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In alcuni paesi, tra cui gli Stati Uniti d’America, la coppia che intende sposarsi può stipulare un contratto con il quale regolare, in tutto o parte, le modalità, soprattutto sotto l’aspetto economico di una futura ed eventuale separazione (o divorzio). In Italia, invece, questi patti trovano ostacolo in una legislazione ed una giurisprudenza piuttosto rigide.

Si ritiene, infatti, che per principio di ordine pubblico, siano indisponibili determinati diritti prima che si sia realizzato l’evento da cui gli stessi sorgono (separazione e/o divorzio). Ad esempio, stabilire l’importo del futuro ed eventuale assegno di divorzio, prima o durante il matrimonio, oppure stabilire a quale dei due coniugi spetterà il godimento della casa coniugale, significa limitare l’esercizio di diritti a cui è riconosciuto il carattere di indisponibilità. Per la stessa ragione non è possibile, in sede di separazione, regolamentare i diritti nascenti da successivo divorzio.

Pertanto, il diritto all’assegno di divorzio ed altri diritti altrettanto indisponibili, non possono essere negoziati preventivamente, ma soltanto nell’ambito del procedimento di divorzio davanti al tribunale, che dichiarerebbe nulli, sin dal giorno della stipulazione, eventuali accordi preventivi sull’importo dell’assegno di divorzio, o sull’assegnazione della casa coniugale per il periodo successivo alla sentenza di divorzio.

Si ritiene, invece, che siano ammissibili accordi con cui il coniuge obbligato al mantenimento prometta il pagamento di importi superiori al dovuto, oppure patti diretti a regolare altri rapporti patrimoniali tra i coniugi, che nulla hanno a che vedere con gli obblighi inderogabili stabiliti dalla legge.

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