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Un essere umano cambia quando cambiano i suoi desideri (la cui somma si chiama speranza), i quali salgono e divengono aspirazioni, così che, invece di sentire il desiderio irresistibile dell’ennesimo paio di scarpe o di una borsa o di una camicia, o di una carica o di un riconoscimento o di un applauso, inizia a sentire il desiderio di meno scarpe, meno borse, meno camicie, meno cariche, meno riconoscimenti, meno applausi, meno tutto: solo cose vere, per favore, solo cose e persone vere, per favore; musiche vere, pagine vere, amici veri, relazioni vere. Vita autentica (Vito Mancuso)

Cari Lettori, quest’anno le luci della Natività non sono state, da noi, vissute con le dolci (e “ingenue”, se vogliamo) illusioni che aleggiano nei cuori di chi aspetta il nuovo anno con l’animo del fanciullo che attende il ritorno dei genitori per poter, finalmente affermare: “Ora si che è Famiglia!”

Benvenuto nella tua nuova, desertica, realtà (Morpheus Matrix)

Sarà perché siamo cresciuti all’ombra della “Cavallina storna” di Pascoliana memoria o perché, più semplicemente, meno granelli restano nella clessidra del tempo, più diminuiscono le speranze e, di conseguenza, l’arido vero diventa il maggior protagonista della scena.

Quante speranze “a vuoto” nella vita di ciascuno di noi!

Ci torna particolarmente utile lo psicoanalista Erik Erikson con la sua rielaborazione dei processi di sviluppo individuale che tiene conto di 8 fasi fondamentali (ciascuna legata ad un tipo di conflitto bipolare) che caratterizzano l’intero ciclo di vita.

Il passaggio allo stadio successivo avviene ogni volta che l’individuo, nell’interazione con la realtà esterna, riesce a superare una “crisi evolutiva” che lo porterà, un po’ alla volta ad una dimensione di maturità dell’IO. Nel caso in cui, invece, si rimanga avviluppati dai problemi del momento, il risultato sarà quello di un blocco degenerativo.

Ecco, quindi, che la nostra esistenza seguirà la realtà del “doppio binario”, all’interno del quale, si alterneranno la possibilità di una realizzazione o quella del fallimento.

In pratica una sorta di tetris, in cui ci giochiamo l’opportunità di salire ai livelli superiori e sempre più complessi, del gioco chiamato “vita”.

  • Prima Infanzia 0-1 anno: fiducia – sfiducia;
  • Infanzia 1-3 anni: autonomia – vergogna e dubbio;
  • Età “genitale” 3-6 anni: iniziativa – senso di colpa;
  • Età scolare 6-12 anni: industriosità – inferiorità;
  • Adolescenza 12-20 anni: identità e (fisiologica) contestazione generazionale – diffusione di identità (con incapacità di autodefinirsi,  sensazioni di vuoto interiore e crisi emozionali);
  • Prima età adulta 20-40 anni: intimità e solidarietà – isolamento;
  • Seconda età adulta 40-65 anni: generatività e creatività- stagnazione;
  • Vecchiaia 65 in poi: integrità dell’Io – disperazione.

Cari lettori, ma c’è un legame fra la speranza, l’illusione e la delusione?

Come sempre, per arrivare a capo di un enigma, è necessario capire i significati dei termini cui ci riferiamo, “attendere” reazioni emotive che nascono in conseguenza di quello su cui ci stiamo “interrogando” e dar loro la possibilità di “esprimersi”.

Solo così, si avrà la possibilità di rimuovere interferenze accumulate negli anni e che non ci hanno consentito di esprimerci al meglio delle nostre potenzialità, sia fisiche che mentali.

Se, quindi, “decodifichiamo” dal vocabolario Il termine “speranza”, ci rendiamo conto che deriva dal Francese e dal Latino e significa “aspettativa di un cambiamento futuro in bene”.

Con lo stesso criterio di ricerca, scopriamo cheIllusione” deriva dal latino (illusus = ingannare) e significa “rappresentazione ingannevole proveniente da errore dei sensi o da artifizi altrui”.

Infine, il termine “delusione” deriva dal latino (delusionem = burla) e identifica “il mandare a vuoto, il venir meno alle aspettative”.

Cari Lettori, proviamo ad ascoltare le nostre emozioni. Iniziamo dal concetto di speranza: quale stato d’animo rispecchia e come andrebbe vissuto?

