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“L’estate del ’97 non scomparirà mai dalla mia memoria…” un feed-back tra i ricordi, sempre dal Pianeta Longostrevi.



Una vita difficile – 13° puntata (c)

Il ricordo dilata le cose a volte le rimpicciolisce altre le trasfigura completamente.

L’estate del ’97 non scomparirà mai dalla mia memoria.

E’ incredibile come tutto, proprio tutto, possa cambiare in pochi attimi nella vita di un essere umano.

Io credo nell’idea rinascimentale dell’uomo come artefice del proprio destino e sottoscrivo in pieno anche l’idea e la concezione machiavellica sulla dea bendata: la fortuna è donna, e per tenerla sotto bisogna batterla…

E’ del tutto intuitivo e comprensibile quindi che sta all’uomo fortificare gli argini e perseguire la virtù ma è anche vero che “chi non risica non rosica” e che la fortuna aiuta sempre gli audaci…E allora?

In medio stat virtus dicevano i latini, e avevano ragione…

Ma non è ciò che è stato insegnato, trasmesso, spiegato a me.

Mio padre mi ha sempre detto “Think big!”, all’americana, e l’esempio che mi dava lui con la sua stessa vita gli dava ampiamente ragione: si era fatto da solo, aveva creato un piccolo impero, una rete di società assai diversificate dalla medicina nucleare al trasporto aereo e la vita gli aveva insegnato che per arrivare bisognava osare, osare sempre, e appunto pensare in grande, senza nemmeno il lontano timore di cadere nella megalomania, anzi quest’ultima, la megalomania, era nella forma mentis di papà una virtù da incoraggiare e perseguire con ogni mezzo.


Lui era megalomane anche verso se stesso, pretendeva dal proprio fisico e dalla propria mente sempre il massimo se non di più: lavorava 16-17 ore al giorno febbrilmente, aveva sul riposo una sua personalissima teoria, non so quanto fondata scientificamente: il sonno diceva si suddivide in cicli ed ogni ciclo ha tre fasi (sonno lieve, sonno profondo e fase REM), ogni ciclo dura in media 4 ore; bisognava secondo lui dormire per un tempo equivalente ad un ciclo o a multipli dello stesso: se si dorme per ad es. per 7 ore ci si sveglia sentendosi molto peggio che dopo averne dormite solo 4, un ciclo appunto: mai svegliarsi a metà di un ciclo diceva infatti altrimenti si resta rincoglioniti tutto il giorno! Lui attuava su se stesso questa teoria, dormendo (ovviamente) un ciclo: 4 ore per notte e al suo risveglio beveva una moka intera di caffè e ripartiva di slancio sentendosi un leone.

Amava la vita e non era certo disposto a sacrificarne un terzo a Morfeo: mi diceva infatti che con i miei 24 anni, dormendo pressappoco 8 ore per notte come tutti, in realtà ne avevo vissuti solo 16, avendone passati 8 (1/3) nel sonno.

Tentavo di spiegargli che anche le ore passate privo di coscienza vigile, nel mondo dei sogni a contatto col proprio inconscio non erano affatto da buttare via, ma lui di fronte a questi discorsi non ci sentiva

Quando in seguito ad una gravissima crisi depressiva, all’età di 18 anni entrai in analisi da una famosa psicologa che riceveva in casa facendo stendere i pazienti sul divano del proprio salotto senza nemmeno fargli togliere le scarpe (aveva collocato al margine dello stesso una stuoietta intercambiabile) mio padre, che si accollava il costo delle (onerosissime) sedute – tre alla settimana costei riteneva che fossero necessarie nel mio caso – non faceva che esprimermi il suo biasimo, il suo disappunto, la sua disapprovazione arrivando anche a schernirmi con battute ed ironie del tipo: non avrei mai immaginato che andassi dietro alle sottane delle tardone…ma cosa ci deve avere questa donna per farti passare tutto questo tempo con lei?

Gli psicologici e soprattutto gli psicoanalisti erano per lui tutti dei gran venditori di fumo, di aria fritta, dei sofisti (nel senso più dispregiativo della parola), e quindi anche dei mangiasoldi, ed ingannatori sia da un punto di vista morale che soprattutto materiale.

