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 L’Isola che non c’è

Seconda stella a destra, questo è il cammino… e poi dritto fino al mattino. Poi la strada la trovi da te, porta all’isola che non c’è. Forse questo ti sembrerà un strano, ma la ragione ti ha un po’ preso la mano. Ed ora sei quasi convinto che… non può esistere un’isola che non c’è! E a pensarci, che pazzia, è una favola, è solo fantasia… e chi è saggio, chi è maturo lo sa: non può esistere nella realtà! Son d’accordo con voi, non esiste una terra dove non ci son santi né eroi. E se non ci son ladri… e se non c’è mai la guerra, forse è proprio l’isola che non c’è! E non è un’invenzione e neanche un gioco di parole. Se ci credi ti basta perché… poi la strada la trovi da te. Son d’accordo con voi, niente ladri e gendarmi, ma che razza di isola è? Niente odio e violenza, né soldati, né armi, forse è proprio l’isola che non c’è! Seconda stella a destra, questo è il cammino… e poi dritto fino al mattino. Non ti puoi sbagliare perché quella è l’isola che non c’è! E ti prendono in giro se continui a cercarla, ma non darti per vinto perché chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle forse è ancora più pazzo di te!

Quando il primo bambino rise, la sua risata si infranse in mille e mille piccoli pezzi, che si dispersero scintillando per tutto il mondo: così nacquero le fate. (Neverland – Un sogno per la vita)

Cari Lettori, questo nostro Editoriale, si snoderà nel cercare una risposta alle tre domande sotto riportate:

Cosa significa Crescere?

Perché si ha paura di crescere?

Si può crescere senza perdere l’entusiasmo e la curiosità tipica dei bambini?

Siamo nel 1902, uno scrittore irlandese, James Matthew Barrie, è uno stimato autore teatrale le cui commedie però, non convincono (perché non hanno il carisma adeguato).

Un giorno, seduto su una panchina al parco intento a scrivere con il proprio cane, conosce per caso una signora, vedova con quattro figli. Nasce, in questo modo, un grande amore per i quattro bambini con i quali comincia a passare le sue giornate, a giocare e a farli divertire, offrendogli addirittura il proprio cottage fuori città e arrivando addirittura a sacrificare il proprio matrimonio.

Dei quattro bambini, uno, Peter, è taciturno e ride raramente, avendo subìto in maniera molto forte lo shock della perdita del padre. James lo incita a scrivere, a sfogarsi inventando storie sulla propria famiglia e, a poco a poco, si trova lui stesso ad immaginare una favola fantastica sui quattro fratelli.

Il risultato sarà il romanzo Peter Pan (che è rimasto nella storia come l’emblema di un ragazzo che vola, ma che si rifiuta di crescere).

Da questo romanzo saranno tratti film e animazioni di vario genere, fra cui Neverland – Un sogno per la vita (che, nel 2004, narra, in maniera romanzata, ma sufficientemente fedele, un periodo della vita dello scrittore James Matthew Barrie, diventando anche un viaggio nel sogno, verso Neverland, “la terra che non c’è”) e Hook – Capitan Uncino del 1991, un film di Steven Spielberg con Robin Williams, Dustin Hoffman, Julia Roberts e Bob Hoskins.

Per tornare alla domanda iniziale su cosa significa crescere e perché se ne ha paura, abbiamo scelto di mostrare un’immagine tratta da Hook – Capitan Uncino. Il film che è un sequel delle avventure originali di Peter Pan, si concentra su un Peter cresciuto che ha perso i suoi ricordi d’infanzia. Conosciuto ora come “Peter Banning”, è un avvocato di successo sposato e con due figli, condizionato da una Società consumistica che gli ha spento tutto il piacere della freschezza interiore. Quando Capitan Uncino rapisce i suoi due ragazzi, Peter farà ritorno all’isola che non c’è e si riapproprierà (per riconquistare l’interesse dei suoi figli e toglierli all’influenza del pirata) del suo spirito giovanile, così da poter sfidare ancora una volta il suo acerrimo nemico e vincere, definitivamente.

