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Conta solo il reddito personale dell’invalido?

Per invalidi civili si intendono coloro che sono affetti da minorazioni psico-fisiche di diverso tipo,
congenito o acquisito, non dipendenti da causa di guerra, di servizio o di lavoro. In particolare rientrano nella categoria degli invalidi civili coloro che, avendo un’età compresa tra i 18 e i 65 anni, sono affetti
da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, che abbiano determinato una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore ad un terzo; i minori di 18 anni, che abbiano difficoltà
persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età; gli ultra sessantacinquenni che hanno difficoltà a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.

 

La pensione di inabilità è stata istituita con la legge n.118/1971 e prevede come requisiti
necessari:

-la residenza in Italia;

-un’età compresa tra i 18 e i 65 anni (dopo i 65 anni si ha diritto alla pensione sociale a carico
dell’INPS);

-il riconoscimento dello status di invalido civile con percentuale del 100%;

-reddito non superiore ad un certo limite rivalutabile annualmente secondo gli indici di valutazione
delle retribuzioni dei lavoratori dell’industria rilevate dall’ISTAT agli effetti della scala mobile sui salari (€15.154,24 per il 2010).

 

Ai fini dell’accertamento del requisito reddituale, previsto per l’attribuzione della pensione di
inabilità di cui all’art. 12 della legge 118/71, stabilito dall’art. 14 septies della legge 33/80, parte della giurisprudenza ha ritenuto di dover tenere conto dei redditi percepiti dai componenti del nucleo familiare
dell’interessato. Tuttavia, la Corte di Cassazione con la recente sentenza n.20426/2010, depositata in data 29.09.2010, ha precisato che una corretta interpretazione delle norme di riferimento conduce ad escludere l’influenza
del reddito degli altri componenti il nucleo familiare dell’invalido civile per ottenere la pensione di inabilità.

 

In particolare la Corte ha evidenziato che “La L. 20 marzo 1971, n. 118, art. 12, nel disporre la
concessione della pensione di inabilità ai mutilati ed invalidi civili, di età superiore agli anni diciotto e dichiarati totalmente inabili al lavoro, al secondo comma rinvia, quanto alle condizioni economiche
per l’attribuzione del beneficio, a quelle previste dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 26, come poi modificato dal D.L. 2 marzo 1974, n. 30, art. 3, convertito, con modificazioni, nella L. 16 aprile 1974, n. 114, recante
norme per le pensioni sociali. In base all’art. 26, come innanzi modificato, potevano fruire della pensione sociale i cittadini con redditi propri assoggettabili all’imposta sul reddito delle persone fisiche per un ammontare
non superiore a L. 336.050, annue, e se coniugati, un reddito, cumulato con quello del coniuge, non superiore a L. 1.320.000, annue. A. norma del D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 14 septies, comma 4, questi limiti di reddito
per le pensioni di invalidità, con decorrenza dal 1 luglio 1980 sono stati elevati a L. 5.200.000, calcolati agli effetti dell’IRPEF e rivalutabili annualmente secondo gli indici di valutazione delle retribuzioni
dei lavoratori dell’industria, rilevate dall’ISTAT agli effetti della scala mobile sui salari”, ed ha richiamato altre sentenze della stessa Cassazione che hanno asserito che il legislatore, nel fare riferimento ai
limiti di reddito calcolati agli effetti IRPEF, indica che debba avere rilievo solo il reddito dell’invalido assoggettabile all’IRPEF, a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 3 e ss., e successive modificazioni.

 

 

 

Erminia Acri-Avvocato