Posted on

Dappertutto gli uomini non fanno altro che togliersi o vincersi qualcosa a vicenda (Dostoevskij)

Quando ha iniziato a giocare?

All’età di 22 anni

Cos’è accaduto?

E’ iniziato senza che me ne accorgessi. Già da tempo, ciclicamente mi capitava (il sabato, ad esempio) di entrare in qualche centro di scommesse insieme a mio padre per puntare una manciata di Euro alle corse dei cavalli. Nel seguire la gara, sentivo che la mia adrenalina saliva e, cosa ancora più importante, condividevo questi particolari momenti emotivi con mio padre che (essendosi separato da mia madre quando ero io ero piccolo) mi è sempre mancato. Un po’ alla volta ho scoperto che, entrare in quegli ambienti, era un po’ come portare con me (idealmente) mio padre, soprattutto nei periodi in cui lui, per motivi di lavoro, restava lontano da me.

Un giorno (non ricordo bene quando) ho capito che, volgendo l’attenzione alle cosiddette “macchinette” (slot o video poker) avrei avuto il controllo diretto e continuo delle mie emozioni “adrenalinizzate”… e mi sono risvegliato all’età di trent’anni a scoprirmi completamente dipendente da questa “attrazione”…

Cosa ha perso a causa del gioco?

Molto, dei risparmi della mia famiglia; tutto quello che mi avevano regalato per il mio matrimonio (perchè, nel frattempo, una ragazza che frequentavo aveva scoperto di essere incinta); il mio lavoro di magazziniere ai Mercati Generali di frutta e verdura; la mia dignità di uomo, marito, padre…

Perché non si accorgeva di quanto stava accadendo attorno a sè?

Per un bel po’ sono riuscito ad avere una doppia vita: al mattino molto presto (già dalle 4,00) al lavoro e dal pomeriggio per un paio d’ore, a giocare alle slot. Poi, ho inventato malattie inesistenti per assentarmi dall’impiego ed ho iniziato (mentendo a tutti) a trascorrere gran parte della giornata in uno di questi centri dove si gioca, diventando “uno di casa”. La sera, prima di riuscire ad addormentarmi (perchè soffrivo di insonnia) mi ripromettevo di smettere, pensando a tutto quello che stavo togliendo a me e alle persone che mi volevano bene; già dal mattino presto, però, venivo assalito da crampi allo stomaco, da una specie di vuoto alla testa che mi “costringeva” a vestirmi e (mentendo sulla destinazione) a recarmi sempre nello stesso posto, a giocare, con uno stato d’animo simile a quello che avevo quando mi recavo ad un appuntamento con la mia prima fidanzata e che, in alcuni momenti, era simile (da ciò che mi hanno raccontato) a quello, smanioso, che prova un tossicodipendente quando va alla ricerca del proprio pusher…

Una volta dentro, cambiavo il danaro in moneta o gettoni e sceglievo sempre la stessa postazione. Da quel momento, si creava una catena di emozioni (sempre uguale) che si impadroniva di me e della mia volontà, che dividerei in tre fasi:

  • il prima (salivazione ridotta, sudorazione fredda, vista appannata dall’emozione…)
  • il durante, nel mentre “la ruota della fortuna” della Slot girava (una sorta di “assenza”, un vuoto che mi alleggeriva dal peso che mi portavo durante tutta la giornata)
  • il dopo (un contraccolpo simile a quello che si prova quando l’areo su cui viaggi, tocca terra nella fase di atterraggio, da cui nasceva il profondo senso di colpa e la voglia di rifarmi, continuando a giocare)

Cosa l’ha aiutata a guarire?

Forse il termine “guarire” è una parola troppo impegnativa. Io mi sento come un alcolista che, da tanto tempo, è riuscito a stare lontano dalla “bottiglia”. Diciamo che sono stato spinto dalla delusione di mio padre, dal dolore di mia madre e, soprattutto, dall’allontanamento di mia moglie che aveva chiesto la separazione legale. L’elemento scatenante è stato l’aver giocato anche i pochi spiccioli con cui avrei dovuto comprare un antibiotico alla mia bambina. Allora, con mio padre, ho chiesto aiuto al servizio per le dipendenze patologiche e ad un valido professionista medico psicoterapeuta in grado, sia di modulare la terapia farmacologica, che di aiutarmi a capire chi sono e cosa diventare per riuscire, finalmente a “vivere” da Uomo che merita il rispetto degli altri e, soprattutto, di sé stesso. Ho molta fiducia in Dio, in chi mi aiuta… e in me stesso.