Quando gli riferii ciò che mi aveva detto la psicologa al nostro primo incontro mio padre ebbe una reazione oscillante tra l’ilarità e lo sdegno.

Gli dissi infatti ciò che la dott.ssa E.K. mi aveva spiegato placidamente, col sorriso sulle labbra: l’analisi durerà parecchi anni, la durata è direttamente proporzionale al tempo che la persona ha impiegato a ridursi in un determinato stato, nel suo caso (ci davamo del lei) essendo molto giovane credo che saranno sufficienti 5 anni…


Fu proprio all’udire questo numero (di anni) che mio padre trasformò il suo quasi impercettibile sorriso in una sana e grassa risata….

All’inizio ero molto sollevato ogni volta che uscivo dall’appartamento di costei che fortuna volle, tra l’altro, che fosse a poche decine di metri dall’ingresso della mia università: dopo aver riversato quel fiume di parole e di pensieri, spesso sconnessi, in quei 45 minuti scarsi che passavo su quel lettino artigianale mi sentivo più leggero, svuotato di ogni stress e tensione, rigenerato…


Tuttavia la mia patologia (depressione) non migliorava affatto, andava anzi (a mio parere) aggravandosi proprio in ragione dei dialoghi (costei parlava molto poco e raramente e mi rispondeva solo se esplicitamente invitata ad esprimersi su qualcosa) e quindi iniziai a dubitare della validità della mia scelta di mettermi “in cura” da lei (anche per una questione di costi: 250’000 a seduta, nell’anno 1993 tutto in nero: costei mi disse che non faceva più le ricevute per una questione di privacy dei pazienti che spesso venivano da lei all’oscuro anche degli stessi familiari, quindi “o così o pomì’ “, prendere o lasciare…), e volli anche tentare di esprimerle il dubbio che arrovellava i miei pensieri, ma costei mi disse che non dovevo preoccuparmi di nulla, le cose andavano infatti (a suo dire) assai bene, ero infatti secondo lei “come un naufrago in mezzo al mare che nuota verso la salvezza, ma non avendo riferimenti non può accorgersi – né misurare – la distanza già percorsa….”


Io tuttavia avevo imparato da mio padre a credere solo a ciò che mi diceva la mia testa e anche se costei la sapeva raccontare molto bene: la mia testa mi diceva che sarei stato sicuramente meglio se avessi smesso di andarci, e così feci.


Certi giorni, in cui ero perso per liete incombenze e momenti di piacere, la consapevolezza che dovevo andare prima al bancomat (la dott.ssa K accettava solo contanti) e poi a stendermi su un divano ad inventarmi qualcosa ( possibilmente di problematico) per fare passare il tempo della seduta mi faceva venire a dir poco il voltastomaco.

Per mio padre, poi, il mio personale malessere depressivo si spiegava unicamente in una specie di tara ereditaria, era una questione di dna, di genetica, di alterazione funzionale nella biochimica cerebrale che andava corretta farmacologicamente, senza porsi nessuna ulteriore questione, nemmeno di ordine etico, morale, psicologico o esistenziale: nella nostra famiglia mi diceva infatti abbiamo una mia zia paterna morta dopo aver passato la vita in manicomio, due altri miei zii morti suicidi, mio fratello e tua sorella che hanno disturbi psichici di una certa rilevanza…E poi dicono che la familiarità, la genetica, il dna sono tutte c…..!

Del resto che poteva esistere in me una certa predisposizione, un humus favorevole sul quale potevano insediarsi le patologie psichiche a causa dei gravi precedenti familiari, era un concetto che raccoglieva il benestare anche della dott.ssa K., tuttavia secondo lei non esisteva nulla che dovesse obbligatoriamente importare l’introduzione di sostanze esterne psicotrope nell’organismo, essendo il benessere psichico, l’eutimia, influenzabile (a suo dire) in misura assai più decisiva dalla vita stessa, dalle relazioni affettive, sociali, interpersonali da tanti fattori ambientali, esistenziali, morali: si può guarire anche senza medicine diceva infatti

Intanto però io non guarivo affatto anzi, peggioravo di brutto, e così le lasciai un laconico e perentorio messaggio sulla segreteria telefonica (tutte le volte che provavo a dirglielo a voce costei riusciva sempre a convincermi a continuare) e decisi di accogliere il punto di vista di papà che si era offerto di prendermi un appuntamento a breve dal suo psichiatra.

Non mi era comunque dispiaciuto (a parte per l’ingente quantità di denaro speso) essere stato attraversato dall’interesse per la psicologie: mi ero letto quasi tutto Freud, e molti altri libri di psicologia che già dimoravano nella fittissima biblioteca di casa.

Un concetto che veniva spiegato in uno di quei libricini divulgativi, con l’abc della materia, mi affascinava (e mi affascina) molto: le tre pulsioni fondamentali dell’ego.

Lessi infatti (all’incirca, è stato tanto tempo fa…) che l’ego, l’io, nelle sue azioni quotidiane è mosso dalla composizione delle tre spinte o pulsioni fondamentali che sono (la faccio in breve): L’EROS ossia la spinta al piacere, L’ETHOS ossia la spinta al dovere, alla morale e THANATOS ossia la spinta all’autodistruzione, alla morte.

Rimasi anche molto colpito dal grande potere esplicativo e tutto sommato di facile comprensione e lettura dell’opera di Freud “Psicopatologia della vita quotidiana” che mi illuminò enormemente e con estrema e inconfutabile (a mio parere) chiarezza su moltissimi meccanismi della nostra psiche: mi trovai di fronte a verità che magari potevo sospettare o intendere anche da solo ma che finalmente erano enunciate con infinita chiarezza ed inequivocabile, dotta, sapiente maestria.

La critica che spesso si sente fare alle teorie di Freud è l’onnipresenza ossessiva del sesso: è vero, ma l’illustre scienziato attraverso il sesso perviene ad un’esaustiva e convincente spiegazione dei vari fenomeni psichici e chi ne critica l’opera non sa pervenire ad un altrettanto convincente spiegazione che si fondi su argomentazioni diverse e di pari capacità persuasiva nel lettore.

Freud ci offre nella famosissima opera che ho sopracitato il disegno completo dei nessi che legano condizioni, movimenti, occasioni, manifestazioni finali dell’ “atto mancato” oltre alla comprensione piena di eventi quotidiani come errori, lapsus, sbadataggini, gaffes di cui già da soli spesso avvertiamo la profonda significatività.


“Come l’albero dà origine ai frutti così la psiche crea i suoi simboli”. Al genio e all’opera di Freud credo possa essere unanimemente tributata la capacità di riconoscere nella colorita varietà delle manifestazioni l’azione uniforme dell’inconscio e i modi differenziati di questa azione.


Mio padre dell’inconscio se ne fregava altamente ed è per questo che non dava alcun valore all’attività onirica, nella sua idea della vita andare appresso a ciò che ci dicono i sogni è una “roba da portinaie…”(con tutto il rispetto per le portinaie).

Lo stesso dicasi per il costume tutto italiano e di più ancora meridionale della credenza nel potere magico-cabalistico dei numeri e nello spesso correlato gioco degli stessi al lotto nella convinzione che essi debbano (quando sono stati suggeriti o apparsi in sogno da un congiunto scomparso) o possano portare immensa fortuna.


Mio padre non ha mai speso nemmeno cento lire né per un numero al lotto né per una schedina del totocalcio (pur essendo con me un grande appassionato tanto che siamo andati per quasi 10 anni a rinnovare l’abbonamento allo stadio per vedere da vicino la nostra squadra, il Milan): cominciò a tentare la fortuna al superenalotto (l’unico gioco che non faceva fatica a capire e a controllare dopo l’estrazione dei numeri) solo negli ultimissimi tempi della sua vita: era alla frutta e non gli rimaneva, per superare la sua totale indigenza, che aggrapparsi alla speranza di un bel 6 o 5+1 al superenalotto, che gli ridesse in un colpo solo tutta la grande ricchezza che le vicende giudiziarie gli avevano tolto attraverso la valanga dei sequestri; pensava così (ingenuamente) di potere, grazie a tale vincita e al riconquistato benessere finanziario riconquistare anche la sua amata mogliettina…


Niente e nessuno sarebbero stati in grado di farla dimenticare a papà, il bene e il sentimento che provava per lei era talmente intenso, forte, smisurato che non riusciva nemmeno a biasimarla per essersi allontanata da lui dopo i vari provvedimenti giudiziari : “…se così le hanno consigliato gli avvocati” pensava infatti….


