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La vita è un faticoso cumulo di scelte

Questo è stato il pensiero dominante nel mondo filosofico di gran parte della Grecia antica, per definire l’esperienza terrena di ogni essere umano.

Cari Lettori, se dessimo per buona questa definizione, dovremmo riconoscere come esatta, l’equazione secondo la quale, ogni decisione si fa a discapito di altre e che, tanto maggiore è lo sviluppo della nostra personalità, altrettanto maggiore sarà la nostra capacità di valutazione, “tetragona ad ogni colpo di ventura”!

Chi può dire di non aver rimpianto mai qualcosa?

Opportunità mancate, errori di giudizio, inibizioni inspiegabili. Uno studio scientifico sull’espressione quotidiana delle emozioni, ha mostrato che le manifestazioni di rimpianto (“Se lo avessi saputo…”) vengono al secondo posto nelle conversazioni, subito dopo l’amore e gli affetti.

Il rimpianto, quindi, ci accompagna passo passo?

Ma che cosa dobbiamo rimpiangere e, soprattutto, fino a che punto? E, in ultimo, esiste un modo per sottrarci a queste forche caudine?

“Apprezzo le incompatibilità, i disaccordi e le incertezze che dividono la realtà in frammenti di verità e illusione e aprono la porta all’invenzione. Quando Humpty Dumpty cade da un muro e rompe il suo guscio d’uovo in piccoli pezzi, esiste un’alternativa al semplice incollarli di nuovo insieme. È anche possibile ricavare una frittata da quel disastro, mischiando i resti con altri ingredienti, e non solo quelli ai quali siamo abituati. Il futuro è una serie infinita di esperimenti. Il disaccordo è una sfida all’immaginazione. Il distacco è la ricompensa dei ricordi in conflitto. Mentre la conoscenza si espande e si frammenta appaiono delle crepe tra ciò che è predeterminato e cosa non lo è. I fatti si trasformano in misteri e le domande, invece di risposte, producono altre domande. Da questo deriva un’idea più avventurosa della libertà, che non è solo un diritto ma un’abilità da acquisire, la capacità di vedere il mondo attraverso lenti diverse e diverse dalle proprie, la capacità di immaginare ciò che nessuno ha immaginato prima, di trovare bellezza, significato o ispirazione. Ogni vita è una favola sulla libertà” (Theodore Zeldin –Ventotto domande per affrontare il futuro).

Questo, è lo spunto donatoci da una persona amica, come ““pensiero” per un ‘occasione di festa..

Ci rendiamo conto del fatto che si tratti di un impegno di non poco conto: meno male che, chiunque di noi, volendo, può attingere alle fonti etimologiche, per scoprire il vero significato di quanto andiamo dicendo e pensando.

Vediamo un po’: “ricordo nostalgico o doloroso di cose o persone scomparse o di occasioni mancate. Ad esempio, si rimpiangono l’infanzia, le vacanze, un amore della giovinezza…”

A ben riflettere, Cartesio diceva che dal bene passato viene il rimpianto, che è una specie di tristezza.

Questo tipo di rimpianto è parente della nostalgia. E a volte, paradossalmente, può procurare un certo piacere, visto che è associato al ricordo di momenti piacevoli. Infatti, Victor Hugo, per esempio, definiva nostalgia e malinconia come “la felicità di essere tristi”.

 Il rimpianto è associato a numerose emozioni conflittuali: risentimento, sensi di colpa, sentimenti inerenti ai percorsi della disistima.

Infatti, nel tempo, non ci si accontenta più di ricordare il proprio passato, ma si valuta la propria responsabilità su un comportamento passato (verso il quale ci si sente responsabilmente colpevoli) e sulle sue conseguenze attuali. A quel punto, il rimpianto smette di essere un dolore circoscritto semplicemente al passato e diventa, anche e soprattutto, una sofferenza del presente.

A noi, sembra di aver peggiorato la qualità della nostra vita ma, in realtà, abbiamo compiuto un passo importante verso il traguardo della maturità.

Considerando quanto esposto, dovremmo concludere che diventa necessario potersi consentire la libertà del dubbio, ad esempio e, ancor di più, la consapevolezza di essere fallaci, con la voglia di migliorare.

Purtroppo, la nostra Società non permette ai suoi membri la facoltà di ritenersi poco “formati” perché, ciò, esporrebbe al giudizio negativo degli altri, come dire alla “gogna”, costituendo, quindi, motivo di considerevole discrimine.

Insomma, come in una canzone di Renato Zero, meglio fingersi acrobati che sentirsi dei nani?

Il problema che più impegna l’uomo nel suo vivere e agire è il seguente: sembrare o essere?

La Natura non si contempla ma, semplicemente, è. L’uomo, invece, è. E, la sua mente, guarda sé stessa. L’uomo si veste ed è il solo animale del Creato a compiere questa azione e a compiacersene (Eugenio Scalfari – Incontro con Io)

Per le Società più legate allo stato di natura, il problema non si pone: si “è” e non ci si pone questioni più complesse.