Cari Lettori, da ciò che vi abbiamo proposto come “incipit” (derivante dall’ascolto di qualcuno che ha voluto vedere, in noi, una sponda di cui potersi fidare) molto dell’argomento di quest’oggi, potrebbe essersi chiarito.

Molti centri di ricerca, fra cui il Dipartimento di Neuroscienze del Karolinska Institutet di Stoccolma (quello dei Nobel), quello di Psichiatria dell’Università di Oxford, di Psicologia dell’Imperial College di Londra e l’Ibfm-Cnr e dell’Università della Calabria, anche grazie all’ausilio dell’intelligenza artificiale sono arrivati a concludere i soggetti a rischio gambling (gioco d’azzardo) presentano tra l’altro, tratti depressivi e impulsivi, ricerca di emozioni positive e considerevole mancanza di fiducia negli altri.

Ogni ricerca, in quanto tale, ha il pregio di aprire una finestra su un Mondo poco (o affatto) conosciuto. Il passo successivo consiste nell’illuminare (gradualmente e progressivamente) porzioni di quel Mondo.

Ad esempio, dichiarare che la causa della ludopatia “è multifattoriale, genetica, neurobiologica, comportamentale e conferisce alla persona una vulnerabilità di base, amplificata da fattori psicosociali come povertà o traumi biografici”, significa introdurre il concetto dell’importanza dell’ambiente su un sistema governato da leggi a base biologica.

Ora, però, proviamo ad accendere un faro e, approfondendoci, ci accorgiamo che, la Personalità di un individuo (cioè l’insieme di quegli elementi che consentono di imparare, pensare e comunicare, caratterizzando la peculiarità di ciascuno) è il risultato della “espressione” ad hoc (condizionata dalla capacità di adattamento psicologico) di quelle porzioni di DNA che si chiamano geni.

In pratica, è come se, su un supporto tecnologico adeguato (CD, DVD, SSD, Pendrive, etc.) fossero registrate le tracce di una serie di canzoni la cui sequenzialità nella riproduzione e ascolto sia stata determinata da chi ha programmato il device (cioè il computer, ad esempio) in cui si inserisce il supporto.

La capacità di resistenza e adattamento di questo strumento (il pc, lo smartphone, etc.) alle varie sollecitazioni ambientali, riuscirà a mantenere l’ordine di ascolto della musica o modificherà la scaletta.

Come più volte ci è capitato di accennare, dentro le nostre cellule, il DNA è avvolto intorno ad una serie di “bigodini” (chiamati Istoni) che ne consentono lo srotolamento allorquando, un meccanismo di stampaggio delle informazioni in esso contenute (che si chiama RNA messaggero) deve “scannerizare” ciò che serve e portare, il tutto, nelle “centrali” di produzione delle proteine (che daranno luogo, ad esempio, alla creazione dei neurotrasmettitori). Questo meccanismo di lettura è determinato, fin da prima del momento della nostra venuta al mondo, in base a parametri stabiliti da Madre Natura ed è perfettamente funzionante da subito.

Il rapporto con i vari fatti della vita può sfasare questo meccanismo così preciso e creare i presupposti per le alterazioni di cui parla la ricerca in questione. A meno che non diventiamo flessibili abbastanza per assorbire i vari “urti”…

La capacità di adattamento (che prende anche il nome di Resilienza) è resa possibile da quanto abbiamo imparato a saperci “gestire” anche nelle situazioni più difficili e complesse ed è appannaggio, quindi, del lavoro delle zone più “nobili” del cervello, lì dove, la Mente Umana, trova la sua migliore estrinsecazione (nel rapporto fra le idee che assembla e le emozioni che, ad esse, abbina).

Da questo ricaviamo che, in relazione a ciò che diventiamo (psicologicamente parlando) governiamo (inconsapevolmente, per lo più) in maniera adeguata o meno il complesso “multifattoriale, genetico, neurobiologico e comportamentale” in maniera da conferire alla persona una vulnerabilità di base (che viene amplificata da fattori psicosociali, come povertà o traumi biografici) o da creare le condizioni per resistere e, addirittura, divenire più forti, mano mano che si affrontano e si risolvono i problemi personali e psicosociali. E non c’è povertà o mancanza di inclusione che tenga.