Anzitutto, una fondamentale premessa: molto dipende da come ci è stato reso possibile imparare a “costruire” un corretto esame di realtà e di come abbiamo imparato a poter fare a meno di ciò che si chiama “ideale dell’Io” (illusione, appunto).

La speranza è uno stato d’animo di attesa nei confronti di qualcosa di positivo che ci auguriamo che accada, ben consapevoli che non dipenderà da noi ma da eventi esterni; finché qualcosa può dipendere dal nostro operato, piuttosto che sperare, è meglio agire. Quando, invece, ciò è al di fuori delle nostre decisioni e del nostro modo di agire, allora si può parlare “correttamente” di speranza.

Ad esempio, un contadino può sperare che le piogge saranno sufficienti ad irrigare i propri campi; egli non potrà controllare le precipitazioni meteorologiche però, al tempo stesso, se si attivasse solo la speranza, nel caso in cui le aspettative andassero deluse, lui perderebbe tutti i suoi beni.

E cosa si dovrebbe fare, quindi?

Cercare di capire cosa ricavare dall’esperienza. Per esempio, l’utilità di creare un sistema di irrigazione artificiale, sostitutiva.

Per tornare al ragionamento di partenza da cui è scaturito tutto il discorso, illudersi, comunque, è sbagliato?

L’illusione è il risultato di valutazioni scorrette riguardanti la previsione di un evento. Qui, entra in gioco la capacità di sapere effettuare un corretto esame di realtà, in base al tipo di personalità che ci ritroviamo fra le mani. Con la possibilità, comunque, di provare sempre a migliorarci

Qualunque decisione tu abbia preso per il tuo futuro, sei autorizzato, e direi incoraggiato, a sottoporla ad un continuo esame, pronto a cambiarla, se non risponde più ai tuoi desideri. (Rita Levi Montalcini)

Per concludere il “trittico” (Speranze, Illusioni e Delusioni), la delusione, invece, è la condizione legata a quello che si prova quando c’è un saldo negativo tra l’aspettativa ed il risultato.

Questo può dipendere sia da manchevolezze proprie che del mondo esterno?

In realtà, la manchevolezza principale è, comunque, dovuta al non essersi saputi dimensionare correttamente rispetto alle possibilità di esito negativo.

Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella zona grigia in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva, bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi. (Rita Levi Montalcini)

La partita, a questo punto, si gioca all’interno della capacità di far fronte all’angoscia che generiamo per via di alcuni particolari conflitti, definiti “di base”:

Il confronto è “alla pari”, in una struttura di personalità “almeno” nevrotica,  caratterizzata da un’angoscia di “impotenza” (sano senso della misura delle nostre capacità al riparo da presunzione e arroganza) e con un conflitto tra l’Es (quello che si vuole) e il Super-Io (colui che detta le regole) all’interno dell’Io, che si trova a dover mediare fra costi, capacità e benefici.

Diventa già più complesso se ci troviamo a “dialogare” con una organizzazione borderline di personalità presunta,  che ci mostra un’angoscia abbandonica (o anaclitica, caratterizzata da sentimenti di impotenza, solitudine, fragilità, paura di essere abbandonati e vulnerabilità di fronte alla possibile rottura delle relazioni interpersonali) e con un conflitto di base tra Es, Ideale dell’Io (il modello cui si vorrebbe narcisisticamente tendere, senza mai riuscirci completamente, proprio perché si tratta di un ideale) e realtà.

Il risultato è drammaticamente “segnato” (al netto del coraggio di chi vuole “cadere” senza “strisciare”) nel caso di struttura psicotica di personalità, la quale si caratterizza per la presenza di un’angoscia di frammentazione e con un conflitto di base che si svolge tra i bisogni pulsionali (cioè quello che si vuole ottenere, senza valutare in alcun modo le responsabilità e le conseguenze) e la realtà (che, alla fine, “schiaccia” ogni velleità).

Rare sono le persone che usano la mente, poche coloro che usano il cuore e uniche coloro che usano entrambi. (Rita Levi Montalcini)

Cari Lettori, a ben riflettere, l’essere umano, però, da millenni si salva e non si autoelimina (tranne pochi casi) perché è “corazzato” di speranze e illusioni.

Le delusioni che di volta in volta “danno botte da orbi”, di fatto non annullano le illusioni, anche se le indeboliscono.