Qualcosa di simile accade ancora nei nostri “borghi” ove tutti conoscono tutti e, quindi, non avrebbe senso “fingere”.

Nel vivere cittadino, molti recitano a soggetto.

A casa vivono l’inferno di un grande scontento, fuori indossano la maschera e fanno di tutto per apparire quel che non sono. Come è noto, Luigi Pirandello ha vergato, al riguardo, pagine indimenticabili e ha messo a fuoco il rapporto realtà /finzione in modo impietoso.

La Società è il regno dell’apparire, non dell’essere. Per questo siamo circondati da una folla che vive all’insegna dell’ipocrisia e, noi stessi, per sopravvivere talvolta siamo costretti a stare al gioco.

L’uomo “inautentico” avverte di essere un nulla e, per darsi tono, pone forzatamente (e convintamente) grande rilievo alle cose di cui si circonda: la macchina, il vestito firmato, l’orologio d’impatto, etc.

Pensa così di essere ammirato e invidiato dagli altri per ciò che lo “arricchisce”.

Spesso per far questo l’uomo ricorre a debiti ed altre acrobazie con risultati, alla fine, catastrofici.

La Psicologia ci insegna che, tali atteggiamenti sono etaggio del bisogno di oggetti transizionali che riducano l’goscia della solitudine,

Eppure, nel corso dei secoli, non sono mancati gli esempi di vita autentica. Il Vangelo, innanzi tutto.

Ma si sa che certi testi basilari servono per esser citati, troppo spesso, più che altro per convenienza.

Sul metro della serietà giudichiamo gli altri ma, difficilmente, noi stessi.

In questa sede, preferiamo far riferimento ad un solo testo perché interessante è riflettere sulla scorta di pagine esemplari e non ricorrere a parecchi testi che rischiano alla fine di restare in memoria come bellissimo “accumulo”.

Ci riferiamo ad alcuni versi de “La Ginestra” di Giacomo Leopardi che mettono a fuoco la natura dell’uomo, con invito a vivere in modo autentico senza aver vergogna per apparire come realmente si è.

Se uno è povero e ammalato, perché si deve vergognare di questa reale condizione?

Chi si presenta nel suo autentico stato è, non solo da apprezzare ma, anche, da imitare come serietà di vita. É da disprezzare chi, nato alla “precarietà” si atteggia a vivere secondo i parametri dell’Eterno.

La presa di coscienza della precarietà dell’esistenza, dovrebbe essere un bagno di sapere reale e ricordarci che siamo esseri infinitesimi in un universo infinito.

Ma leggiamo direttamente alcuni versi che mettono a fuoco l’umana condizione:

“Uomo di povero stato e membra inferme,

che sia dell’alma generoso ed alto,

non chiama se ne’ stima ricco d’or ne’ gagliardo,

e di splendida vita o di valente

persona infra la gente

non fa risibil mostra,

ma se di forza e di tesor mendico

lascia parer senza vergogna,

e noma parlando, apertamente, e di sue cose

fa stima al vero uguale.

Magnanimo animale non credo io già, ma stolto,

quel che nato a perir, nutrito in pene,

dice, a goder son fatto….

In un tempo storico particolarmente travagliato, dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, partendo da quel che siamo, senza falsificazioni o ipocrisie.

Con questo atteggiamento, ci offriamo agli altri nella nostra modestia autentica che, per essere tale, alla fine modestia non è ma è qualcosa di bello e fruttuoso offerto agli altri.

Entriamo in relazione con gli altri, pertanto, con autenticità e col cuore in mano. Offriamoci al confronto per come siamo, non per come vorremmo essere.

Sarà un bene non solo per noi ma anche per gli altri che di fatto verranno così invitati a relazionarsi come persone e non più come maschere.

Cari Lettori, come abbiamo tristemente osservato, viene da sè che, temendo il giudizio degli altri, spesso, si è portati a paventare una personalità che non corrisponde, propriamente, alla fotografia della nostra interiorità.

A quel punto bisogna fare molta attenzione in quanto, tra il dire e il fare, c’è di mezzo un vuoto capace di generare oscillazioni e vertigini, in grado di disgregare certezze e sicurezze…

In un minuto c’è il tempo per decisioni e scelte che il minuto successivo rovescerà ( Thomas Stearns Eliot)

Forse bisognerebbe capire che, la Vita, è come un lungo sentiero dalle mille diramazioni con cui, prima o poi, dovremo fare i conti per stabilire quale imboccare, per poter proseguire il nostro cammino.

Da qui nasce l’esigenza di una scelta…

Ovviamente, ogni decisione (dalla più semplice alla più sofferta) dipende, sostanzialmente, da quanto abbiamo imparato con l’esperienza, che teniamo custoditi nei nostri animi e che esterniamo attraverso i pensieri.