Tornando per un attimo a i risultati delle ricerche cui abbiamo fatto cenno qualche rigo più sopra, le alterazioni di personalità dipendono prevalentemente da “disfunzioni cerebrali e genetiche del sistema dopaminergico” che, a loro volta, rappresentano la manifestazione di ciò che il DNA manda a dire (che si chiama “fenotipo”) più che una mutazione (che prende il nome di “genotipo”).

Ma comunque, anche se ci fosse una alterazione strutturale del DNA, con una adeguata strategia cognitiva, si realizzerebbe ciò che, gli informatici, chiamano “clusterizzazione”: cioè, in pratica, si “salta” (epigeneticamente) la “lettura” di una porzione e si passa ad una vicina.

Con questo meccanismo, attraverso un opportuno training di psicoterapia, è stato possibile (con un interessante esperimento di qualche anno fa) rendere “inoffensiva” l’espressione genica che porta al disturbo antisociale di personalità (che, per alcuni aspetti, è l’anticamera delle psicosi).

Quante persone, soprattutto di giovane età, sono affette da questa patologia?

Un rapporto dell’Espad (European School Survey on Alcohol and other Drugs)-Italia già nel lontano 2012 evidenziava come l’Italia vanti un triste primato per ciò che riguarda la pratica del gioco d’azzardo tra i giovani.

Nello specifico, l’indagine statistica, svolta su un campione di 45 mila studenti sparsi in tutta la penisola, ha evidenziato come il 45% degli intervistati abbia ammesso di aver puntato denaro sui vari Gratta e Vinci, Superenalotto, scommesse sportive, slot machine e altro. Percentuale che aumenta sensibilmente quando si prende in considerazione il solo Sud Italia (52%), e che raggiunge il picco massimo proprio nella regione Calabria, con un 54% del campione intervistato.

Quali categorie di persone cadono nel tunnel del gioco d’azzardo?

Dagli studi più approfonditi, sull’argomento, i giocatori “patologici” hanno anche un profilo di personalità disfunzionale, per cui “le persone con bassa apertura mentale, coscienziosità, fiducia negli altri, alla ricerca di emozioni positive e con elevato tratto depressivo e impulsivo rischiano la vulnerabilità” verso questo problema.

Ora si tratta di capire due cose.

La prima: come, tali persone, siano arrivate a manifestare una simile pletora di problematicità.

La seconda: come mai, da tali quadri di disturbo, nasca la ludopatia.

Andiamo al primo punto. Come accennato precedentemente, la nostra personalità risente dello sviluppo di ciò che si chiama “Incontro con l’IO” (rapporto profondo con sé stessi) e che porta, attraverso la conquista e l’appagamento delle esigenze e dei bisogni e delle aspirazioni ben sintetizzati dallo psicologo americano Abrahm Maslow nella sua famosa “Piramide”, alla costruzione di una solida autostima e, consequenzialmente, a ciò che si chiama “Maturità”.

Ecco quindi che, il ruolo dell’ambiente torna prepotente nel determinare la possibilità della formazione di un individuo che possa dichiarare di avere, in mano, le redini del proprio futuro, attraverso un brillante presente provenendo da un passato da cui si è tratto adeguato insegnamento.

Passiamo al secondo punto. Per quanto il Manuale dei Disturbi Mentali (DSM) abbia collocato la ludopatia in una apposita categorizzazione di disturbo (Gioco Patologico nel DSM IV e Gioco problematico nel quadro più ampio delle dipendenze, nel DSM V), stiamo parlando di una manifestazione di difficile controllo degli impulsi che si può, comunque, sovrapporre ai quadri ossessivo compulsivi.

Si definisce ossessione quello stato psicologico in cui un’idea si ripete incessantemente, a “vortice”, incontrollabilmente e determinando una situazione di angoscia, molto spesso, su base fobica. Alla luce di questa spiegazione, possiamo affermare che una tale sintomatologia serva per distrarre l’attenzione dai veri problemi che, spesso, si ritengono insormontabili.

Per raggiungere lo scopo con efficacia, ci si impone delle condizioni “assurde”, che non possono trovare una soluzione razionale. Più si cerca un filo logico, più si girerà “a vuoto” trascorrendo, in tal modo, gran parte del proprio tempo vitale senza rischiare di impattare con le vere, autentiche problematiche, che stanno a monte di tutto.

Il gioco d’azzardo (poker, baccara’, chemin de fer, zecchinetta, macchinette mangiasoldi…) ha avuto molta attenzione in letteratura, pittura, cinema.

Memorabile l’attacco dantesco (Pg VI) : “Quando si parte il gioco della zara” con l’immagine del giocatore sconfitto che continua da solo ad allenarsi in un gioco ove il caso regna sovrano.

