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Con quest’articolo si intende fornire qualche indicazione, anche alla luce della riforma del diritto societario, sui gruppi di imprese, fenomeno molto diffuso nella realtà economica, ancora privo di un’adeguata regolamentazione.


Il fenomeno dei gruppi di imprese e la riforma del diritto societario.

E’ diffuso da diverso tempo, a livello mondiale, il fenomeno del gruppo di imprese, cioè il collegamento di più società giuridicamente autonome, per lo più mediante la detenzione di partecipazioni, in un’unità imprenditoriale funzionale, tanto che si è affermato che il diritto delle società è uscito dall’era atomica per entrare nell’era molecolare.

La disciplina dei gruppi di imprese ha posto innumerevoli problemi sia alla dottrina sia alla giurisprudenza, in cui sovrabbondano le formule linguistiche: ‘gruppo di società’, ‘gruppi di società’, ‘gruppi di imprese’, ‘gruppi’.

Il legislatore è intervenuto in materia in modo episodico e frammentario, senza consentire di ricostruire una disciplina organica di un fenomeno con cui le imprese si propongono al mercato interno ed internazionale; e la situazione è resa ancora più difficile dall’inadeguatezza del diritto societario vigente, fondato sul “dogma” della persona giuridica, che non si adatta al fenomeno del gruppo.

Dottrina e giurisprudenza, quindi, hanno dovuto affrontare il difficile compito di individuare i principi giuridici con cui dare soluzione alle questioni che man mano si sono presentate nell’esperienza pratica, cercando di definire anche il concetto di gruppo, per distinguerlo da situazioni affini.

In particolare, la giurisprudenza si è occupata particolarmente del problema relativo all’acquisto della qualità di imprenditore da parte di quei soggetti che svolgevano attività di gestione e di finanziamento delle società a loro facenti capo. In proposito, la Corte di Cassazione, con sentenza n.1439/90, ha affermato che l’attività’ di direzione e coordinamento di un gruppo di imprese cui sia funzionalizzato l’esercizio dei poteri derivanti dal possesso di uno o più’ pacchetti azionari, sia essa svolta da una società di capitali, da una persona fisica o da una società’ di fatto, determina l’acquisto della qualità di imprenditore in capo a chi la eserciti quando, oltre ad essere qualificata dai requisiti usualmente intesi dell’organizzazione e della professionalità, la stessa sia svolta in nome dell’esercente e risulti astrattamente idonea a far ottenere al gruppo vantaggi economici ulteriori rispetto a quelli realizzabili in mancanza dell’opera di coordinamento. Il soggetto imprenditore cosi’ identificato esercita direttamente solo una fase dell’attività d’impresa quella corrispondente alla stessa opera di direzione-; le altre fasi sono esercitate indirettamente, per il tramite delle società controllate, ed e’ al loro contenuto che occorre rifarsi per individuare il ramo della produzione o dello scambio connesso alla qualifica imprenditoriale attribuita all’esercente l’attività direttiva. Quindi, affinché all’attività d’impresa dell’imprenditore-holding sia riconosciuta natura commerciale, è sufficiente che anche solo una delle attività svolte dalle società controllate sia compresa in uno dei tipi previsti dall’art. 2195c.c. Diversamente, il soggetto che eserciti un’attività di direzione e governo di un gruppo di imprese acquista egualmente la qualità di imprenditore commerciale quando, oltre a detta attività, ponga in essere anche attività di servizi ausiliarie a sostegno delle attività operative svolte dalle società controllate, purché nell’esercitarle il medesimo spenda il proprio nome e le stesse attività ausiliarie rivelino un’economicità autonoma rispetto all’economicità propria delle attività svolte dalle società controllate.

Nella stessa sentenza la Corte ha precisato che la scienza economica delinea il gruppo come un’aggregazione di unita’ produttive, giuridicamente autonome, ma collegate sul piano organizzativo per una migliore attuazione degli obiettivi perseguiti dal complesso, sicché elementi qualificanti del fenomeno sono “la direzione economica unitaria e l’autonomia formale delle imprese partecipanti al gruppo”. Ha aggiunto, altresì, che la direzione unitaria si differenzia dal semplice controllo, perché quest’ultimo è ravvisabile in “una situazione potenziale di esercizio di influenza dominante”, mentre il gruppo e’ caratterizzato dall’esercizio effettivo di detta potenzialità. Inoltre, mentre il controllo e’ un fenomeno che può riguardare un’unica controllante ed unica controllata, la direzione unitaria del gruppo ha come caratteristica essenziale la pluralità delle controllate, coordinate dall’unica controllante in un’organizzazione imprenditoriale complessa dal punto di vista economico.