Peter Pan e Capitan Uncino, così diversi e così simili…

Peter, il ragazzo che non vuole crescere e Capitan Uncino, l’uomo maturo che prova a diventare il personaggio più carismatico di questa “Isola che non c’è”.

In realtà, i due antagonisti sono straordinariamente sovrapponibili o, meglio, l’uno l’ombra dell’altro. E forse, questo, è uno dei motivi per cui Peter Pan non si porta dietro la propria “ombra”.

Peter non vuole crescere (per paura di perdere “purezza” e “freschezza”); ma anche Capitan Uncino è un ragazzo che ha paura d’invecchiare e, soprattutto, ha paura di affrontare la vita e, quindi, si camuffa da cattivo.

Cari Lettori, l’uncino che si vede nell’immagine, se ci fate caso, serve ad avvicinare e non a colpire: è paradossale ma questo “gancio” è un surrogato di mano, quasi a ricordare che  non sempre sappiamo porgere il palmo per avvicinare le persone…

Agli occhi degli altri, la nostra azione può diventare un pericolo mentre, noi, non sapendo spiegarci adeguatamente, vorremmo solo non restare da soli. Ma, apparendo minacciosi o, comunque, respingenti, otteniamo l’allontanamento altrui.

In effetti, nell’immagine, Peter ha uno sguardo più cattivo di quello di Capitan Uncino che è bonario. Il cercare di dialogare quando le cose sembrano molto diverse rispetto a quella che è la realtà… può accadere soltanto nell’ Isola che non c’è.

Crescere, per definizione significa aumentare trasformando, in bene o in meglio: ma, come andrà, noi non lo sappiamo all’inizio; un po’ come quando si fa una torta o una pizza: si lascia lievitare, si mette in forno facendo attenzione a non aprire lo sportello per evitare d’interromperne la cottura.

A volte, però, la pietanza (per qualche errore di procedura) non “cresce” adeguatamente e allora il risultato lascia a desiderare.

La verità è che, se non siamo adeguatamente aiutati nel capire che la vita è difficile (ma lo è in funzione di quello che non sappiamo fare) cerchiamo delle strade alternative frenando le nostre aspirazioni, i nostri sogni, la nostra voglia di crescere per paura di trasformarci in qualcosa che potrebbe anche non piacerci.

È compito dunque di chi ci sta accanto, metterci nelle condizioni, soprattutto attraverso l’esempio, di capire che sicuramente sarà dura, ma è proprio nel gusto della sfida e nel provare a riuscirci che sta l’essenza stessa della vita.

In che misura “il precariato sociale” e “le famiglie iperprotettive” contribuiscono alla formazione di tanti “Peter pan”? In parole povere, che rapporto c’è tra paura di crescere e mancanza di autostima?

Le basi del Narcisismo

Il narcisismo non consiste nell’incapacità di amare, ma nell’incapacità di accogliere l’amore dell’altro. (Enrico Maria Secci)

Narcisismo è un termine che presenta una vasta gamma di significati, a seconda che venga utilizzato per descrivere un tratto fisiologico della personalità, o un suo disturbo, o un problema sociale o culturale.

Comunemente, diventa un sinonimo di egocentrismo, egoismo, vanità, arroganza,,,

In Psicologia, questo termine è utilizzato sia per descrivere il sano amor proprio, sia per puntare l’indice sull’eccessiva considerazione di sé, che si riflette nelle relazioni introspettive e in quelle interpersonali.

Narcisismo sano

Potremmo sintetizzare le sue caratteristiche dicendo che connota Adeguata autostima,  Empatia per gli altri e riconoscimento dei loro bisogni, Rispetto e amore di sé e Capacità di resilienza (emotiva e operativa)

Narcisismo patologico

Di solito, l’adulto narcisista “negativo” è stato un bambino cresciuto in una famiglia con forti ambizioni, che gli ha creato una specie di “doppio binario” emotivo:  da una parte, lo ha indotto a credersi “speciale” e, contemporaneamente, ha ridicolizzato o biasimato le sue paure e i fallimenti.

In questo tipo di famiglia, i sentimenti autentici (ritenuti “sconvenienti”) sono stati ignorati, censurati o repressi e si è prodotto, nel bambino, un senso di inadeguatezza e vergogna ogni volta che ha percepito l’impossibilità di sentirsi all’altezza delle aspettative genitoriali. Parimenti, ha vissuto momenti di esaltazione “onnipotente”, per le lodi ricevute per ogni performance realizzata.

Il risultato è stato quello di aver “prodotto” un individuo affamato di riconoscimenti esterni e di lodi che, da adulto, ha imparato a vedere (come proiezione di sé) gli altri senza mezze misure: come “perfetti” o, all’opposto, come “senza valore” (in caso di minima défaillance).

Un’altra causa possibile di narcisismo negativo si realizza quando, per qualche motivo, il rapporto fra genitore e figlio è invertito e, il bambino, viene responsabilizzato al punto da dover proteggere i suoi stessi genitori (se non, addirittura, a fargli da padre o madre).

Una terza evenienza si riscontra nel momento in cui, la famiglia, anziché spingere alla crescita individuale, scoraggia le legittime aspirazioni del figlio, soprattutto se, queste, sono contrarie alla volontà dei genitori, che lo accusano di ingratitudine e di egoismo.

Questo, sarà fonte di risentimento, che produrrà un adulto con elevate aspettative su ciò che la vita dovrebbe concedergli come risarcimento.

Peter: È assurdo, è solo un cane.

James: Solo un cane? Solo? Che orribile e mortificante parola. È come dire, non può scalare quella montagna, è solo un uomo. O quello non è un diamante, è solo un sasso. Solo. (Neverland – Un sogno per la vita)

Quando si sta molto, troppo vicini alle persone che, per amore, si vuole proteggere, le si mette in condizione di sentirsi sicure. 

Ma sicure a che prezzo? 

Quello di andare in giro sapendo che alle proprie spalle ci sarà qualcuno che ci aiuterà nei momenti di difficoltà. È come quando una persona si abitua ad andare in giro con la pistola perché teme di essere aggredito. Se, per abitudine, noi ci sentiamo normali nel sapere che solo a determinate condizioni riusciremo ad affrontare la vita, che sono quelle condizioni di iperprotezione (come una pistola nella fondina, come una famiglia che ti sta sempre intorno), allora non sono condizioni di normalità, ma di eccesso.

Sono solo i frammenti dell’uomo che ero solito essere…Mi sento come se nessuno mi avesse mai detto la verità su come crescere e sullo sforzo che avrebbe comportato nella mia mente piena di confusione (Freddy Mercury)

L’idea di doverne fare a meno (perché un giorno la pistola si può inceppare, un giorno perderemo gli affetti più cari, etc.), se non saremo preparati, ci farà percepire “nudi alla meta”, perché quel troppo amore ci avrà messo in condizione di non sentirci in grado di affrontare la situazione.

Ecco che ci vuole equilibrio.

Amore significa interesse, ma interesse spassionato, benevolo, senza secondi fini, interesse che parte da dentro…. e siccome è da dentro che parte, è dentro che dobbiamo sentire la protezione e la sicurezza.

Un genitore, una mamma, un padre, sarebbe utile che si mettesse nelle condizioni di farsi trasportare “dentro” dai propri figli diventando non un elemento in cui identificarsi, ma un punto di riferimento per consentire ad un figlio di evolvere, di andare al di là di lui o di lei.

Peter Pan non era una persona che si rifiutava di crescere volendo “semplicemente” restare bambino… in realtà non voleva perdere il gusto di immaginare, fantasticare, di continuare ad essere felice pure in mezzo a delle difficoltà.

Cari Lettori, se proprio vogliamo fare un appunto, l’unico limite di Peter Pan era quello di non voler accettare l’idea che la felicità si raggiunge attraverso la fatica, l’impegno, la sofferenza…

Sicuramente attraverso la crisi.

E’ possibile avere il desiderio ma nel contempo la paura di crescere? La paura di crescere può essere legata alla paura di sbagliare?