Pirandello ha incentrato “Il fu Mattia Pascal” sul gioco al casinò che muta la vita del personaggio e consente all’autore di operare uno sviluppo narrativo originale che tutti conosciamo e su cui non ci pare il caso di insistere.

Mattia Pascal (per quel che in questa sede ci interessa) in un negozio di Nizza si imbatte in un metodo per vincere alla roulette attraverso un opuscolo “Methode pour gagner a’ la roulette” che prestamente compra.

È chiaro che non è individuabile un metodo in un campo ove il caso la fa da padrone.

Il personaggio va a giocare al casinò. Casualmente vince, si eccita e come capita ai giocatori perde il senso del tempo ed entra in una dimensione “altra”. Al termine del gioco qualche volta finisce vincitore ma molto spesso si ritrova senza un soldo.

Il gioco d’azzardo stordisce il giocatore.

C’è la cupidigia di voler vincere per far soldi su soldi ma c’è soprattutto la bramosia del gioco in quanto gioco. É proprio il brivido del gioco che cattura il giocatore e determina tante volte negativamente la sua vita.

Alcuni scrittori non solo hanno dedicato pagine intense al gioco ma, giocatori in proprio, hanno dilapidato intere fortune.

Tommaso Landolfi, per esempio, che parla in La biere du Pecheur del rovinoso gioco d’azzardo, con i numeri rossi e neri che finiscono per distruggere chi va loro dietro.

Ovviamente, l’esempio più illustre è quello di Fedor Dostoevskij che ne “Il giocatore” descrive la passione del gioco in pagine memorabili. Per anni il grande scrittore fu “schiavo” del vizio del gioco girando per casinò di mezza Europa e perdendo tutto quel che c’era da perdere.

La lettura delle testimonianze lasciate dalla moglie sono molto istruttive al riguardo come le pagine indimenticabili di Leonida Cypkim che in Estate a Baden Baden si muove sulle tracce di Dostoevskij.

A mente fredda, affidandosi alla logica, non ci vuol molto a capire che il meccanismo del gioco è tale che alla lunga (nei casi migliori) il singolo è destinato a perdere. A mente fredda…

Ma, nel fuoco della passione divorante, è tutt’altra cosa.

Una volta registrata la perdita il giocatore vaga imbambolato e sogna di ripartire al tavolo verde con un copeco e di vincere, poi, una fortuna.

In giochi ove c’è bisogno anche di abilità (il poker, per esempio) lo sconfitto si vergogna della perdita perché, agli occhi degli osservatori, passa per un incapace non all’altezza della situazione e delle aspettative.

Un uomo della statura di Cavour, una volta ebbe a commentare così:

Il gioco di azzardo è una tassa sugli imbecilli

Ma il gioco, per il giocatore, ha la stessa attrazione che ha, la sigaretta, per l’accanito fumatore. Fa male, però io non rinuncio!

Nel campo della pittura alcuni dipinti sono presenti alla nostra memoria :”I bari” di Caravaggio, “Al tavolo della roulette” di Edward Munch, “I giocatori di carte” di Paul Cezanne e si potrebbe continuare.

Passando al cinema sono numerosi i film che hanno al centro il gioco d’azzardo. In questa sede ne ricordiamo solo qualcuno.

Rain man (l’uomo della pioggia, 1988), con la memorabile interpretazione di Dustin Hoffman. Un genio della matematica autistico vince tantissimo a Las Vegas.

“Casino’ Royale” con l’indimenticabile giocata di poker di James Bond.

E l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Una cosa è perdere in una finzione filmica, un’altra nella vita reale.

Si finisce, giocando e perdendo, dopo un po’ a diventare altra persona da quella che si era. Il nervosismo, le bugie, i furti per far soldi e rigiocare trasformano un essere in una vera e propria larva con effetti catastrofici sulla famiglia e le persone che ruotano intorno a chi è ostaggio della ludopatia.

“Bisogna dimostrare loro… Sappia Polina che io posso ancora essere un uomo. Basta soltanto… Adesso, però, è tardi, ma domani… Oh sì, ho un presentimento e non può essere diversamente! Ora ho quindici luigi e ho cominciato con quindici gulden! Se si comincia con prudenza… E’ possibile, è possibile che io sia proprio così bambino? E’ possibile che io non capisca che sono un uomo perduto? Ma perché non potrei risorgere? Sì!

