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L’accomandita semplice è compresa tra le cd. società di persone, le quali si distinguono dalle società di capitali per tre aspetti essenziali:

  • la responsabilità illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali;
  • il potere di amministrare conseguente alla qualità di socio illimitatamente responsabile;
  • l’intrasferibilità della partecipazione sociale senza il consenso degli altri soci.

Tuttavia, essa sembra occupare una posizione intermedia tra le società di persone e di capitali per la presenza contemporaneamente di soci illimitatamente e solidalmente responsabili (accomandatari) e soci responsabili limitatamente alla quota conferita (accomandanti).

Infatti, l’art. 2313 cod.civ. definisce questo tipodi società in base alla caratteristica della presenza di due categorie di soci e della limitazione della responsabilità degli accomandanti, controbilanciata dal divieto di compiere atti di gestione ai sensi dell’art. 2320 cod. civ., che ha indotto parte della dottrina ad attribuire la qualità di imprenditori ai soli soci accomandatari.

In realtà, la responsabilità illimitata è un presupposto del potere di amministrare, ma si può anche essere responsabili illimitatamente senza essere amministratori, perché il potere di amministrare non è requisito essenziale del socio accomandatario.

Per evitare di rispondere senza alcuna limitazione delle obbligazioni sociali gli accomandanti devono rimanere estranei all’amministrazione, lasciandola agli accomandatari, ai quali, quindi, la gestione non è attribuita in via esclusiva, perchè gli accomandanti possono amministrare la società, ma diventano, in tal caso, responsabili senza alcuna limitazione.

Spetta in via esclusiva agli accomandatari, e fino alla violazione dell’astensione dalla gestione da parte degli accomandanti, la responsabilità illimitata della società.

Non è importante nei confronti dei terzi il fatto che l’accomandatario non amministri la società, mentre assume rilevanza l’ingerenza dell’accomandante nell’amministrazione.

La disciplina normativa è tesa a garantire la compresenza di queste due categorie di soci non solo sotto l’aspetto dell’atto costitutivo e sue modifiche, ma anche sotto l’aspetto del comportamento di fatto dei soci.

Il Legislatore ha, comunque, provveduto a mitigare il rigore della norma, perché trattandosi di società di persone, nel cui ambito deve prevalere il fattore umano su quello dei capitali, seppure rilevanti, è da ritenere inopportuna una limitazione che sopprimerebbe qualsiasi collaborazione fra i soci, parti contraenti del contratto societario la cui causa è costituita dalla comune attività. Infatti, il secondo comma dell’art. 2320 cod.civ. consente che gli accomandanti prestino la loro opera sotto la direzione degli amministratori e, se l’atto costituivo lo prevede, diano autorizzazioni e pareri.

L’interpretazione della disposizione dell’art.2320 pone difficoltà in ordine all’individuazione dei comportamenti vietati e di quelli consentiti all’accomandante. A riguardo si distingue tra atti interni ed esterni, cioè tra atti diretti ad incidere nei rapporti tra i soci ed atti rilevanti per i terzi. Secondo una certa dottrina solo quest’ultimi comporterebbero l’immistione, mentre, secondo la giurisprudenza, a nulla rileva la distinzione tra atti interni ed esterni, essendo tutt’al più ravvisabile la derogabilità alla norma per gli atti esterni in virtù di procura speciale conferita agli accomandanti per i singoli affari (Cass. 28/7/1986, n. 4824), ma sono da ritenere vietati gli atti di gestione che si concretino nella direzione degli affari sociali, implicanti una scelta che è propria del titolare dell’impresa, e non anche quegli atti riguardanti il momento esecutivo (Cass. 14/1/1987, n. 172). Pertanto, il mero atto esecutivo non fa perdere al socio accomandante il beneficio della responsabilità limitata. Proprio per questo, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, sono assoggettabili a fallimento gli accomandanti che si siano ingeriti nell’amministrazione della società o che, comunque, abbiano partecipato alla gestione della stessa.

Il socio accomandante ha un diritto di informazione, in particolare di ricevere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite e può controllarne la correttezza, consultando i libri e gli altri documenti sociali (art.2320 c.c.). Peraltro, perde il beneficio della responsabilità limitata quando abbia consentito l’inserimento del suo nome nella ragione sociale (art.2314 c.c.).

Per quanto riguarda il trasferimento della quota, mentre per l’accomandatario, è opinione diffusa che la stessa non può essere trasferita ad altri senza il consenso di tutti i soci – data la responsabilità personale per i debiti sociali – , per l’accomandante è prevista la possibilità di trasferire la quota per atto tra vivi purchè vi sia il consenso della maggioranza del capitale sociale (art.2322 c.c.), e la libera trasferibilità agli eredi in caso di morte.

La società in accomandita si scioglie, oltre che per le cause già previste per la società in nome collettivo, per il venir meno di una delle categorie di soci. Quindi, la società si scioglie se vengono meno tutti gli accomandanti o tutti gli accomandatari, a meno che il tipo di socio venuto meno non sia sostituito nel termine di sei mesi (art.2323 c.c.), durante i quali, se mancano gli accomandatari, gli accomandanti nominano un amministratore provvisorio per gli atti di ordinaria amministrazione, il quale, però, non diventa accomandatario, e, perciò, non assume la responsabilità illimitata per i debiti sociali. A conclusione della liquidazione e dopo la cancellazione dal registro delle imprese, i creditori sociali rimasti insoddisfatti possono pretendere il pagamento dei loro crediti dagli accomandatari e dai liquidatori, e possono pretenderlo anche dagli accomandanti, nei limiti, però, di quanto essi hanno ricevuto con la liquidazione del patrimonio sociale.

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