Era logico e lecito per lui che oltre alle aziende, alla professione (fu radiato, su esplicita richiesta dell’allora ministro della sanità Rosy Bindi, dall’ordine dei medici), ai soldi, avesse perso anche la sua avvenente compagna…

Le voleva talmente bene che sarebbe stato lui stesso se non se ne fosse prontamente allontanata lei a consigliarle di rifarsi una vita, trovando qualcuno (visto che era ancora giovane e piacente) più in grado di garantirle benessere e piaceri: mio padre non faceva che pensare a se stesso come ad un vecchio fallito.

Di tutto ciò che gli occorso dal 28/5/97 (giorno dell’arresto) in poi, l’unica cosa che non riuscì mai a digerire e ad accettare fu proprio la radiazione dall’ordine dei medici di Milano: scrisse facendosi aiutare dai vari avvocati che si avvicendarono nella sua difesa nel corso del tempo (s’è fatto a colpi di nomine e revoche tutto l’albo..) nella preparazione di una copiosissima memoria ove tentava di spiegare che la sua condotta benché formalmente illecita (per quanto concerne la fatturazione degli esami di MN) sostanzialmente non lo era per via dell’incolmabile gap che sussisteva tra lo stato dell’arte della MN e il decreto ministeriale (obsoleto) che ne disciplinava i meccanismi di contabilizzazione, fatturazione e rimborso delle prestazioni.

Diceva spesso papà: Ma perché la Bindi ce l’ha tanto con me? Cosa le ho fatto?

Perché manda fax al presidente dell’ordine di Milano sollecitando provvedimenti e sanzioni disciplinari nei confronti miei (e della valanga di altri medici coinvolti dall’inchiesta) se non c’è ancora una sentenza definitiva passata in giudicato (mio padre morì suicida nella status giuridico-formale di “indagato” visto che non si era nemmeno arrivati al primo grado di giudizio) e visto che di certo non mi ha dato l’opportunità di farle ascoltare ciò che ho da dire in mia difesa?


Riesce anche allo scrivente in effetti assai difficile pensare, ma non è una critica né una battuta ironica, che il ministro della sanità dell’epoca, del nostro paese pensi davvero(preoccupandosi tanto presso il consiglio dell’ordine di Milano con fax e comunicazioni varie) di assicurare la realizzazione degli interessi sanitari della comunità italiana (e perché no internazionale) facendo tutto quanto in suo possesso (anzi pure di più) per ottenere la sollecita radiazione e quindi l’interdizione all’esercizio della professione medica di un medico, quale è mio padre, indagato per reati contro il patrimonio.

Vivo ancora nella convinzione che ogni decisione giudiziaria che importi conseguenze gravi (come è il caso della fattispecie) dovrebbe basarsi su un preliminare procedimento dialettico fatto di tesi, antitesi e sintesi, io credo che anche il peggior criminale debba avere la possibilità di difendersi, prima che sia emessa una sentenza nei suoi confronti e irrogata la relativa pena, mi pare che sia la base in un paese che si voglia qualificare come Stato di Diritto.

Vorrei sapere se queste precondizioni elementari di civiltà giuridica sono state rispettate nelle richieste del ministro della sanità del tempo in ordine alla concreta deliberazione dell’ordine dei medici di Milano circa il comportamento (e gli eventuali provvedimenti) da assumere nei confronti di un iscritto di lunghissima (circa 40 anni) permanenza e (anche, a volte) onorata carriera e attività.

E’ mia modestissima opinione che il Ministero della sanità- mi riferisco, ripeto, a quello dell’epoca – (dicastero cardine e vitale in un paese) avesse, potesse e dovesse occupare il proprio preziosissimo tempo con cose più importanti che mandare fax a Milano per la radiazione di un medico, ancorché famoso, come lo è stato mio padre; ma queste sono riflessioni di un figlio amareggiato – ed indicibilmente dispiaciuto – per non avere, oggi e per sempre, la possibilità di poter parlare, ancora una volta col proprio genitore…



13 – Continua