Basta essere almeno una volta nella vita cauto e paziente: ecco tutto! Basta, almeno una volta nella vita, dimostrare carattere e, in un’ora, posso cambiare il mio destino! L’essenziale è il carattere. Basta ricordare che cosa mi è accaduto in questo senso sette mesi fa a Roulettenburg prima della mia definitiva perdita!

Oh, quello fu un notevole caso di fermezza avevo allora perduto tutto, tutto… Esco dal Casino, guardo nella tasca del panciotto trovo ancora un gulden. “Ah, avrò dunque di che pranzare!” pensai ma, dopo aver fatto cento passi cambiai idea e tornai indietro.

Puntai quel gulden sul manque (quella volta ero fissato per il manque) e, in verità, c’è qualcosa di particolare nella sensazione che provi quando solo, in un paese straniero, lontano dalla patria e dagli amici, senza sapere che cosa mangerai oggi, punti l’ultimo, proprio l’ultimo, l’ultimissimo gulden! Vinsi e dopo dieci minuti uscii dal Casinò con centosettanta gulden in tasca.

E’ un fatto! Ecco che cosa può significare a volte l’ultimo gulden! E che cosa sarebbe accaduto se allora mi fossi perso d’animo, se non avessi avuto il coraggio di decidermi?

Domani, domani tutto finirà!” (da “Il giocatore” F .Dostoevskij)

Cosa bisognerebbe fare per aiutare queste persone?

Questo tipo di disturbo, risulta da una disfunzione di zone ad “alta densità emotiva” (tra cui, il talamo, i gangli della base e della corteccia frontale del cervello) che comporta un’attività anomala, principalmente, dei neurotrasmettitori dopamina e serotonina.

Allora, sul piano farmacologico, si scelgono molecole in grado di ottimizzare il riassorbimento della serotonina, ridurre (quando necessario) la produzione di dopamina e stimolare il sistema GABAergico (la cui attivazione determina sedazione dell’ansia).

Per quanto riguarda la psicoterapia invece, bisogna impostare un lavoro di riorganizzazione e rinforzo della personalità per puntare, quanto meno al riempimento dei “vuoti” interiori che rendono quasi necessario “ricercare emozioni forti”, così da arrivare una riduzione dell’impulsività e alla capacità di determinare un corretto esame di realtà con lo sviluppo di adeguati meccanismi di difesa (e di scelta) e un deciso miglioramento delle “aree di funzionamento globale” della sua personalità.

Comunque, quale che sia la strada che si intenda seguire, siccome le nostre città sono sempre più piene di punti gioco che si trasformano in un attrattivo canto delle sirene di Omerica memoria in grado di mettere a dura prova chi tenta di uscire da questa dipendenza, è importante, anche, coinvolgere nella terapia i servizi pubblici per le dipendenze patologiche (SERD) del Sistema Sanitario Nazionale, istituiti dalla legge 162/90.

Ai SerD sono demandate le attività di prevenzione primaria, cura, prevenzione patologie correlate, riabilitazione e reinserimento sociale e lavorativo.

Il ruolo della Scuola… sempre più adolescenti soffrono di questa patologia.

La Scuola è l’ultimo baluardo fra lo studente e la stimolazione di una Società tendente alla mortificazione delle capacità cognitive. Riveste, quindi, un ruolo importante. Soprattutto sul fronte della prevenzione.

Ad esempio, per tornare al profilo dello scommettitore “tipo”, troviamo, non di rado, persone con un livello di istruzione e “formazione” non idoneo a uno sviluppo di maturità coerente con l’assunzione di responsabilità e un adeguato rapporto con la “tentazione narcisistica” e con le conseguenti delusioni che mettono di fronte al problema dei problemi: la paura e il peso della profonda Solitudine.

I calciatori: la caduta degli Dei?

Cari Lettori, quello che le indagini della Magistratura sta facendo emergere negli ultimi tempi in ambito sportivo calcistico, è solo la punta di un Iceberg: infatti, se il rischio di sviluppare ludopatia interessa 0,5/0,8 cittadini europei su 100, la percentuale sale almeno al 13% tra i calciatori professionisti. 

 Scommettere mi dava lo stesso entusiasmo, la stessa eccitazione del gol o della vittoria. Un brivido a cui potevo accedere senza limiti e che mi ha tolto ogni freno (calciatore della Premier League che si è sottoposto al protocollo di aiuto per tentare di uscire dal problema)

Gli psicologi specializzati nel settore, ritengono che la maggiore responsabilità sia dovuta alla “interiorizzazione narcisistica” di una competitività sempre maggiore che, nei momenti di riposo, emerge sotto forma di “dipendenza adrenalica” che le scommesse sportive (in cui si crea confusione fra il tentare la sorte e il riuscire a centrare il risultato per abilità personale) vanno a surrogare:.

