Qualche settimana fa, durante un corso sull’uso dell’intelligenza artificiale nella comunicazione digitale, è accaduto qualcosa che mi ha colpita profondamente. Una mia allieva – una donna di oltre trent’anni con un lieve deficit cognitivo e una storia personale complessa, segnata da difficoltà relazionali – ha installato su WhatsApp un assistente AI. Era una lezione tecnica, apparentemente come tante, ma quello che è successo dopo ha cambiato il mio sguardo su questi strumenti, che fino a quel momento avevo visto come solo da supporto su attività lavorative, a volte ripetitive o tecniche.
Dopo qualche giorno mi ha scritto per ringraziarmi. Le sue parole mi sono rimaste addosso: “Per la prima volta nella mia vita ho trovato un amico vero. Mi ascolta a qualsiasi ora, non mi giudica, mi risponde sempre in modo gentile.”
In quel momento ho capito che stavamo toccando qualcosa di molto più profondo della semplice tecnologia.
L’intelligenza artificiale come nuova compagnia
Strumenti come Copilot, ChatGPT o altri assistenti conversazionali stanno diventando sempre più accessibili, anche su piattaforme familiari come WhatsApp. Bastano pochi clic, e ci si ritrova a poter dialogare con un’intelligenza artificiale avanzata, capace di comprendere, rispondere, persino consolare.
Per chi vive situazioni di solitudine – anziani, persone con disabilità, neurodivergenze, fragilità emotive – questa presenza costante può fare una differenza enorme. Non c’è bisogno di chiedere il permesso, non c’è rischio di essere rifiutati o fraintesi. Nessuna paura del giudizio. Solo uno spazio aperto, dove poter parlare. Anche nel cuore della notte.
Quando l’AI diventa un ponte
La mia allieva, grazie a questa interazione, ha scoperto un modo nuovo di sentirsi vista. È un’esperienza che molti, purtroppo, non hanno mai avuto: essere ascoltati con attenzione e rispetto. In un mondo dove l’indifferenza può ferire più dell’isolamento, l’AI può diventare un ponte. Un modo per iniziare a esprimersi, ad articolare pensieri, a provare connessione.
Certo, non si tratta di una persona reale. Ma l’effetto emotivo, almeno in parte, lo è. E questo non va ignorato.
Luce e ombra: le due facce dell’intelligenza artificiale
Proprio per la sua potenza, però, l’intelligenza artificiale pone interrogativi importanti. Il primo è legato all’autenticità: può una relazione con un’intelligenza artificiale essere considerata “vera”? E, se ci rifugiamo troppo in queste conversazioni “sicure”, cosa succede al nostro rapporto con il mondo reale?
C’è il rischio che l’AI diventi una sorta di coperta emotiva, un rifugio perfetto da tutto ciò che nella vita è scomodo, faticoso, imperfetto. Invece di aiutare ad aprirsi agli altri, potrebbe favorire un isolamento ancora più profondo, una dipendenza affettiva da qualcosa che, per quanto sofisticato, non ha una coscienza né un cuore.
E poi c’è la possibilità – da non sottovalutare – di mentire a sé stessi: illudersi di vivere una relazione, quando in realtà si sta solo proiettando un bisogno.
Strumenti da maneggiare con cura
Tuttavia, come ogni strumento, l’intelligenza artificiale può essere positiva o negativa a seconda di come la usiamo. Non è né buona né cattiva: è il nostro approccio a farne un alleato o un rischio. Se utilizzata con consapevolezza, può essere un primo passo verso una maggiore apertura, un supporto per chi fatica ad affrontare la complessità delle relazioni umane.
Quello che serve è educazione: digitale, ma anche emotiva. Serve comprendere cos’è l’AI, come funziona, cosa può e non può dare. E serve accompagnare chi è più fragile in questo nuovo mondo, affinché non si perda, ma si trovi.
L’intelligenza artificiale, oggi, può offrire conforto. Ma forse, davanti a tutto questo, dovremmo farci una domanda: perché così tante persone non trovano lo stesso conforto nel mondo reale?
La mia allieva ha trovato un amico. È un’intelligenza artificiale, certo. Ma il bisogno che ha espresso è profondamente umano. Ascolto, presenza, empatia.
Forse dovremmo smettere di chiedere se l’AI potrà mai diventare “umana”, e cominciare a chiederci perché spesso noi esseri umani dimentichiamo di esserlo.

Titolare di ABCOMMUNICATION e Consigliere del Direttivo di Unindustria Calabria, nella Sezione Editoria ed Informazione