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Pubblicato su Lo SciacquaLingua

Ci sono alcuni retaggi [il termine non è schiettamente italiano derivando dal gallico — francese antico — eritage, tratto dal verbo eriter e questo dal… latino hereditare (ereditare), eredità] scolastici duri a morire.

Molte persone sono convinte — come impararono, a suo tempo, a scuola, per l’appunto — che tutte le parole che finiscono in “-e” sono di genere femminile.

Non è tassativamente così (come apprendemmo alle elementari).

Ci sono alcuni vocaboli che, pur terminando in “-e”, possono appartenere ai due generi, e “asse” è uno di questi.

Il genere, però, non si decide tirando in aria la monetina: testa, asse femminile; croce, asse maschile.

Asse è di “sesso” femminile quando significa lista di legno, ricavata, naturalmente, segando il tronco di un albero. Sarà, invece, di “sesso” maschile quando indica il perno della ruota e nelle varie accezioni figurate: l’asse Roma-Berlino; l’asse ereditario; il lungo asse della politica estera; l’asse terrestre; l’asse stradale.

Sarà, altresì, maschile nelle accezioni della matematica, dell’ottica oltre che come unità monetaria. Vediamo, ancora, altre parole che terminando in “-e” possono essere sia maschili sia femminili e il genere lo “stabilisce” l’articolo: il giudice/la giudice; il custode/la custode; il nipote/la nipote; il vigile/la vigile; il cantante/la cantante; il consorte/la consorte; il contabile/la contabile ecc.

Altre, invece, sono tassativamente o di genere maschile o di genere femminile.

Sono di “sesso” maschile: il padre, il mese, il ponte, il pesce, il cane, il ristorante, il maiale, il re, il sole, il latte ecc

Sono di genere femminile: la notte, la lezione, la canzone, la stazione, la serie, la lavatrice ecc. Si presti attenzione, dunque, ai vocaboli che finiscono in “-e” perché possono essere “indipendenti” o appartenere ai due generi.

A cura di Fausto Raso

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