Come dire: un sistema rischioso di colmare i vuoti, le pause tra allenamenti, i viaggi delle trasferte e le partite che, una volta (prima di chiuderci nell’autismo dello “scroll” di reel e inutili post dei vari social) erano dedicate alla socializzazione autentica e alla creazione di quello spirito di gruppo in grado di forgiare anche il carattere individuale.

Dalle memorie di Anna, la moglie di Dostoevskij: “Come previsto il gioco fu un disastro. Fedor perse una somma per noi allora significativa. Ma la disperazione che provo’ in quella settimana lo colpi’ a tal punto che decise di non giocare più in vita sua.”

Scrisse il grande scrittore alla moglie: “È accaduto qualcosa di grande in me, è sparita la disgustosa fantasia che mi ha tormentato per quasi dieci anni. In questi dieci anni ho sempre sognato di vincere. Ho sognato seriamente, appassionatamente. Adesso tutto è finito! É stata VERAMENTE l’ultima volta! Mi credi Anja? “

La moglie annota nel suo diario :” Naturalmente non potevo credere a una notizia così straordinaria. Dopo tutto mi aveva già promesso molte volte che non avrebbe più giocato e non aveva mai mantenuto la parola”

Quella volta, invece, la bella notizia si avverò: quella fu l’ultima volta che giocò.

Cari Lettori, come sempre, vorremmo concludere il cammino insieme a voi agganciandoci all’immagine di copertina che, questa volta, ci mostra il futuro che può venire a salvarci: un bambino che, dopo aver liberato uno stormo di uccelli, osserva le infinite possibilità del confronto con le bellezze di Madre Natura. A incupirci, lo sguardo perplesso del cagnolino. Forse, nella sua innata saggezza, “sente” le note della canzone che vi proponiamo, vincitrice del “premio Lauzi 2023 “

Vent’anni

Vent’anni son passati in fretta, tempo di un’infanzia

Un diploma e molto altro da provare: vent’anni di paure scritte su quaderni

Non son bastati neanche ad imparare a stare bene. Vent’anni di propositi del cazzo

Mi hanno portato a piangere, ad odiare questo inverno. Dicevano che fuori c’era il sole e si giocava

Ma comunque io continuo a stare fermo. Vent’anni di palazzi sbronzi, amori estivi

E di ritardi a scuola e di serate con gli amici. Ci davano dei tonti, dei mediocri

Poi tornavamo a vivere nei nostri videogiochi. Vent’anni sono pochi e non saranno mai abbastanza

Per capire dove andiamo ed io chi sono, c’avevo tra le mani la speranza ma nessuno mi credeva ed io tornavo a stare solo

Ma se da soli ci sentiamo persi, dimmi come all’improvviso un giorno incontri Dio ma siamo sputo fra miliardi di universi

E piangi forte, non t’avevano avvisato: sembra la più assurda cosa che è accaduta

Ma è soltanto un ingranaggio di quest’opera incompiuta

E capisci ancora che non hai capito Ma non ti fermi, perché niente va perduto

“Ragazzo, un giorno diventerai dottore e pagherai dei soldi Per avere una pensione”

Ma sai, mi piacerebbe intanto credere in qualcosa e riuscire a dare amore alle persone

Vent’anni ed ho capito che cerchiamo di piacere agli altri: anche per quello che non siamo

Che poi quegli altri siamo io e te , he non alziamo mai la voce, per sentirci meno strani

Ma se da soli ci sentiamo strani, forse è vero che lo siamo se arriviamo sui pianeti

E certi pensieri sono come gli uragani dentro un discorso che nessuno ha preparato

Siamo la più assurda cosa che è accaduta

O soltanto un ingranaggio di quest’opera incompiuta. Quante cose ancora che non ho capito

Ma non mi fermo, perché niente va perduto. Ma se da soli ci sentiamo persi

Forse è vero che lo siamo, ma le nostre voci insieme, Son più forti di miliardi di universi

Siamo le mani strette contro la fatica di parlarci

Siamo vita, Siamo vita Che svanisce minuto per minuto

I pensieri sono spiriti in movimento, come le onde del mare che fanno sentire la loro voce infrangendosi sulla riva” (Romano Battaglia)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto per la collaborazione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *