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“L’esercito ha attaccato il reparto maternità di un nostro ospedale e sono morte le donne che stavano partorendo, tutti i neonati e le donne incinte. Il mio cervello non accetta questa realtà. Questo è un incubo, non riesco a immaginare: la mia testa esplode”.

Cari Lettori, questo è il commento di un medico della striscia di Gaza. Ma, la stessa drammaticità la si sta vivendo in Ucraina e la si è subita in Ruanda, all’epoca dei genocidi.

Queste, sono cose che non si vorrebbero leggere mai. Ma accadono lasciando, dentro, un senso di inaudita violenza. Probabilmente, per la percezione della cattiveria di cui, l’essere umano è capace.

Il 7 aprile si celebra la giornata Mondiale della salute. Questa ricorrenza evidenzia sempre più la discrasia del genere umano: da una parte ci si sacrifica per aiutare e dall’altra ci si impegna per uccidere….

E dal momento che, come ha scritto Giovanni Verga ne “I Malavoglia” “il cuore si stanca anche lui e se ne va a pezzo a pezzo, come le robe vecchie che si disfano nel bucato, abbiamo pensato a un Editoriale che, come la pioggia, da un lato apparentemente ci “inonda” ma, dall’altro, lava lo sporco lasciando la Speranza.

“Piove, sui monti e sulle scale su petali e parole, sul cuore mio che batte… Piove sui poveri soldati sui campi abbandonati e sulla mia città” (Alex Britti).

E, partendo da una riflessione dell’Imperatore Marco Aurelio (“Non dura che un giorno ogni cosa, tanto ciò che ricorda, quanto ciò che è ricordato.”) il nostro animo profondo spera che, almeno questa volta, chi commette simili atrocità, non abbia un solo rigo di dimenticanza, di indifferenza, di colpevole disattenzione: è infamia, infatti, disintegrare i sogni, le speranze…

Stavolta non ci dovrebbe essere la possibilità di licenziare questa tragedia (e tutte le altre che vedono, come protagonisti, umani che muoiono per l’egoismo di pochi) con una scrollata di spalle a breve termine. 

Stavolta, se ne dovrebbe parlare di questo dolore insopportabile, per non scordare, per non spostare il baricentro, per non attenuare ulteriormente quel senso di comunità e di condivisione che nel nostro bel lobo terracqueo va consumandosi!

“Piove e, mentre guardo il mare, ripenso alle parole che mi hai lasciato scritte. Provo un po’ a dimenticare: infatti guardo il mare… e non ci penso più” (Alex Britti).

Se volessimo scattare un’istantanea del momento storico, emotivo, sociale nel quale siamo invischiati, ci troveremmo, probabilmente, ad osservare l’immagine scelta, a corredo di questo editoriale. 

Una staccionata che imprigiona e opprime tutti, compreso sé stessa, di un “viraggio seppia” che ricorda, esso stesso, lo spegnersi senza godere della gioventù. E senza potere, nemmeno, invecchiare, per riuscire ad assaporare la gioia (come auguravano gli antichi Romani) di vedere i figli dei propri figli.

Eppure…

La mano di un bambino che offre dei fiori alla speranza e lancia un messaggio alle nuove generazioni. A quelle, al di qua della recinzione, per spingerle ad amarsi, per un sistema più giusto che dissolva le maglie che imprigionano; a quelle al di là della recinzione, perché capiscano il valore di quella libertà ottenuta senza comprenderne l’importanza…

In questo mondo di guerra e violenza, anche i fiori piangono e, noi, continuiamo a credere che sia rugiada (Anonimo)

Se è vero, come sosteneva Gandhi, che Il singolo individuo può sfidare la violenza di un impero ingiusto per difendere il proprio onore, la propria religione, la propria anima e porre i presupposti per la caduta di quell’impero o per la sua rigenerazione è, forse, ancora più vera l’affermazione di Martin Luther King, in base alla quale, con la violenza puoi provare ad uccidere colui che odia, ma non uccidi, certamente, l’odio. Anzi, lo alimenti!

Anche quando fa giustizia, la violenza è ingiusta (Thomas Carlyle)

Con la fine della Guerra Fredda e la caduta del Muro di Berlino, molti hanno sperato che si aprisse un’era di pace in cui, tanta parte delle risorse indirizzate a mantenere l’equilibrio del terrore, potesse indirizzarsi finalmente al miglioramento delle condizioni di vita dell’Umanità.

Purtroppo, non è andata così. È solo cambiata la tipologia dei conflitti, con una diminuzione (apparente) di quelli fra Stati, un aumento dei conflitti interni internazionalizzati (cioè, di quelli che, pur mantenendo l’epicentro all’interno di uno Stato finiscono per coinvolgere altre Nazioni) e una prosecuzione inalterata degli altri conflitti interni, ma con potenziale coinvolgimento di un numero sempre superiore di persone, anche in relazione alla diffusione del terrorismo (Fonte – Limes)

L’uomo è un animale addomesticato che, per secoli, ha comandato sugli altri animali con la frode, la violenza e la crudeltà (Charlie Chaplin).

Il rapporto dell’essere umano con la sua distruttività, è una questione dibattuta da sempre. Mentre filosofi del calibro di Jean-Jacques Rousseau sostenevano che disuguaglianza, oppressione e paura fossero il risultato di una Società mal regolata, Thomas Hobbes (nelle sue opere di Filosofia politica) dichiarava che la vita senza l’ordine sociale e una rigida gerarchia era “solitaria, povera, sgradevole, brutale e breve”.

Queste convinzioni, partivano da una cattiva interpretazione delle tesi sostenute da Konrad Lorenz (nel suo libro Il cosiddetto male) che indicava l’aggressività come eticamente neutra: un istinto destinato a regolare problemi di territorialità, difesa della prole, selezione sessuale e ordine gerarchico, con la costituzione e l’ausilio del “gruppo”.

La violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna… ma soltanto distruttrice (Benedetto Croce).

L’esperienza, invece, ci ha dimostrato che, fintanto che non ci si libera dalla paura di camminare, mantenendo l’autonomia delle proprie idee, il gruppo stesso (solitamente considerato fonte di sostegno), può invece trasformarsi in qualcosa che mina la fiducia in sé stessi, finendo per aumentare le tensioni sociali e, a certe condizioni, facendo apparire la violenza giustificata per ottenere un cambiamento sociale.

“Tu non devi seguire nessuno. Certo, devi comprendere, ascoltare, imparare, restare aperto, ma segui solo la tua spontaneità. Segui il tuo essere e aiuta la gente ad essere se stessa. Nello stesso modo in cui, nel mio giardino, io aiuto le mie rose ad essere rose, e i fiori di loto ad essere fiori di loto. Io non cerco di far diventare la rosa un fiore di loto, il mondo è ricco perché c’è varietà. Sarebbe orribile se crescessero solo rose…esistono migliaia di fiori, e il mondo è meraviglioso. Allo stesso modo, ogni persona deve essere autenticamente sé stessa, totalmente e unicamente sé stessa” (Osho Rajneesh)

Il prof. Alessandro Citro, ci ha descritto “Le mosche del capitale”, un romanzo dello scrittore e poeta Paolo Volponi, pubblicato nel 1989. Ambientato tra il 1979 e il 1980, l’opera narra la storia del dirigente industriale Bruto Saraccini. Umanista e poeta con valide competenze aziendali che ha, in testa, un piano per una riforma democratica e progressista dell’impresa.

Lavora per l’azienda MFM diretta dal presidente Ciro Nasàpeti che all’inizio vuole promuoverlo al ruolo di Amministratore Delegato ripiegando, poi, sul rigido Ing. Sommersi Cocchi. Allora, Saraccini si licenzia. Viene contattato dal Megagruppo di donna Fulgenzia ma, dopo alcuni colloqui con il nipote, Dottor Astolfo, capisce che neanche lì potrà realizzare i suoi progetti e nessuno è pronto per comprenderli.

Saraccini guarda dall’alto della collina la grande città industriale che si estende nella pianura spianata dalla notte oltre sé stessa fino a sparire tra i riflessi del fiume e le fumate dei campi. Egli è sereno e gode soddisfatto di quella vista e del generale silenzio. “E sì, è proprio un altro grande generale, il silenzio!” confida a sé stesso e all’Universo. Tutto lo spazio intorno sembra capirlo e ubbidirgli, riconoscendogli, con premura, di essere quasi ricco, quasi innamorato, ancora giovane e forte; il primo nella sua città esemplare e anche nella regione, il più intelligente, equilibrato e capace dei direttori della sua gloriosa Azienda.

In questa metafora anticipatrice, il denaro cresce su sé stesso con gli interessi che il tempo produce, non conoscendo soste o interruzioni temporali, assumendo le vesti di un magma incessante e percussivo.

Tutto è denaro. Esso non è più mezzo ma fine, essendo stato reso punto di idolatrìa in un Universo antropomorfizzato che si stende ai piedi della religione aziendale. Il risveglio imminente della città muove le azioni del protagonista che vorrebbe evitare le coazioni a ripetere (rigidamente incasellate su uno schema prestabilito, un rituale scaramantico, atto alla migliore realizzazione della produttività). Una sorta di partigiano che difende la libertà di azione di vita e di pensiero dalla tirannia di un capitalismo sciocco e servo della gleba di un Mercato cinico e autolesionista” (Alessandro Citro)

E, tutti noi, abbiamo visto com’è andata a finire, nel voler seguire i capricci delle grandi Banche d’affari!

Da quando abbiamo notizie delle attività dell’uomo sul pianeta, il male ha sempre prevalso sul bene. È un dato di fatto davanti al quale, comunque, la parte “buona” non si arrende e, giustamente, lavora per invertire la tendenza.

In ogni testo poetico, fin dall’antichità, c’è sempre da una parte la violenza, dall’altra il dolore che ogni sopraffazione procura.

Quando qualche grande Autore è obbligato a parlare della felicità la relega in una mitica età dell’oro, di cui i buoni sentono forte l’esigenza.

Dovremmo, pertanto, lavorare per ritornare alla mitica “età dell’Uomo”.

Purtroppo ogni epoca ha avuto i suoi massacri, i suoi genocidi.

Al tempo di Cesare, il vincitore cercava di annientare il nemico che non riconosceva la superiorità di chi l’aveva sconfitto. Leggiamo, con raccapriccio che, Cesare, uccise i vecchi, le donne, i bambini.

Attualmente, l’uomo della pietra e della fionda è diventato il signore del “drone” e, con esso, esercita diritto di vita ma, soprattutto, di morte.

Charlie Chaplin,  in un suo amarissimo film (Monsieur Verdoux) trasmette questo messaggio:  “Eppure è quella la base di molti grossi affari. Guerre, conflitti: tutti affari… Un omicidio è delinquenza, un milione è eroismo. Il numero legalizza, mio caro amico!”

Viviamo, forse da sempre, tempi durissimi per chi voglia considerare, in buona sostanza, il “prossimo” come il prolungamento di noi stessi.

La violenza pare il motivo dominante di ogni epoca.

Cambia la nota dominante, ma la musica è sempre la stessa.

Certo, mentre tutto sembra perduto, si alza ogni tanto un po’ di vento che squarcia le nubi nerastre e ci regala un po’ di sole.

Vieni, inseguimi tra i cunicoli della mia mente tastando al buio gli spigoli acuti delle mie paure. Trovami nell’angolo più nero, osservami. Raccoglimi dolcemente scrollando la polvere dai miei vestiti. Io ti seguirò. Ovunque. (Saffo 600 a.C.)

La pioggia e il vento ci aiutano nella nostra analisi.

La pioggia che da una parte produce rovina e ci affonda nel fango, dall’altra ci purifica, talvolta, e ci concilia con la vita e con gli altri.

Il vento che da un lato ci sconvolge, dall’altro col suo dinamico è portatore di vita.

Con un miglioramento

Col suo dinamismo

Se pensi alla strada che devi percorrere ti trovi tremendamente a disagio e la vita diventa troppo complicata. Se smetti di pensare e cominci, invece, a camminare, il tuo fardello si alleggerisce e inizi a intuire il tuo percorso, a scoprire la tua, personale, visione della vita. (Osho Rajneesh)

Frammenti, in apparenza, sparsi, per questo editoriale.


Cari Lettori, provate a ricucirli con la capacità della vostra riflessione. Troverete, se siete arrivati fino a questo punto della lettura, la risposta a quello che cercavate.

Magari, la mano di una mamma che accoglie i fiori del bambino. Perchè, come disse qualcuno, chi coltiva la propria interiorità fiorisce ogni giorno colorando e profumando la propria vita e quella degli altri.

“Piove, sui banchi della scuola su ogni mia parola che non riesco a dire; provo un po’ a dimenticare: infatti guardo il mare e non ci penso più…” (Alex Britti)

PIOVE

Piove, sui monti e sulle scale, su petali e parole, sul cuore mio che batte.

Piove, sui poveri soldati, sui campi abbandonati e sulla mia città

Piove…

E mentre guardo il mare ripenso alle parole che mi hai lasciato scritte

Provo un po’ a dimenticare

Infatti guardo il mare e non ci penso più

Agosto sembra ormai lontano ma io sono vicino a dove ti incontravo, semplice, vestita in modo semplice

Sei diventata complice e non ti scordo più

Piove, adesso come prima sto nella mia cucina, che mi preparo un pesce

Cuoce lentamente il sugo e nel frattempo annego e non ci penso più

Agosto è ancora nei miei sensi ma, tu, cosa ne pensi: mi vuoi ancora bene?

Indice di una vita semplice, sei diventata complice ma non ti fidi più

Chissà dove sarai adesso? Dov’è tutto quel sesso? Quel caldo, quel sudore?

Chissà se ancora pensi al mare, al caldo da morire che non si sente più?

Chissà se agosto è ancora nostro, se ancora splende il sole o, poi, magari piove

Chissà se mai la frustrazione diventa un’emozione, così non piove più

Piove, sui banchi della scuola, su ogni mia parola che non riesco a dire

Provo un po’ a dimenticare: infatti, guardo il mare E non ci penso più

“Nessuno di noi è preparato. Né lo saremo mai. Ma questo è ugualmente il nostro destino: cambiare. Si cambia con lentezza, la stessa lentezza che muta la primavera in estate, l’estate in autunno, l’autunno in inverno. Non ci si accorge mai in quale momento la primavera diventa estate: una mattina ci alziamo e fa caldo; l’estate è giunta mentre dormivamo”. (Oriana Fallaci)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un sentito ringraziamento ad Alessandro Citro per il suggerimento e le riflessioni del libro di Paolo Volponi e ad Amedeo Occhiuto per l’affettuosa disponibilità

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