Recitava un antico proverbio Romano che non c’è vecchio (senex) al mondo il quale, per quanto gravemente ammalato, non si riprometta di vivere “ancora un anno”.

L’illusione e la speranza sono i motori, che in varia tonalità, hanno salvato l’umanità.

Non c’è dramma, non c’è catastrofe che l’essere umano, passato il momento cruciale, non riesca a “digerire”.

Noi che lavoriamo per trovare, nella negatività dell’esistenza, elementi di positività che aiutino ad affrontare meglio la fatica della vita, consideriamo con occhio benevolo sia la speranza che le illusioni, perché consentono di vivere con affanni e preoccupazioni che, all’occhio di ci attende, comunque, qualcosa di buono, appaiono di dimensioni accettabili.

Ugo Foscolo, in pagine memorabili dell’Ortis, delinea la potenza delle Illusioni, che non solo aiutano a vivere ma danno una carica vitale dall’esistenza tutta.

Tanto tempo fa, leggevamo pagine come quelle del Foscolo o del Leopardi con una certa leggerezza. Avevamo il mondo dinanzi a noi e, con l’arroganza della gioventù gagliardia, pensavamo che avremmo potuto sottometterlo alla nostra volontà…

La cambio io la vita che non ce la fa a cambiare me (E dimmi che non vuoi morire- Vasco Rossi, Gaetano Curreri, Roberto Ferri)

L’esperienza ci ha aiutato a comprendere che, in fondo (come abbiamo sentito in uno dei tanti film della saga di Rocky Balboa), non è importante come colpisci ma come sai resistere ai colpi e, nel caso in cui dovessi finire al tappeto, “devi” avere la forza di rialzarti. Sempre.

Qualcuno ha scritto che, se consapevolizzassimo il dolore degli altri capiremo che, forse, ciascuno di noi, meriterebbe una “standing ovation” almeno una volta, nella vita.

Prima o poi capirai, come ho fatto anch’io, che una cosa è conoscere il sentiero giusto, un’altra è imboccarlo. (Morpheus – Matrix)

E, alla fine di ogni gioco che per noi ha un valore, scopriamo che “tutto sta nel sapere chi siamo, veramente”. Perché, più ci avviciniamo a quel che veramente siamo, più siamo felici. Foss’anche per un solo istante.

Adulto è colui che ha curato le ferite della propria infanzia, riaprendole per vedere se ci sono cancrene in atto, guardandole in faccia, non nascondendo il bambino ferito che è stato, ma rispettandolo profondamente riconoscendone la verità dei sentimenti passati, che se non ascoltati diventano, presenti, futuri, eterni. Adulto è colui che smette di cercare i propri genitori ovunque, e ciò che loro non hanno saputo o potuto dare. (Emily Mignanelli, Pedagogista)

L’onda, cari Lettori, non ha bisogno di diventare l’oceano, per riconoscere quanto vale: deve solo rendersi conto di “essere” l’oceano.

Allora, forse solo allora, come suggerisce la suggestiva immagine di copertina che ci mostra una mongolfiera in cerca di una nuova alba, potremo scostare la tenda del sipario che inesorabilmente, prima o poi, cala sulla vita di ognuno e cercare, nel buio del palcoscenico ormai deserto, le tracce di quel calore e di quella “luce” rappresentata da ogni frazione in cui è valsa la pena di vivere.

Perché, all’interno del nero, sono custoditi tutti i colori dell’arcobaleno. Basta andare ad abbracciarli.

E DIMMI CHE NON VUOI MORIRE

Guarda, tu sei lì da sola, ormai vedi, non c’è più nessuno che…

Quando chiedi troppo e lo sai, quando vuoi quello che non sei te

Ricordati di me, forse non ci credi

Sguardi, c’eri solo tu per me; non ti ricordi, ero come loro, per te

Tutti quanti sono degli eroi, quando vogliono qualcosa, beh

Lo chiedono lo sai, a chi può sentirli

La cambio io la vita che, non ce la fa a cambiare me

Bevi qualcosa, cosa volevi, vuoi far l’amore con me?

La cambio io la vita che, che mi ha deluso più di te

Portami al mare, fammi sognare. E dimmi che non vuoi morire.

“Promettiamo in base alle nostre speranze e manteniamo le promesse in base ai nostri timori” (François de La Rochefoucauld).

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto e ad Erminia Acri per la preziosa collaborazione

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