Non è strano aver paura di sbagliare, soprattutto perché noi cresciamo sapendo che corriamo il rischio, continuamente, di deludere qualcuno attraverso l’errore. Ma quante volte una persona che ci vuole bene, nel momento in cui rinunciamo a portare avanti un progetto o sbagliamo nell’esecuzione, ci dice: “Mi aspettavo qualcosa di meglio da te”. Questo non significa “Mi aspettavo che tu corressi per vincere”, ma “Mi aspettavo che tu potessi trovare maggiore soddisfazione dall’applicarti in questa circostanza”.

Ma in noi, cosa si determina?

Una reazione a catena che andrà a produrre una miriade di rimorsi, rimpianti e sensi di colpa che ci metteranno nella condizione, in seguito, di riflettere molto prima di agire; rifletteremo su tutte le persone che potremmo far soffrire e quindi molte volte, pur avendo le opportunità, rinunceremo ad “andare”.

Il risultato, quale sarà?

Soffriremo e produrremo dei disturbi per non pensare alle rinunce circa tutto ciò che avremmo invece potuto realizzare.

Può, la paura di crescere, essere legata alla paura di invecchiare e di morire?

Nell’immagine proposta, tre “bellissimi” che hanno furoreggiato nel cinema italiano, dagli anni ’50 agli anni ’90 del secolo scorso. Vittorio GassmanMarcello Mastroianni e Ugo Tognazzi. Tre modi diversi di affrontare, sfidare e vincere la vita. Vittorio Gassman osserva con aria di superiorità il pericolo, Marcello Mastroianni conta molto su ciò che è o su ciò che conta di essere (dall’alto della sua eleganza), Ugo Tognazzi, l’eterno bambino, anche lui un vincente, che punta sulla capacità di suscitare tenerezza.

Tre vincenti?

Ecco i tre crociati che tornano dalla Terra Santa. Cosa avranno conquistato? Forse molto agli occhi della gente, ma loro… che pensano? Attraverso vicissitudini che li hanno portato al crollo di certezze e illusioni, Hanno assaggiato la polvere della vita e il peso dell’essere diventati adulti, lontano dal mondo della celluloide.

Vittorio Gassman, guarda con paura la possibilità di continuare a soffrire: vorrebbe fermarsi lì… e “scendere”. Marcello Mastroianni sembra un monarca che attende, rassegnato, di essere assassinato dai congiurati: è solo una questione di tempo… che peccato! Ugo Tognazzi non ha più quella mano “birichina” che accarezza il labbro… ha bisogno di appoggiarsi per sorreggere il peso di tutto ciò che gli fa paura: la vecchiaia, la perdita dell’autonomia, la scomparsa del successo. I primi due appaiono disillusi, l’eterno bambino, addirittura, incarna l’emblema della sconfitta.

Partendo dall’assunto che la paura di crescere può essere legata non solo ad alcuni aspetti intuibili (invecchiare, morire, perdere i propri cari, non sapere affrontare l’ignoto, non sopportare di di sbagliare) possiamo aggiungere che una forte componente può essere legata anche alla nostalgia di momenti del passato che non potranno essere mai più vissuti.

Intanto il tempo fluisce e si resta in bilico tra gli attimi di ieri e il domani incerto. Che fare? Ma, insomma, invecchiare, fa così paura?

Nell’immagine, un allegro novantaduenne, Arnoldo Foà, e un’affascinante settantenne, Erica Blanc, insieme ne “Sul lago dorato”. Anche per il loro il tempo è passato ma… osserviamo bene: avete mai visto due “ragazzi” così Felici?

Un “profumo” quasi erotico che va, decisamente, in controtendenza rispetto a quei tre cavalieri dell’Apocalisse, di prima. Questi due non vanno a combattere, ma sanno godersi la vita e, camminando nel tempo, invecchiano come un buon vino diventando migliori.

Si è prima bambini, poi adolescenti e in fine adulti. L’ultimo stadio della esistenza non è un annullamento dei periodi precedenti ma un punto di arrivo che dura decenni e, se ben vissuto, diventa sempre più arricchente.

