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Inconcepibile è, a volte, l’assurdità della vita. Vivere sapendo che si può soffrire in qualsiasi momento e, nello stesso tempo, sperare che tutto quanto si trasformi in gioia. Siamo esseri limitati nelle nostre azioni, nel nostro pensiero, eppure a volte ci sentiamo degli Dei. Comprendere che la vita è fatta così, di alti e di bassi, è capire noi stessi: la nostra intima natura di uomini (Andrea Filice).

Abbiamo incontrato quest’Uomo (proprio con la “U” maiuscola) tanti anni fa, in una struttura psichiatrica. Forse il suo ruolo (da “ospite”) era sbagliato. Forse, era fuori posto anche il nostro.

Ci sono momenti, nella vita di ciascuno, in cui si vorrebbe poter dire qualcosa di importante alle persone cui teniamo di più. Non tanto per essere ricordati quanto, piuttosto, per donare quello che ci è costato tanta fatica ottenere.

Qualcosa di noi.

Di quello che pensiamo di essere diventati, almeno. Spesso immaginiamo dialoghi con un figlio, anche quando ne siamo “orfani”. Almeno all’anagrafe. Infatti, oltre a designare un rapporto di discendenza (o di appartenenza nobilitante), “Figlio” è il nome della seconda persona della Trinità. A volte, inoltre, tale termine può essere usato come appellativo affettuoso rivoltoci da una persona anziana o degna di considerazione.

Come dire, possiamo essere genitori di chiunque sia disponibile ad ascoltarci, per trarre spunti significativi...

Per quel che ci riguarda, siamo fieri di incontrare, ogni volta che ci è possibile, gli sguardi di quelle “gocce perfette”, che ci riconoscono nel nome di padre, in grado di riempirci fino alla saturazione massima consentita.

Cari Lettori (non importa che siate genitori o figli) perché non proviamo, insieme, ad immaginare una lettera destinata alla persona a noi più cara?

Mutano i cieli sotto i quali ti trovi ma non la situazione interiore, perché sono con te le cose da cui cerchi di fuggire (Seneca)

Cosa aggiungere ai fiumi di bit (una volta erano d’inchiostro!) che ci inondano di tutto ciò che contribuisce ad aumentare il senso del precario globale esistenziale?

Noi, per esempio, vorremmo poter dire a Domenico, Enrico, Mariarita e Valentina (I nostri “ragazzi”…) chenel mondo, alcune popolazioni “vivono”, apparentemente senza orizzonte visto che tutto, intorno, è avvolto da nebbia.

Per loro, però, l’orizzonte non finisce lì… quello è l’inizio di qualcosa che si riesce ad immaginare partendo dalla capacità di valutare senza troppi condizionamenti.

Amatissimi figli, il consiglio dei molti, a questo punto, consiste, spesso, nel rinunciare e aspettare tempi migliori. Ed è un errore, perché il futuro è figlio del presente: quello che ti costruisci tu!

Ci sono solo due giorni l’anno in cui non puoi fare niente: uno si chiama Ieri, l’altro si chiama Domani. Perciò, Oggi, è il Giorno giusto per Amare, Credere, e, principalmente, Vivere. (Cit.)

L’alternativa, sembrerebbe consistere nel far finta di nulla e procedere, presuntuosamente, confidando nella buona sorte. E anche questo è un errore!

Ma… capitano, cos’è quella donna bianca in mezzo al mare? È solo un po’ di nebbia che annuncia il sole… andiamo avanti tranquillamente! (Titanic – F. de Gregori)

Ci capita, non di rado, di ascoltare sfoghi, interrogativi e confessioni di ogni genere. Dovremmo essere abituati a tutto. Eppure, a volte, troviamo difficoltà (sul piano umano) a rispondere a quel padre che “si” ripete, con un filo di voce che: “Non è sufficiente un intera esistenza per educare un figlio… forse è per questo che, il mio, ha deciso di togliersi quella vita che io non sono riuscito a fargli amare!”

E, con tutta la competenza possibile, sul piano tecnico, come si potrà mai consolare la madre con gli occhi incavati che domanda, ossessivamente: “Perché mio figlio… la droga, questa sofferenza indicibile, perché mio figlio… dentro una cella, in un carcere, senza essere ancora un delinquente”?

Nella vita di ciascuno, in fondo, il gruppo ha una grande importanza: è dalla sua struttura, dalle sue regole, nelle sue dinamiche, dagli strumenti usati, che dovrebbe venir fuori (un po’ alla volta) il meglio della personalità di ciascuno.

