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Recensione de “Il mastino dei Baskerville” di Sir Arthur Conan-Doyle

L’affascinante quanto mozzafiato capolavoro di Arthur Conan Doyle, è ambientato in una tenebrosa brughiera che nasconde al suo interno sinistre insidie e presenze demoniache.

Tutto inizia quando (e ce lo saremmo aspettato) in una piovosa e umida mattina londinese di fine estate, presso lo studio dei due protagonisti si presenta un medico preoccupato dalla morte del potente e generoso vicino di casa Sir Charles. Questi srotola con affanno un antico manoscritto risalente al ‘700, che rivela un’atavica maledizione abbattutasi sulla famiglia Baskerville, legata alla morte del feroce discendente Hugo attaccato da un sanguinario mastino.

Dopo aver deposto altre testimonianze inquietanti legate alla natura demoniaca dell’animale e all’inaudita ferocia con cui ha attaccato l’uomo, il medico si defila per poi presentarsi più tardi in compagnia dell’ultimo discendente della famiglia, ereditiero del consistente patrimonio nonché del maniero stesso:Henry Baskerville

A distruggere tali leggendarie superstizioni, legate al manoscritto, è il segugio Sherlock Holmes coadiuvato, in questo caso per la maggiore, dal suo inseparabile amico Watson e proprio su iniziativa dell’investigatore quest’ultimo dovrà sorvegliare Henry la cui incolumità è costantemente messa a repentaglio.

Molti sono i moniti che mettono su chi va là il baronetto.

Una serie di coincidenze farebbe proprio pensare ad una figura incognita che tacitamente studia e sorveglia la prossima presunta vittima.

L’acume di Sherlock Holmes in questo caso è davvero messo a dura prova.

Su tanti potrebbe cadere il sospetto, e infatti i maggiori indiziati sono proprio le persone che meglio conoscevano il defunto, ossessionato come tutti sapevano dalla paura della maledizione sino a morirne.

Le vicende ed il ritmo del libro che si potrebbe definire un giallo dai toni horror, si susseguono in maniera incalzante e repentina, ma solo nella 237esima pagina (l’ultima) il lettore riuscirà a risolvere l’enigma giungendo alla conclusione che dietro ogni evento apparentemente soprannaturale ed inspiegabile si nasconde invece una mente più fredda, più cinica che specula sulla superstizione traendone vantaggio, che gioca sull’ignoranza mettendo a tacere tutti.

La genialità dell’investigatore sta, a parer mio, nel non trascurare nessun particolare, persino quello più insignificante.

Questo suo essere attento osservatore lo rende simile ad un veggente il che lo aiuta anche a capire e a prevedere le mosse dell’assassino. Partendo ad esempio dall’analisi di un vecchio e ben rifinito bastone riesce con grande infallibilità a risalire al suo proprietario…sbagliandosi di rado. Con lo stesso fiuto, smaschera il gelido colpevole che poi si scoprirà, dall’osservazione di un ritratto di famiglia, essere erede diretto sotto mentite spoglie e false generalità, di Charles Baskerville.

Suggestiva è senz’altro l’ambientazione della vicenda, un luogo ostico e primitivo, una zona impervia e selvaggia, ricca di paludi e acquitrini mortali, di rocce, fenditure e caverne .

La fitta rete di tradimenti, personaggi, eventi fortuiti, come l’evasione di un condannato dal penitenziario, non fanno altro che arricchire ancora di più il grande capolavoro di Doyle gia autore de “Lo studio in rosso”ma consacrato alla popolarità dal suo felice e fortunato personaggio proprio con questo best seller.

Per la figura di Sherlock Holmes egli probabilmente trae spunto da un suo amico chirurgo, anche se l’ascendente letterario è da ricercare senza dubbio nello scapigliato E.A. Poe.

La meticolosità e la razionalità di Sherlock Holmes incarnano i valori dell’età tardo-vittoriana, ma anche quelli della classe borghese dominante, sprezzante dell’assurdo e dei fenomeni occulti, ma soprattutto volenterosa e riflessiva. La stessa moralità e la stessa pervicacia nel dover ricercare sempre una causa reale all’effetto verificato, porta infatti Doyle e i suoi personaggi a divenire veri e propri crociati a favore di deboli e oppressi. Infine degna di rilievo è la descrizione attenta e lineare di qualsiasi fatto, eseguita a volte sotto forma di diario, altre volte sotto forma di breve resoconto oppure di lettera per mano di Watson.

Com’era facilmente prevedibile anche questo caso è risolto brillantemente dai due ma Sherlock Holmes più di una volta viene scoperto a pensare e riflettere affogando nelle nebbie di fumo della sua pipa, avvolto in una vestaglia, seduto sulla sua poltrona preferita in uno studio qualsiasi in Baker street, lambiccandosi il cervello nelle più assurde, impensabili, lungimiranti ….ma mai fallaci osservazioni

Valeria De Stefano 08/09/2002