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Molto clamore ha suscitato la recente sentenza della Cassazione n. 37814 del 4 ottobre 2003, con cui una madre divorziata è stata condannata a pagare 200 euro di multa per aver assunto un atteggiamento neutrale di fronte al rifiuto della figlia di frequentare il padre.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ravvisato nella condotta della donna il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, di cui all’art. 388 del codice penale, precisando che si deve ritenere sufficiente ad integrare l’elemento psicologico del reato la coscienza e volontà di eludere l’applicazione del provvedimento del giudice, sicchè, pur non spettando al coniuge affidatario di compiere opera di persuasione nei confronti di un figlio che autonomamente rifiuta di vedere l’altro genitore, il dato di fatto che, per alcuni mesi, era stato impedito l’esercizio del diritto del padre di visitare la figlia, ha dimostrato che la donna “non ha ritenuto di dovere adottare i comportamenti strettamente indispensabili a consentire l’esercizio effettivo del diritto di visita al padre, non fornendo, sul piano materiale e su quello del rapporto con la figlia minore, quell’apporto minimo in termini di coordinamento e cooperazione che è sempre necessario per garantire l’esecuzione secondo buona fede (id est: la non elusione) dei provvedimenti del giudice civile concernenti i minori”.

Pertanto, secondo l’orientamento espresso nella citata sentenza, il coniuge separato o divorziato affidatario dei figli ha il dovere di cooperare al diritto di visita del padre/madre dei loro figli, anche se sono i ragazzi a non volere assolutamente vedere l’altro genitore.

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