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Possiamo affermare che la chiamata del popolo ai comizi elettorali rappresenta la più alta significazione della democrazia; e per noi Italiani, il consolidamento di una pratica politica ancora da consolidare, se ci poniamo in raffronto con le democrazie più antiche del nostro continente: parlo dell’Inghilterra, della Francia e dei paesi nordici.

Infatti l’Italia, come Stato autonomo ed indipendente, vanta, appena, 143 anni di vita. Ma a noi manca, ancora, quella maturazione politica che rende la chiamata alle urne come un momento sacrale nel quale ogni cittadino avverte la coscienza dell’esercizio del voto dal quale dipenderà l’avvenire della comunità in cui vive.

Sarebbe inutile riandare al periodo storico che corre tra il 1861 anno della nascita del REGNO d’Italia ed il 1° gennaio 1948, anno dell’entrata in vigore della nostra attuale Costituzione; si ritiene, più opportuno analizzare i comportamenti più eclatanti sia dei candidati che degli elettori.

Quelli della mia età ricorderanno, certamente, i grandi assembramenti popolari nelle varie piazze d’Italia per ascoltare i discorsi dei vari leaders dei partiti, mentre sul palco dell’oratore di fama nazionale saliva il meglio dei politici del luogo, oltre, s’intende, al delfino di turno designato alle cariche locali o nazionali del potere.

Ciò avveniva fino agli anni sessanta; poi la televisione sostituì la piazza, e fu la fortuna delle emittenti locali che offrivano, ed offrono, i loro schermi ai diversi candidati, molti dei quali impegnavano ingenti somme per pagarsi la campagna elettorale fatta di apparizioni televisive, manifesti, volantini, depliants spediti a mezzo posta, e noi, sconosciuti elettori, eravamo inondati di lettere ciclostilate, spillate all’immancabile “bigliettino con fotografia, partito e numero di lista”; quante fortune si sono dilapidate per la conquista di un seggio politico, fosse pure quello di consigliere circoscrizionale.

Poi, a molti cittadini è venuta una sorta di ripulsa verso l’ipocrisia parolaia dei candidati di qualsiasi parte politica, forse perché l’antico termine romano di candidato si è svalutato a tal punto che molti, preferiscono esprimere la propria protesta, disertando le urne; a proposito, nell’antica Roma, coloro che intendevano intraprendere il cosiddetto cursus honorum, si vestivano con una candida toga, dal biancore immacolato, non solo per proporsi come eligendi, ma, soprattutto, per manifestare, col candore della toga, la purezza del loro intelletto e delle loro intenzioni politiche; quanti, al giorno d’oggi, possono definirsi candidati?

Un altro motivo di ironia ci viene suggerito dagli slogans che usano sia i partiti che i singoli candidati; ad esempio, ho letto alcuni di questi messaggi che, se analizzati a lume di logica e, a volte, anche dal punto di vista sintattico, manifestano chiaramente non solo la pochezza di idee, ma, vieppiù, l’impudenza di chi li propone, perché si cerca di turlupinare l’intelligenza del cittadino comune, mentre non si accorgono che il vero torto lo si fa alle proprie intelligenze, se così si possa dire !!!

Oggi campeggiano manifesti murali dalle misure galattiche, e tutti promettono un futuro diverso, una nuova età dell’oro che ci libererà dagli affanni, dalle crisi economiche, dai pericoli di varia natura: e tutti parlano usando i verbi al modo indicativo, sì, ma al tempo futuro; mai un politico che riconosca i propri errori operativi, mai un politico che faccia ammenda delle promesse non mantenute; ci sono, poi, di quelli che hanno la faccia tosta di preannunciare, ad ogni inizio di campagna elettorale, il rilancio dell’economia con il conseguente abbassamento dei carichi fiscali, ben sapendo – e questo è grave – che la scienza economica non è addomesticabile, né prevedibile a lunga scadenza, proprio perché ci sono degli imponderabili che scompigliano programmi e progettazioni; ricordate il fallimento dei famosi piani economici quinquennali dell’ex Unione Sovietica ? O le promesse elettorali di chi non aveva fatto i conti con i tragici eventi dell’ 11 settembre 2001?

Eppure, si potrebbe legiferare, in materia elettorale, ponendo un rigido freno alla frenesia dei politici di mestiere: come? Basterebbe, semplicemente, attuare i principi di democrazia di cui è ampia trattazione nella Repubblica di Platone, che si possono così sintetizzare:

1° sono chiamati a governare solo i saggi e i sapienti, la cui aspirazione è quella di assicurare ai cittadini l’ordine e la pacifica convivenza;

2° Sono considerati saggi solo coloro che si dedicano al sapere, alla conoscenza intesa nel suo significato più alto, per cui non avvertono né la cupidigia, né la tentazione della ricchezza ( a proposito, molti politici a livello locale ed altri a livello nazionale e regionale, non sanno nemmeno di quanti articoli si compone la nostra Costituzione!);

3° A nessuno è consentito di concorrere per più di una volta, nella sua vita, ad un incarico elettorale ; per cui, anche i Presidenti della Repubblica, una volta espletato il loro mandato, che riacquistino la dignità di semplici cittadini.

Ma questa è un’utopia, direbbe il quisque de populo ; ma, proprio per questo, nessuno potrà toglierci il gusto di sognarla!!

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