Mai come in questo periodo, più di qualcosa interferisce, opponendo resistenza: “Una legge non scritta, un codice morale contrapposto e antitetico alla realtà sociale, fa sì che il plotone spinga e obblighi a conformarsi, a testuggine, dentro un quadrato poco propenso alla mediazione” (Vincenzo Andraous).

Siamo nati da uno “Zero” (lo “zigote”), sfericamente senza alcuna peculiarità ma con la “maledizione” di una immensa potenzialità non in grado di gestire.

Come lo “Zero”, d’altronde, che significa, sostanzialmente, “Niente” o “Nullo” ma, assolutamente, NON una “assenza di valore”.

Una temperatura di zero gradi centigradi, infatti, non rappresenta una assenza di particelle che creano calore (quella si ha a 273,15 gradi centigradi sotto lo zero e si definisce “Zero Assoluto”) ma costituisce, semmai, una condizione ambientale che richiede particolari doti di resistenza, per sopravvivere…

Come tanti Zero, quindi, (la “morula” embrionaria), un po’ alla volta per via di  “segnali” proveniente dall’organismo materno abbiamo stimolato l’espressione dei potenziali in fremente attesa e, attraverso la formazione dei tre foglietti germinativi (“tre”, il numero cosiddetto “perfetto”) siamo arrivati ad essere come siamo: un altro “Zero” (l’unità “Corpo-Mente”) al cospetto del Mondo, in attesa di poterci esprimere allo stesso modo di un nocciolo all’interno di un terreno fertile.

Nel mentre, manteniamo le caratteristiche di resistenza richieste dallo “Zero”: Egocentrismo e Narcisimo, in quanto idealizzati “ad immagine e somiglianza” (quanto meno energetica) di quel Dio che (continuamente) crea tutte le cose.

Sempre più orientati verso l’individualismo, l’arrivismo e la ricerca dello stordimento.

Così appaiono gli abitanti del mondo occidentale, quello che si è sgretolato sotto i colpi di qualche speculatore da strapazzo che ha mirato al baricentro di un contenitore depredato da politici corrotti, impreparati e presuntuosi.

A queste condizioni, non è strano scoprire, da fonti attendibili come quella del Censis (il Centro Studi Investimenti Sociali, istituto di ricerca socioeconomica fondato nel 1964, grazie alla partecipazione di alcuni enti pubblici e privati che, da oltre quarant’anni, svolge attività di studio e consulenza nella formazione, nel lavoro, nell’ambiente e nell’economia) che l’Italia (ma non solo) è sempre più caratterizzata da una depressione crescente e dall’uso sconfinato di psicofarmaci.

In pratica, nella nostra Società, esiste un “vuoto” di fondo percepito come l’eco di una pietra lanciata in un pozzo “senza fondo”.

Sembrerebbe, sul piano delle prospettive, una vita buttata alle ortiche, insomma!

Cari Figli, non lasciatevi impressionare. E quand’anche fosse? Noi ci preoccupiamo, in fondo, di cose che non conosciamo affatto. E quindi non sappiamo come affrontarle… magari per poterle trasformare in opportunità.

Di solito, quando ci troviamo di fronte a un problema, innanzitutto, ci mettiamo in condizioni di scoprirne ogni aspetto, cominciando dalle derivazioni etimologiche.

Facciamo un esempio.

Con la denominazione “ortica” si intendono varie specie di Urticaceae. Molti di noi (quando si andava in campagna, prima di chiuderci nei meandri di Facebook), hanno fatto almeno una volta (e a proprie spese) la conoscenza più o meno “bruciante” di questa erbacea, alla quale ben si addice l’appellativo di “burbero-benefica”. Infatti, è aggressiva soltanto nel difendersi da nemici voraci; per il resto, è una pianta che potrebbe essere utile all’uomo in molti modi. Pur essendo comunissima e, quindi, facilmente reperibile, l’ortica viene utilizzata meno di quanto meriti. Ha una tale quantità di virtù, da far venire il capogiro: dalla cura per l’enuresi notturna, ai problemi di pelle, passando per le irritazioni intestinali e terminando, tra l’altro con i problemi di coagulazione sanguigna.

Il suo nome deriva dal latino urere (bruciare). L’ortica cresce spontanea nei luoghi incolti (in genere, lungo le strade, i fossi, le siepi, vicino alle case e nei boschi, dal mare fino ad un’altitudine di 2.500 metri). Sia il fusto che le foglie sono ricoperti di peli urticanti, il cui apice si spezza al tocco più lieve emettendo un liquido irritante.

È come se volesse essere trattata con rispetto. Pena, una “bruciante” punizione!

E allora, come possiamo venir fuori dalle difficoltà che incontriamo?

Ci permattiamo di suggerire una riflessione che ci spinge ad accettare l’idea dell’indispensabilità del darsi da fare: 

Il presente del passato si chiama memoria, il presente del futuro si chiama intuizione; il presente del presente si chiama azione.

Tanto per iniziare, nel tempo ci siamo resi conto che è necessario liberarsi di una serie di convinzioni sul proprio “Io”, che servono solo ad avvelenarci…

Non avevo nulla di terribile da confessare. Dovevo solo presentarmi, ma avevo deciso di farlo senza riferirmi in alcun modo all’io che ero stato. E questo mi sembrò una liberazione. Il mio nome, il mio lavoro, la mia nazionalità, tutto quello a cui un tempo sarei ricorso per definirmi, non mi parevano più “miei”. Non mi riconoscevo più in quei pezzi d’identità. Mi ci si sentivo intrappolato. Certo: erano parte della vita che avevo fatto, la vita di cui avevo goduto, ma erano anche i pezzi della vita che mi aveva portato prima alla depressione, poi al resto. E il lasciarmi tutto alle spalle per avviarmi verso qualcosa di completamente nuovo, era un vero sollievo. Contavo sul loro aiuto. Che mi chiamassero Anam, il Senzanome. Ebbi l’impressione d’essermi scaricato di dosso un sacco che, per anni, avevo portato sulle spalle e che, solo ora, scoprivo essere stato pieno di sassi e non di pietre preziose. L’Io, che inutile peso! Mi ero davvero stancato del mio, di quella figura che dovevo sempre portarmi dietro e ripresentare al pubblico. Quante volte in aereo, in treno, a una cena in casa di un diplomatico o al ricevimento di un qualche ministro avevo dovuto, con una obbligatorietà a cui non sapevo sottrarmi, raccontare per l’ennesima volta i soliti, divertenti aneddoti della mia vita, spiegare perché, da italiano, scrivevo per un settimanale tedesco come Der Spiegel! Avevo tanto riso dei giapponesi con il loro “io” legato a ciò che sta scritto sui loro biglietti da visita (in cui sotto al nome, e più importante di quello, sono indicati il titolo e la posizione che occupano nella loro azienda). Io mi ero comportato esattamente allo stesso modo: per essere preso in considerazione, per non essere messo da parte presentavo anch’io, recitato invece che stampato, il mio biglietto da visita: quella identità di me da cui sembravo così tanto dipendere.L’identità falsata e lontano da quello che Madre Natura avrebbe voluto da noi, come fosse un congegno delicato, richiedeva manutenzione, doveva essere lucidata, bisognava cambiarle l’olio. Di quel tipo di identità andava curato ogni aspetto: la pettinatura, il vestito, il modo di presentarsi, di telefonare, di mantenere i contatti, di rispondere agli inviti. Nel mio caso…. anche il modo di cominciare un articolo! “Vali quel che valeva il tuo ultimo pezzo”, mi avevano spiegato più volte! (Tiziano Terzani – Un altro giro di giostra – TEA Ed.)

Tanto per continuare…

Non dimentichiamoci che, siccome ci hanno tolto il piacere di pensare al lavoro come una forma di logica realizzazione e ci hanno ridotto ad un branco di schiavi, necessitati a cercare il modo di raccattare l’indispensabile che verrà “rapinato” per mantenere famelici (quanto inutili) apparati, dobbiamo decidere:

  • La possibilità di spostarci in altre Nazioni;
  • La direzione da prendere, sul piano formativo, in funzione di ciò che il territorio richiede;
  • La necessità di non perdere di vista, comunque, il senso del nostro “andare”. 

La strada per il successo è ben asfaltata. Le vie per raggiungerla, no! Ecco perché bisogna passare da una difficoltà all’altra, senza arrendersi mai (Winston Churchill).

A chiunque abbia avuto la pazienza di leggerci fino a questo punto, vorremmo chiedere: quante fughe all’indietro (tentando di convincerci che non era una ritirata ma solo un modo per confondere il nemico) abbiamo subito, per essere all’altezza di quell’Io fasullo, imposto da una Società immatura, non ancora cresciuta… eppure già decrepita?

Libertà, si… ma non quella contestataria delle molotov, dei tubi di birra e delle lunghe piste di polvere bianca…

Cerchiamo di riuscire ad avere, finalmente, il coraggio di “sentire” cosa vuol dire, veramente, la paura!

