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GUARDA OLTRE IL PROBLEMA, PER RISOLVERLO (dal film Patch Adams)

Quante dita vedi?

Sono quattro dita, Arthur

No, no, guarda me!

Cosa?

Ti stai concentrando sul problema! Se ti concentri sul problema non vedrai la soluzione. Mai concentrarsi sul problema. Guarda me! Quante ne vedi? Guarda oltre le tue dita. Quante ne vedi?

Otto!

Si, otto è una buona risposta! Vedi quello che nessun altro vede, vedi quello che tutti gli altri scelgono di non vedere. Senza paura, conformismo o pigrizia. Vedi il mondo intero come nuovo, ogni giorno! La verità è che sei sulla strada giusta. Se tu non avessi visto qualche cosa in più di un vecchio pazzo scorbutico, non saresti mai venuto qui.

Cosa vedi, quando guardi me, Arthur?

Hai rappezzato il mio bicchiere. Ci si rivede in giro, Patch!

Cari Lettori, ancor prima di questa pandemia e di tutte le conseguenze che ci lasciato, i problemi psicologici profondi (in particolare depressione) e dipendenza da alcool e droghe di vario genere sarebbero stati (e lo sarebbero tutt’ora), insieme, la prima causa di malattie non fatali nel mondo.

E, nel tempo, sarebbero destinati a causare un numero maggiore di morti rispetto alle infezioni come quella da virus Hiv, tubercolosi e diabete.

In più, se ci fermiamo un attimo a riflettere, una volta andata a sfumare quello che ci è sembrata la catastrofe infinita da COVID, stiamo avendo  chiaro che la realtà dell’angoscia sarà ancora ben lungi dall’essere “rischiarata”.

La depressione è un’epidemia di portata mondiale. Secondo le stime dell’OMS, la depressione sarà la più diffusa malattia del pianeta. Personalmente credo che la maggior parte delle depressioni abbiano le sue radici nella solitudine, ma la comunità medica preferisce parlare di depressione piuttosto che di solitudine. È più facile liberarci del problema dando una diagnosi e una scatola di farmaci (Patch Adams)

Cari Lettori, è pleonastico (ma necessario) affermare che i nostri tempi sono afflitti da un’epidemia che risparmia pochissime persone e che si chiama “esasperazione”.

Questo male ha molte cause, a ben guardare, tutte riconducili all’incapacità dell’essere umano moderno di sapersi difendere dalla realtà che lo circonda.

Ma ci siamo mai chiesti il perché di tutto questo, con la dovuta onestà intellettuale? Da tanto (forse troppo) tempo, fiumi di parole sono stati riversati in ogni forma di comunicazione mediatica

È abbastanza chiaro che, il micidiale, quanto necessario, “fermo immagine” (lock down di vario genere) complessivo (lavorativo, sociale, culturale e di speranze complessive) abbia evidenziato tutta la nostra fragilità di fronte all’imprevisto e, anche, al male organizzato.

Quello che rende il tutto assai meno sopportabile, però, nasce dalla discrepanza fra l’ideale (quello che vogliono farci credere, in termini di “edulcorazione”) e il reale.

L’uomo non è niente altro che quello che progetta di essere; egli non esiste che nella misura in cui si realizza; non è dunque niente altro che l’insieme dei suoi atti, niente altro che la sua vita. (JEAN-PAUL SARTRE)

Cioè: ci “impongono” il 5 G, l’internet delle cose, l’ipotetica possibilità che un nostro desiderio venga esaudito dall’intelligenza artificiale, (prima ancora di poterlo consapevolizzare, alla stregua della migliore responsività materna e, poi, siamo costretti a assistere, impotenti, alla grassa ignoranza dei tanti narcisi che si espongono sul palcoscenico mediatico per spiegare il “nulla” entrando addirittura in contrasto con altre teorie del pressapochismo, smentite in un batter di ciglia.

Il pensiero va, ovviamente, ai molti (non tutti, per fortuna) “esperti” virologi che hanno pontificato (e continuano ancora…) mentre ammalati muoiono nelle ambulanze, ferme, per mancanza di posti letto negli ospedali pessimamente gestiti da anni di malaffare.  

E, queste evidenze, richiamano un famoso pensiero di Charles Darwin:

L’uomo nella sua arroganza si crede un’opera grande, meritevole di una creazione divina. Più umile, io credo sia più giusto considerarlo discendente degli animali.

Ma comunque, in barba alle difficoltà economiche, quanti acquisti realizziamo che sono frutto (al pari di un’alimentazione bulimica) di regole sociali e di disfunzioni personali, più che di reali esigenze?

Tra le “varie ed eventuali”, ci saremo senz’altro accorti di un apparato che si chiama “Stato”!

Costui ti prosciuga vene, arterie e neuroni “pretendendo” il tuo midollo, senza dare altro che miserevoli servizi per cui richiede, per giunta la compartecipazione alle spese…

E poi, Dio… la mediocrità!

Per quanto tu possa muoverti, spinto dal vento della passione, o cambi direzione con scatti repentini oppure ti abbatti al suolo attratto da indolenze di vario genere.

Una volta accettata la consapevolezza che anche fra gli esseri più vicini continuano a esistere distanze infinite, si può evolvere una meravigliosa vita, fianco a fianco, se quegli esseri riescono ad amare questa distanza fra loro, che rende possibile a ciascuno dei due di vedere l’altro, nella sua interezza, stagliato contro il cielo. (RAINER MARIA RILKE)

A pensarci bene, qualsiasi strada prendiamo, la Società ha stabilito delle apposite Galere:  ci siamo domandati, ultimamente, il perchè due professionisti maturi e relativamente affermati, come i sottoscritti, non potessero godere di maggior agio materiale (nonostante i ritorni economici) rispetto ad altri che, in confronto a noi, sembrano addirittura, “camminare sulle acque” delle disponibilità.

Abbiamo concluso che, in pratica (e vale per tutti), o restiamo nell’alveo dell’accettabilità etica e morale (e possiamo solo immaginare il profumo di un sedile in pelle Connoly e la brezza che ti accarezza quando sei a mollo di una prestigiosa “SPA” tropicale) o accettiamo compromessi (per usare un eufemismo) e, saliti oltre ogni limite, potremo solo dolerci di esserci svenduti.

Chi organizza (nelle famose “stanze dei bottoni) il nostro futuro, continuamente ci blandisce e ci plagia, costringendoci a credere “bisogno”, ciò che tale non è ma che serve come una indispensabilità, a chi ce lo propina.

Però, a ben riflettere, quest’ultimo, finisce col fare la vita di un pusher o di un trafficante. Ricco fin che vuoi… assassino, altrettanto. Ma sempre con l’angoscia che i consumi possano calare. E, con essi, anche il proprio, effimero, tenore di vita.

Una bella minchiata, insomma!

Cari lettori, se provate a srotolare gli auricolari (ovviamente non bluetooth)  del vostro cellulare (quando il filo è ingarbugliato), vi renderete conto che è impossibile farlo con una mano sola! Ebbene, con lo stesso principio, ogni problema richiede il massimo dell’attenzione, per essere decodificato, meditato e (possibilmente) risolto.

Cammina lungo un solo sentiero, senza farti prendere dall’arroganza in caso di vittoria, né dalla disperazione in caso di sconfitta, senza dimenticare la prudenza quando tutto è quieto, né farti prendere dalla paura quando il pericolo incombe (Jigoro Kano)

Le conclusioni che si possono tracciare, riconducono tutte alla situazione di stress a cui siamo sottoposti, quotidianamente. Però, questo dato stimola la nostra riflessione, in quanto non è corretto illuderci del fatto che le cause di tanta esasperazione siano veramente al di fuori di noi. Lo stress è un prodotto e non una causa…

Non lo credete anche voi?

La verità non è mai assoluta e, poi, in questo caso specifico, potrebbe stare nel mezzo, in quanto, com’è vero che lo stress ci fa stare male, è altrettanto verosimile che lo stress sia un prodotto del nostro malessere: parrebbe un gatto che si morde la coda…

Ma non è così!

Infatti, siamo troppo distratti da quello che succede al di “fuori” di noi, per accorgerci del fatto che il il problema è confinato dentro di noi e che, al pari di un magma incandescente, fuoriesce sotto forma di stress e, quindi, di malessere. Insomma, in buona parte, siamo noi stessi causa della nostra esasperazione, o perché non sappiamo come fare per abbassarne la quantità, o perché, pur essendone capaci, non facciamo nulla (o quasi) per contenerla.

La riuscita di questo “Risiko”, dipende da come si ammortizzano gli eventi che, al positivo o al negativo, la vita ci fa ingerire, nel quotidiano.

