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Un marito siciliano, dolendosi della decisione dei giudici di merito che gli avevano addebitato la separazione per il rifiuto, protattosi per ben sette anni, di intrattenere normali rapporti affettivi e sessuali con la moglie, si è rivolto alla Corte di Cassazione per ottenere l’annullamento della predetta decisione, con conseguente addebito della separazione alla moglie.

Ciò perché, a suo dire, aveva interrotto i rapporti sessuali con la moglie in reazione alla condotta della stessa, colpevole di essersi schierata col fratello che aveva accusato il cognato di essersi appropriato di somme appartenenti alla Cooperativa edilizia da cui era stata realizzata la casa coniugale.

Ebbene, anche se il comportamento della moglie non è stato conforme ai doveri di solidarietà verso il marito, secondo i giudici di merito, v’è stata sproporzione tra il comportamento del marito e la condotta della moglie, che, pur rappresentando mancanza di fiducia, e quindi di solidarietà, nei confronti del coniuge, non integra di per sé una trasgressione grave dei doveri coniugali, tale da sorreggere la pronuncia di addebito.

La stessa argomentazione è stata condivisa dalla Cassazione, che, nel decidere sul ricorso del marito, con la sentenza n.6276 del 23.03.2005, ha precisato che “Il rifiuto, protattosi per ben sette anni, di intrattenere normali rapporti affettivi e sessuali con il coniuge costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner e situazione che oggettivamente provoca senso di frustrazione e disagio, spesso causa, per come è notorio, di irreversibili danni sul piano dell’equilibrio psicofisico”.

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