La paura di aver sprecato una vita, di averla gettata alle ortiche. A parte il fatto che farebbe bene alla nostra salute, usare un po’ di quella pianta officinale ma poi, pensateci bene: quanti “Rais” in meno avremmo, in giro, a far danno?

Come si sono comportate le grandi filosofie e le religioni riguardo al problema del buio interiore, legato all’angoscia e al dolore?

Varie sono le risposte e, ognuno di noi, si ispira alla posizione più consona al proprio modo di fare e agire.

Si pone il gran tema di come la sofferenza possa essere superata e si deve prendere sempre più articolata consapevolezza che la sofferenza, in fondo, si supera solo “sopportandola”.

È celeberrimo l’inizio di Anna Karenina :”Tutte le famiglie felici si assomigliano, ma ogni famiglia infelice è felice a modo suo”.

Noi, presi dai nostri dolori, pensiamo agli altri come un’oasi di tranquillità. Non è così, perché il dolore e la sofferenza, permeano la vita di ognuno.

Esemplare è quanto troviamo nel Canone Buddhista, come insegnamento perenne.

Una donna ha “perso” il suo bambino e vaga per strada, stringendolo al petto, alla ricerca di una medicina miracolosa in grado di risuscitarlo.

Buddha, mosso a compassione, spiega a questa addolorata che comprenderà meglio, il da farsi, andando di villaggio in villaggio per raccogliere una manciata di semi di mostarda offerti da famiglie che non hannpo mai conosciuto dolore, perdita, morte.

La donna non impiega molto tempo a capire che, nella vita, il motivo dominante per tutti, è la sofferenza e la paura del “vuoto”. Ed, entrambe queste sensazioni, sono tanto più intense quanto più siamo attaccati all’essere che amiamo.

È scendendo nell’abisso che recuperiamo i tesori della vita. Dove inciampi, lì si trova il tuo Mistero. La stessa caverna in cui hai paura di entrare si rivela essere la fonte di quello che stai cercando. (Joseph Campbell )

Cari Lettori, chiediamo scusa se avete percepito che vi abbiamo trascurato ma, rivolgendoci direttamente ai nostri figli, è come se avessimo compreso ognuno di voi nei nostri pensieri.

Non conosciamo nulla di voi che ci leggete, eppure sappiamo una cosa importante: siete interessati a capire, a scoprire (anche, speriamo, in maniera critica) e a provare a cambiare. E, per questo, sentiamo di volervi bene. A prescindere.

Vorremmo, quindi, salutarvi godendoci, nell’immagine di copertina, un Nonno convinto (forse) di aver buttato la propria vita alle ortiche ma che, guidando il proprio Nipotino ( o lasciandosi guidare da lui…) si accorge di quanto, in realtà, la sua vita abbia avuto Valore. E, quel tramonto sullo sfondo, magicamente si trasforma in una nuova alba. 

Proprio in questo giorno che ci avvicina al Solstizio.

A tutti gli zeri del mondo, Il mio personale pensiero

Piccoli eroi maltrattati, Lasciati soli in un angolo oscuro

Mentre vanno cercando una strada, Una luce, un riparo, una guida

Ecco che si ritrovano sempre fra le grinfie dell’ultimo giuda

Sono gli ultimi in fondo alla lista, Sono lì e non li vede nessuno

Sono loro gli zeri del mondo: Stessi occhi, lo stesso profumo

E se fossi anche tu come loro, Facessi parte anche tu di quel coro

Rischieresti magari una volta Che la sola speranza non basta

Ecco tutti gli zeri del mondo: Sono loro che chiudono il cerchio

Di un destino fin troppo scontato Che ti stampa indelebile

Che ti stampa indelebile, un marchio

Chi tradisce è la solita gente Che ti lancia un’occhiata e stranisce

Quando in fine hai raggiunto il tuo culmine, Alle spalle crudele colpisce

Ho giurato di amarvi un po’ tutti, Se soltanto riusciste a capire

Ma qualcuno esce fuori dal gruppo E si lascia pian piano cadere

Sono grato agli zeri del mondo Per la loro assoluta pazienza

Perché vogliono, osano, credono Rispettando la loro coscienza

Lo sai perchè esiste l’affermazione “Da Zero all’Infinito”? Perchè, lo zero, comprende l’Infinito. Perchè è da un microscopico buco nero che è nato l’Universo! (Giovanni Russo)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto per la collaborazione offerta

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