Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Oggi vogliamo parlare di un termine linguistico poco conosciuto perché ignorato dai sacri testi o, per lo meno, non trattato sufficientemente: la diatesi.
Non lasciatevi “intimorire” dal nome, che forse sentite per la prima volta, l’argomento è piú semplice di quanto si possa immaginare. Con il termine “diatesi”, tratto dal greco “diàthesis”, derivato di “diatithémai” (’disporre’), composto di “día” (attraverso) e “dithèmai” (porre), si intende il genere del verbo e la sua “disposizione” attraverso le sue flessioni. Cerchiamo di spiegarci meglio. La diatesi indica la categoria grammaticale del verbo che esprime il rapporto di relazione che intercorre tra il verbo stesso e il soggetto agente e a cui corrisponde una flessione verbale specifica. La diatesi, insomma, in termini “terra terra”, è la comune forma di un verbo, che può essere attiva, passiva e riflessiva e indica – come si diceva – il rapporto del verbo con il soggetto e l’oggetto. Semplice, no? La diatesi è attiva, quindi, quando il soggetto coincide con l’agente dell’azione (il medico visita l’ammalato); passiva quando l’agente non è il soggetto stesso (il malato è visitato dal medico); riflessiva quando l’azione ricade sul soggetto che diventa, nello stesso tempo, oggetto (Giulio si lava).La diatesi passiva e quella riflessiva – ci sembra superfluo ricordarlo – si possono avere solo con i verbi transitivi: lodare, “sono lodato” (diatesi passiva); lavare, “mi lavo” (diatesi riflessiva). A questo punto non si confonda, per carità, la diatesi linguistica con quella medica (l’”origine etimologica” è la medesima), che è la “disposizione”, vale a dire la capacità individuale di ogni corpo a contrarre, sopportare e superare ogni malattia. Da parte nostra, cortesi amici, ci auguriamo che voi siate in grado di “diatesizzare”, cioè di sopportare pazientemente le nostre modeste disquisizioni sulla lingua.
A cura di Fausto Raso
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.