coordinamento sociale, sbalestrate al punto da intenderle linee architettoniche inarrivabili.

Riconoscere Natale non sta nell’acquisto dell’albero di luce meglio addobbato, alla messa di mezzanotte perentoriamente in prima fila. Quando la pietà non fa scaramucce, è pietà che non ha coraggio da vendere, solamente da offrire, mai miserabile o miserevole, è pietà che offre alla gamba di spinta un lungo e lento viaggio di ritorno, per chi non ha voce, non ha più tempo, non ha amore. Per chi possiede ancora un barlume di dignità, persino quando la vicinanza è imbarazzante, con quanti si ritengono giudici ultimi, nei giudizi espressi, senza conoscere e senza sapere chi vive e chi muore, chi cammina con le ginocchia consumate, o quanti non ce la fanno più neppure ad arrabbiarsi, figuriamoci mantenere viva la speranza.
Non sarà il solito Natale in vendita, ma un monito a difesa di chi ha bisogno, di chi rimane indietro, di chi è in difficoltà, non ci sarà bisogno di recarsi al mercato delle bugie per acquistare un altro po’ di quella speranza indignata, essa sta dietro ogni croce piegata, ogni fossa scavata malamente, ogni fallimento del cuore, non del portafoglio.

Non sarà Natale da comprare, bensì una relazione d’amore da fare crescere insieme, lascerà sparse orme buone, non saranno quelle del famoso Orso, ma sono certo fanno un po’ di aiuto per un mondo di uomini migliori.

Vincenzo Androus– Counselor, Tutor Comunità “Casa del Giovane” Pavia

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