I nostri pensieri, già, quei magnifici costrutti fatti di “Nulla” (perchè le idee non si “toccano” con la mano) ma capaci di concederci di arrivare al “Tutto”… o di precipitarci nel buco nero spazio – temporale (perché siamo ciò che pensiamo).

In fondo, ognuno di noi dovrebbe potere essere in grado di valutare il livello di crescita di quel rapporto con se stessi che si chiama “identità” utilizzando, come strumento, la realistica constatazione dei conflitti che si animano nel proprio essere, nel momento in cui, all’orizzonte, la strada non è più una linea retta ma, al contrario, diventa una radura dalle mille opzioni.

Tanto più aumenterà l’ansia di sbagliare, tanto minore sarà il livello di sviluppo della propria personalità!

Cari Lettori, in genere, i nostri insuccessi sono più dolorosi se derivano da azioni che non hanno dato i frutti sperati anziché da omissioni. Però, i rimpianti più profondi sono legati alle occasioni perdute. Il fatto è che il passare del tempo causa un’evoluzione dei nostri rimpianti: quel che tendiamo a rimpiangere nell’immediato, spesso sono soprattutto le azioni sbagliate. Più passa il tempo, invece, e più rimpiangiamo quello che non abbiamo fatto.

E allora, una domanda: come si passa dal rammarico per quello che si è fatto, al rimpianto per ciò che, invece, non si è portato a termine?

Mediante un lavoro di compensazione psicologica, che smorza spesso le frustrazioni conseguenti agli episodi negativi spingendo a concentrarsi sugli aspetti positivi della situazione, nel suo complesso.

La Natura è articolata ma fa bene il suo lavoro.

Ogni scelta è compiuta, infatti, a danno di un’altra. Non potendo diventare perfetti nella gestione delle emozioni, crediamo che si possa imparare a vivere i propri rimpianti con maturità e saggezza: a ben guardare, una lezione per imparare dagli insuccessi, un’opportunità per passare dal rimorso o dalla nostalgia per qualcosa che non è stato, alla consapevolezza che si può fare un uso migliore del tempo che ci resta da vivere.

In tutti i bambini c’è, in ogni stadio, un nuovo miracolo di vigoroso sviluppo, che costituisce una nuova speranza e una nuova responsabilità per tutti. (ERIK ERIKSON)

Perché, se è vero che “troppo spesso, le scelte che la realtà propone sono tali da togliere il gusto di scegliere”, ha altrettanto ragione Karl Marx, quando sostiene che “gli uomini fanno la propria Storia non in maniera arbitraria o in circostanze scelte da loro stessi, bensì nei contesti che trovano immediatamente davanti a sé, determinati dai fatti e dalle tradizioni.

Si, è vero. Ma, a noi resta il dovere (che, poi, è un privilegio) di scegliere dove volgere lo sguardo, per stabilire la direzione verso cui andare!

Cari Lettori, l’immagine di copertina ci accompagna alle riflessioni finali di un autore incline a interessanti osservazioni esistenziali perchè, come ha detto qualcuno, “avere una visione della tua vita ti permette di vivere nella speranza, piuttosto che nelle tue paure”

ACROBATI

Visto dall’oblò di questo aereo

Il mondo sembra bene organizzato

Dell’uomo cogli l’operato serio

Il tratto netto, duro ed ordinato

Reticoli di campi cesellati

Di cui non percepisci mai l’arsura

E specchi d’acqua poi, come diamanti

Quell’uomo ha regalato alla natura

Forse per darle una struttura

Per darle una struttura

Le strade che si inseguono impossibili

Dei popoli raccontano il cammino

Aggirano i più straordinari ostacoli

O basta non guardarle da vicino

E noi che siamo in mezzo a queste ali impavide

Non siamo niente o siamo tutto

Lasciarci trasportare è stato facile

Ma adesso ritornare giù non sembrerebbe giusto

Dovremmo resistere

Dovremmo insistere

E starcene ancora su, se fosse possibile

Toccando le nuvole o vivere altissimi

Come due acrobati sospesi

Non guardare giù, non so se c’è la rete

Il mondo da quassù sembra lontano e invece

Invece è un attimo e lo sai, rifinirci dentro

E devo stare attento  a non sbagliare ancora

E c’è una strada sottilissima

Che non riesco più a vedere

Se continui ad aggrapparti rischiamo di cadere

Di cadere oppure fingere un’altra acrobazia

Questione di equilibrio

E l’equilibrio è una filosofia

Dovremmo resistere, dovremmo insistere

E starcene ancora su, se fosse possibile

Toccando le nuvole o vivere altissimi

Come due acrobati sospesi

Il tempo non passa: rallenta, si ferma

È il vento che conta, che canta

Disobbedire alla gravità

Non credo che sia grave

Non puoi chiamarla libertà

Finchè non rischi di cadere dall’alto

C’è sempre qualcuno che guarda

“Non so cosa succederà. Ma non possiamo lasciare ai nostri figli un mondo senza speranza” (Cit.)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto e a Maria Mazzuca per la collaborazione offerta

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