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Questa è la seconda puntata del percorso fatto di ricordi, sensazioni, riflessioni, stati d’animo di chi ha trascorso gran parte della propria vita accanto a un genio ribelle (e incompreso) del mondo della psicoterapiaGiovanni Russo

Roma 3 febbraio 2023

Mi sono soffermata, in maniera meticolosa, sul periodo di gestazione e sulla nascita di nostro figlio Giuseppe, per iniziare a parlare della teoria del dott. Giovanni Russo e della sua applicazione su suo figlio, non certo perché lo considerava come cavia da esperimento, ma solamente per provare che le sue convinzioni erano corrette.

Un essere umano, se fin dalla sua nascita venisse rispettato, non si ritroverebbe, poi, a dover affrontare da adulto molti problemi. Ed è bene che io ribadisca che la teoria di Giovanni Russo non venne riconosciuta dal mondo scientifico.

Ma lui, ciononostante, l’applicò con successo nella sua professione di psicoterapeuta.

Non usò mai farmaci ma si servì dell’analisi energetica dei vissuti degli analizzati, utilizzando la mappa della personalità da lui stesso messa a punto.

In relazione, per esempio, al modo in cui fu allevato e all’educazione che demmo a nostro figlio Giuseppe, che per noi era Giò Giò, furono applicate delle regole che sicuramente non combaciavano con quelle tradizionali.

Secondo i dettami della puericultura e della pediatria in vigore all’epoca, ma seguite anche oggi, il neonato doveva essere pesato prima e dopo la poppata per verificare se avesse preso latte a sufficienza, poi si doveva aspettare che passassero altre tre ore per nutrirlo nuovamente.

Noi non lo abbiamo mai fatto, perché vedevamo che quando si staccava era sazio e satollo, questo significava rispettare le sue necessità, in quanto era lui stesso a regolare i suoi tempi.

Nel prosieguo della sua  alimentazione ci comportammo allo stesso modo, senza mai forzarlo.

Nel periodo dello svezzamento, Giuseppe non ne voleva sapere di minestrine, semolini, passati di verdure., etc ogni volta che ci provavo, con quella faccetta da birbone simpatico, lui risputava tutto.

Voleva solo latte e biscotti dal biberon che lui chiamava “tutu”.

Anche in questo caso lo abbiamo rispettato; poi iniziò da solo a  chiedere di assaggiare quello che mangiavamo noi gustandolo con molto piacere.

 Man mano che cresceva, sano e allegro, abbiamo continuato con la stessa metodologia, abituandolo a scegliere qualsiasi cosa lo riguardasse, le scarpe, gli indumenti, i giochi.

Poi siamo passati agli sport, il padre a rotazione glieli ha fatti provare quasi tutti. Il calcio, il tennis, lo judo, il ping pong, persino la scherma, alla fine lui ha scelto il tennis.

Una cosa interessante, poi, accadeva nel periodo scolastico: gli capitava infatti, di svegliarsi con la febbre, senza altri sintomi, ed allora il padre si sedeva sul suo letto e gli chiedeva “perché ti sei fatto venire la febbre?”

Una domanda assurda per molti, ma per chi come lui conosceva come funzionava la psiche, era una domanda pertinente perché veniva sempre fuori una motivazione.

A domande ben precise, tipo “hai per caso un compito in classe e sai di non aver studiato? Oppure hai una interrogazione?”

Di fronte a tali domande, Giuseppe non negava e dunque veniva fuori il motivo della febbre.

Sono meccanismi della mente comuni a tutti gli esseri umani, infatti se una persona ha un conflitto, un problema e non sa come fare, non sa che decisione prendere, si stressa e le si abbassano le difese immunitarie, come nel caso di Giuseppe della febbre.

Una volta consapevolizzato il problema, come per incanto la febbre spariva, non andava lo stesso a scuola ma imparava a dialogare con se stesso e a consapevolizzare che qualcosa non andava.

Altro momento importante della sua vita, fu l’iscrizione all’università, alla facoltà di di psicologia. Ricordo che aveva già dato dieci esami e contemporaneamente, studiava il sassofono all’università della musica (che era la sua passione). Si trovava, dunque, di fronte ad un grosso dilemma perché aveva anche già iniziato a suonare con dei gruppi di suoi coetanei, dall’altro lato, però, c’era il padre che era direttore e docente della scuola di formazione di psicoterapia, quindi anche se non era mai stato detto (per il solito sistema di rispetto delle sue scelte), era però sottinteso il desiderio di poterlo avere nella scuola. In quel momento, quindi per il ragazzo il conflitto era forte, non potendo portare avanti tutti e due i progetti di vita in modo soddisfacente, fece la sua scelta e scelse la musica. E’ stato doloroso per lui perché sapeva che in qualche modo, dava un dispiacere al padre, ma era allo stesso modo era deciso a portare avanti il suo progetto musicale.

L’ho ammirato per il suo coraggio, perché ero consapevole che ne sentiva tutta la responsabilità.

…CONTINUA

Oretta Lanternari – Pedagogista

Adattamento del testo: Mariella Cipparrone

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