La Corte ha riconosciuto la meritevolezza del modello organizzativo del gruppo di società, in quanto strumento rispondente alle nuove esigenze del mercato, sottolineando che ‘la direzione unitaria’, tipica di detto modello, pur non essendo prevista specificamente dalla legge, non è contraria ai principi inderogabili vigenti nel diritto societario, accogliendo gli orientamenti comunitari ed internazionali basati su una visione del gruppo di società come centro unitario di imputazione di situazioni giuridiche.

Successivamente non vi sono stati altri interventi della Corte di Cassazione sulla configurazione giuridica del gruppo di imprese, e i giudici di merito che si sono occupati della materia si sono uniformati all’orientamento espresso nella citata sentenza n.1439/90.

Le esigenze del mercato in continua evoluzione ed il processo di unificazione europea hanno indotto il Legislatore ad attivare i lavori di riforma del diritto commerciale, e, quindi, societario, con l’istituzione di gruppi di ricerca qualificati. Già nella scorsa legislatura la Commissione presieduta dal Prof. Antonino Mirone aveva presentato al governo un disegno di legge che si proponeva essenzialmente di rendere flessibili le forme societarie e flessibile il rapporto tra imprese e mercato finanziario, con una disciplina normativa più semplice di quella attuale e più favorevole allo sviluppo di nuove aziende, specie delle piccole e medie imprese, oggi ancora soggette a norme rigide e ad oneri amministrativi, avvicinando così le società italiane a quelle degli altri Paesi europei, con una semplificazione delle procedure per la costituzione delle società e le modifiche statutarie, e conseguente maggiore autonomia per le imprese. Esso determinava i principi generali per ciascun tipo di società di capitali (a responsabilità limitata, per azioni, cooperative), prevedeva una nuova disciplina in tema di giurisdizione per garantire una più rapida definizione delle cause e dei ricorsi camerali, in determinate materie; nonché una ridisciplina della materia penale, con la previsione di nuove figure di reati ed illeciti amministrativi.

Riguardo ai ‘gruppi’ il Progetto Mirone riconosceva rilevanza giuridica alla circostanza dell’appartenenza ad un gruppo della singola società, ritenendo fisiologica l’ingerenza della controllante nella gestione della controllata entro certi limiti. Difatti, nell’art.9, lett. A) riconosceva la legittimità della ‘direzione unitaria’ che definiva come un'”attività di direzione e di coordinamento” che avrebbe dovuto contemperare adeguatamente l’interesse del gruppo, quello delle società controllate e dei loro soci di minoranza. Tale disposto, in effetti, recepiva una soluzione da tempo sollecitata da gran parte della dottrina ed anticipata da alcune leggi speciali, in particolare dall’art.61, 4°comma, d.lgs. 1 settembre 1993 n.385, disciplinante, in materia bancaria, la direzione e coordinamento della capogruppo, e dall’art.90 d.lgs. 8 luglio 1999 n.270, in tema di responsabilità degli amministratori per abuso di direzione unitaria.

Tuttavia, in ordine alla formula impiegata nell’art.9 lett. a) si era rilevato che essa risultava generica, aperta, perciò, a diverse interpretazioni.

In particolare rimaneva da risolvere il problema se il limite all’attività di direzione e di coordinamento dovesse essere riferito ad un singolo atto o al contesto dei rapporti tra i membri del gruppo. Inoltre, propendendo per questa seconda soluzione si poneva l’ulteriore questione se il vantaggio compensativo del sacrificio subito dalla società affiliata dovesse essere inteso in senso rigorosamente quantitativo e proporzionale o se fosse sufficiente la sua ragionevole previsione a medio e lungo termine.