E allora forse non è tanto la paura d’invecchiare o di morire, ma la paura di crescere e la voglia di restare bambino. Vittorio Gassman, in molte interviste televisive dichiarava: “La gente pensa che io sia una persona forte. Non è vero, aiutatemi. Io sono un elemento in estinzione di quelli che va coccolato, accudito come se fosse un orsacchiotto di peluche”. Ugo Tognazzi confidava a Pupi Avati di non voler invecchiare, di non voler dipendere da nessuno, di aver paura di diventare un inabile rincretinito capace solo di succhiare le caramelle! Mastroianni, pur non rilasciando questo tipo d’interviste ha, comunque, sofferto molto.

Cosa c’è dietro queste affermazioni?

Cari Lettori, c’è la paura di doversi trasformare… perché i tre non hanno contato su ciò che erano e su ciò che sarebbero potuti diventare in termini di maturazione, ma hanno poggiato molto su un solo elemento (quello dell’apparire) facendolo esplodere sul piano dell’interesse su base narcisistica: la propria bellezza, la propria prestanza.

L’uomo ha a che fare con la dura prosa della vita ed è costretto ad improntare l’esistenza secondo vari parametri. Quello più completo e “valorialmente” denso attiene a vivere secondo l’etica della responsabilità.

Chi vuol restare sempre bambino oscuramente sceglie di non scegliere e vive la sua vita in modo ir-responsabile. In pratica si lascia vivere con lo spirito infantile di quando si era alla giostra e si girava sul cavallo o in carrozza fantasticando chissà cosa.

Il compito dei giovani, ammoniva Benedetto Croce, è quello di diventare adulti, di invecchiare.

C’è qualcosa del “bambino” che resta sempre dentro di noi?

Cari Lettori,  vorremmo chiedere aiuto a Giovanni Pascoli che, con la sua poetica del fanciullino, ha scritto pagine che offrono tuttora vari elementi di riflessione.

Pascoli ritiene che in ogni persona ci sia un fanciullino, anche se moltissimo lo tengono “addormentato” e non ne fanno (come il poeta) un compagno di vita.

Il fanciullino è uno spirito sensibile che consiste nella capacità di meravigliarsi delle piccole cose, proprio come fanno i bambini.

È una visione ingenua e innocente della vita, capace di emozionarsi con genuinità e di stabilire legami tra le cose molto più intensi di quelli che superficialmente si colgono.

Il fanciullino rimane piccolo quando noi cresciamo e coglie analogie e somiglianze che un uomo superficiale e comune non vede.

Questo “occhio” mantiene vivo lo spirito dell’infanzia ma non si sovrappone sulla maturità annullandola.

La vita scorre con le sue responsabilità. Solo che l’uomo che sa ascoltare se stesso è in grado di cogliere collegamenti non banali e scontati tra le cose e di sentire dentro le fibre rapporti e analogie arricchenti e vitali.

In fondo, il fanciullino consente di andare al di là del momento razionale che è alla base della vita, aprendo la nostra attenzione su quel mondo complesso alogico e “irrazionale” presente dentro di noi che ci condiziona anche quando noi neanche lo sospettano.

Ogni volta che un bambino smette di credere alle fate, una fata muore (James Matthew Barrie)

Cari Lettori, “Neverland – un sogno per la vita” racconta dell’amore che nasce fra uno scrittore (che resterà nella storia della letteratura) e i quattro bambini di Silvia, orfani di padre. Ma anche la loro mamma è gravemente malata e, allora, il finale della storia (ri)conduce all’Isola che non c’è dove, Silvia, potrà diventare (in un’altra vita) la mamma di tutti i bambini “sperduti”…

È solo un “sogno” ma, in fondo, a chi di noi non piacerebbe concludere allo stesso modo il proprio cammino terreno?

Neverland – Un sogno per la vita. Finale

“L’immagine di noi stessi non è affatto l’immagine che ci restituisce lo specchio, ma quella che ci rimanda il corpo sociale, le persone che amiamo, che stimiamo, quelle che ci riconoscono un valore. Lo specchio che conta è quello che ci restituisce la dignità del nostro essere uomini.” (Massimo Recalcati)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la preziosa collaborazione