Innanzitutto non bisognerebbe farsi trascinare dagli eventi, ma prenderne le misure e decidere il da farsi, in un’ottica di corretta utilità: a questo punto, però, si correrebbe il rischio di essere definiti “egoisti”. Ok, ma quando l’egoismo è positivo, cioè quando ci salva da condizioni di estremizzazione emotiva… allora, che ben venga! Si tratterebbe, infatti di una forma di tutela del genere umano.

Quindi, la causa dei nostri guai, non è quello che ci accade ma, piuttosto, come ci raffrontiamo agli eventi. Belli o brutti che siano.

La fretta domina il nostro tempo. L’agire frenetico è la cifra stilistica cui molti cercano di conformarsi, imitando personaggi che i media considerano di riferimento.

Capita, pertanto, se ci solleviamo “e superiore loco” (sia pure per un tempo breve), di osservare questo formicaio “umano” tutto agitato e dinamico alla ricerca di non si sa cosa.

Il lavoro frenetico è frutto di una “filosofia” di vita del nostro sistema, ove in parecchi posti scatta uno spirito aggressivo che favorisce la guerra di tutti contro tutti. La carriera viene costruita con una agitazione che favorisce stress pericolosi. La giornata scorre tra pericolosi sbalzi di umore e di pressione

Il motto che lo storico Svetonio attribuisce all’imperatore Augusto in latino, viene declinato “Festìna lente”:  Affrettati lentamente. Un invito a procedere con un agire “controllato” perché la velocità e la lentezza in tanto hanno valore in quanto agiscono in armonia tra loro.

La salute si basa sulla felicità: dall’abbracciarsi e fare il pagliaccio al trovare la gioia nella famiglia e negli amici, la soddisfazione nel lavoro e l’estasi nella natura delle arti. (Patch Adams)

Basilare, quindi, è che colui che corre sappia perché lo fa. Per saperlo deve rallentare per riflettere e solo con questa operazione scatta una consapevolezza su quel che si fa e perché lo si fa.

Luigi Pirandello ci ricorda, col suo “Il treno ha fischiato” il bisogno di una libertà che non può essere troppo a lungo soffocato.

Cari Lettori, il senso dell’Immagine di copertina, può essere ritrovato nel particolare testo cantato dai fratelli Edoardo ed Eugenio Bennato, in uno dei momenti più tristi di questo secolo.

Se è vero che nella vita ci sono un’alba e un tramonto e, noi,  possiamo scegliere se essere protagonisti o spettatori, quello che ci rende le cose difficili deriva dal fatto che, siamo “come farfalle che battono le ali per un giorno pensando che sia l’eternità”.

Per uscire da questo “pozzo artesiano”, forse dovremmo ricordare che, dove si crea un’opera, dove si continua un sogno, si pianta un albero, si partorisce un bimbo, là opera la vita e si è aperta una breccia nell’oscurità del tempo.

LA REALTÀ, NON PUÒ ESSERE QUESTA

La realtà, è tutta in questa stanza, nella rete che annulla ogni distanza.

La realtà, è fuori dal balcone, nella rete che diventa una prigione.

La realtà, è tutta l’illusione di chitarre che suonano da sole, nel silenzio di nessuna festa.

La realtà, non può essere questa.

Questo amore non può esser virtuale: ha bisogno di parole, di parole sussurrate e di parole che, tu sola, puoi sentire

Ha bisogno delle strade e di tutto il mondo da scoprire

La realtà, è correre nel vento, nella gara di nessun traguardo, nell’amore che sventola nel porto.

La realtà non può essere altro e non può rinunciare ai sogni

E sognare, le parole nuove di coscienze pronte a dire basta

La realtà, è tutta da rifare.

È la vita che non si può fermare e che canta la sua ribellione alla rete, che diventa una prigione.

E non basta, vivere l’illusione di chitarre che suonano da sole nel silenzio di nessuna festa

La realtà non può essere questa

“E così devi accettare che non puoi spegnere il male del mondo da solo. Ma ogni giorno puoi avere cura del pezzo di creato che ti ospita, del presente che stai vivendo, dello spazio in cui cammini e di chi lo abita con te. Non puoi fermare una guerra, ma costruire un piccolo riparo per un fiore, per un gatto randagio, per un ramo fratturato che ha ancora la vita dentro, quello lo puoi fare sempre, se impari di nuovo a vedere e a sentire. Ed è il compito più grande che abbiamo: amare quel che c’è, sentire che la vita è una, dentro ogni cosa”. (Giulia Calligaro)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la collaborazione offerta