Comunque, nonostante il riconoscimento di un’ingerenza nella gestione delle società del gruppo, molti problemi ad essa legati rimanevano irrisolti, in particolare in tema di responsabilità, in relazione al quale si auspicava l’introduzione di una norma equivalente a quella già presente nell’ordinamento nella disciplina speciale dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, che prevede l’abuso di direzione unitaria (art. 90, d.lgs. 270/1999).

Il progetto prevedeva, altresì, l’obbligo di motivazione delle decisioni conseguenti a una valutazione dell’interesse del gruppo -art. 9, 1, lett.b)-, idoneo a svolgere una funzione di trasparenza -art. 9, 1, lett.a).

Si era rilevato, poi, come la previsione di forme di pubblicità dell’appartenenza al gruppo rispondesse senza dubbio all’esigenza di rendere conoscibile ai soci ed ai creditori l’appartenenza di una società ad un gruppo. in modo da poter valutare vantaggi e rischi che ne potessero derivare.

Non si era accolto con molto favore, invece, il riconoscimento del diritto di recesso, previsto come eventuale, in ordine al quale si era obiettato che l’introduzione del diritto di recesso in queste fattispecie avrebbe potuto pregiudicare troppo sia gli interessi dei creditori sia l’interesse alla continuità dell’impresa.

Nella presente legislatura, in data 3 agosto 2001, l’Aula di Montecitorio approvava il disegno di legge di riforma del diritto societario, approvato in via definitiva dal Senato il 28 settembre 2001 (Ddl n.608), che ricalca il modello proposto dalla Commissione Mirone e dà mandato al Governo di rivedere “il sistema delle società di capitali di cui ai capi V, VI, VII, VIII e IX del titolo V del libro V del codice civile”, allo scopo di aiutare lo sviluppo delle imprese, semplificare la disciplina, ampliare l’autonomia statutaria ed adeguare le forme societarie alle esigenze delle imprese, indicando i due modelli della S.r.l. e della S.p.A. e ridisciplinando le cooperative. Un corposo articolo è dedicato agli aspetti penali, in particolare al falso in bilancio, per il quale è previsto come sanzione l’arresto di un anno e sei mesi e la procedibilità d’ufficio per i falsi in bilancio che, pur non avendo causato danno ai soci o ai creditori “alterino sensibilmente la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società”. Se, invece, il falso ha determinato un danno patrimoniale, per le società quotate si procede d’ufficio e la pena prevista può variare da uno a quattro anni di reclusione, per quelle non quotate, invece, a querela di parte e la pena prevista è da sei mesi a tre anni di reclusione.

La delega ha, inoltre, ad oggetto la falsità nelle comunicazioni delle società di revisione, l’impedito controllo, l’omessa esecuzione di denunce, la formazione fittizia del capitale, le indebite restituzioni dei conferimenti e l’illegale ripartizione degli utili e delle riserve; le operazioni illecite sulle azioni o sulle quote sociali da parte dei liquidatori, l’infedeltà patrimoniale, il comportamento infedele, le indebite influenze sulle assemblee, le omesse convocazioni delle assemblee, l’aggiotaggio. Non è stata riproposta, invece, l’istituzione di sezioni speciali per i reati economici presso i Tribunali nei capoluoghi sede di Corte d’Appello – contemplata nel progetto Mirone – ma solo la definizione di procedure dirette ad accelerare la conclusione dei processi.

Al tema dei gruppi è dedicato l’art.10, così formulato:

<<1. La riforma in materia di gruppi è ispirata ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere una disciplina del gruppo secondo princìpi di trasparenza e tale da assicurare che l’attività di direzione e di coordinamento contemperi adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime;

b) prevedere che le decisioni conseguenti ad una valutazione dell’interesse del gruppo siano motivate;

c) prevedere forme di pubblicità dell’appartenenza al gruppo;

d) individuare i casi nei quali riconoscere adeguate forme di tutela al socio al momento dell’ingresso e dell’uscita della società dal gruppo, ed eventualmente il diritto di recesso quando non sussistono le condizioni per l’obbligo di offerta pubblica di acquisto>>.

Pertanto, non resta che attendere i provvedimenti di attuazione della stessa che il Governo dovrà adottare in base ai criteri direttivi sopra accennati, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge delega.

Erminia Acri (Avvocato)