Pubblicato su Lo SciacquaLingua
“Gli uomini si vergognano, non delle ingiurie che fanno, ma di quelle che ricevono”.
Questo pensiero di Giacomo Leopardi ci ha richiamato alla mente il verbo “insultare” (sinonimo di ingiuriare) che, in senso figurato, significa “saltare sopra”. Non diciamo, infatti – sempre in senso figurato – che “quella persona mi è saltata addosso quando ho confutato la sua tesi?”
Vale a dire, mi ha offeso, ingiuriato.
Questo verbo, dunque, è pari pari il latino “insultare”, forma intensiva di “insilire”, saltar su, composto della particella “in” (su, sopra) e “salire”, saltare.
E a proposito di ingiuria, cioè di offesa, quando la “mettiamo in atto” non facciamo altro che una cosa “ingiusta” ledendo il diritto (e la dignità) di una persona. Anche questa voce è di origine classica provenendo dal latino “iniurius”, ingiusto, composto con il prefisso “in-” negativo (“che toglie”) e il sostantivo “ius, iuris” (diritto). L’ingiuria, dunque, è “tutto ciò che è fatto in onta al diritto di alcuno”, quindi danno, affronto, oltraggio. L’ingiuria, insomma, è ogni fatto scritto o detto dolosamente allo scopo di “togliere il buon nome” a una persona.
A cura di Fausto Raso
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.