Posted on

La “collana” sull’Amore che vi proponiamo, prende origine dall’Opera Omnia “Il sofferto bisogno di amare” e si offre come spunto per le brevi riflessioni video del canale YouTube “infinito presente”. Nessuna velleità di apparire come una guida per vivere meglio ma, soltanto, un’occasione per provare a ritrovare la via, incisa in ognuno di noi, che ci ha permesso di sorridere ogni volta che abbiamo incrociato gli occhi di chi ci ha amato veramente.

In questo secondo incontro: l’imprinting nelle relazioni amorose

BUONA LETTURA

Quando ti bacio

non è solo la tua bocca

non è solo il tuo ombelico

non è solo il tuo grembo

che bacio

Io bacio anche le tue domande

e i tuoi desideri

bacio il tuo riflettere

i tuoi dubbi

e il tuo coraggio

il tuo amore per me

e la tua libertà da me

il tuo piede

che è giunto qui

e che di nuovo se ne va

io bacio te

così come sei

e come sarai

domani e oltre

e quando il mio tempo sarà trascorso

(Erich Fried)

Nell’incontro precedente, abbiamo iniziato a sollevare il velo che oscura un po’ quel fantastico e sofferto mondo nel quale siamo cresciuto prima di venire al mondo e nel quale vorremmo rientrare alle medesime condizioni passando, però, di frustrazione in frustrazione…

Perché non è facile amare ed essere amati…

Umanamente parlando, però, innamorarmi significa sentire un leggero dolore (a cui non rinuncerei mai) come quando, correndo lungo il perimetro di un campo di calcio, in una fredda sera d’inverno del 1980, cercavo con gli occhi la Stella Polare, per localizzare il Nord dei miei sentimenti e sperare che ci fosse qualcuno in grado di scioglierne il “duro” rivestimento protettivo…

Vorrei un uomo…

“Vorrei un uomo che mi accolga per come sono e non per come vorrebbe che fossi… Che comprenda le mie paure senza dover necessariamente darmi sicurezza, ma solo contento di sentirle. Che sappia farsi posto nel mio letto senza farmi sentire braccata, che voglia dormire con me d’estate con la finestra aperta per vedere solo le stelle. Che mi prenda per mano per strada… anche quando sono in preda all’ansia. Che mi sappia aspettare. Che apprezzi il mio desiderio di trasmettere tutto l’amore che porto dentro. Che sia divertito dai miei cambiamenti di umore, che si faccia dare una mano quando tentenna. Che rispetti il mio silenzio, che mi dia la possibilità di saper rispettare il suo silenzio. Che riesca a dare una voce diversa ad uno stato d’animo mio, suo… che diventi nostro. Che mi dica, senza aver paura di condizionarmi, che sto facendo la cosa giusta. Che le mie insicurezze non è necessario nasconderle o scriverle fra le righe. Che accetti l’idea di invecchiare e mi aiuti a superarne la paura. Che sia contento di quanto sono orgogliosa di lui. Che mi sappia insegnare a piangere, di nuovo”. (Fernanda Annesi)

Io come donna…

“Arriverei con le braccia aperte, per lasciare esprimere il mio senso di accoglienza. Potrei essere un rifugio nelle notti di tempesta, un raggio di sole fra le nuvole minacciose, una leggera folata di vento nella calura dell’estate. Lascerei che si affacciasse dalla mia finestra preferita e vedesse quello che vedo io, con i miei occhi. Ecco, gli donerei il mio sguardo quando la luce accecante del sole lo abbaglia impedendogli di vedere. Lo ascolterei anche se fossi stanca, lo spronerei quando sente di cadere, rimarrei dietro la cabina della doccia quando si prepara, forse perchè in quel momento gli vengono le migliori idee e, io, sarei lì ad ascoltare. Vorrei godere del suo piacere e vorrei che sentisse come esplode il mio piacere insieme a lui. Farei l’amore con lui senza che abbia il timore di dovermi dimostrare qualcosa. Gli darei il buonumore. Gli starei accanto, sforzandomi di capire quando sfugge. Cercherei di non metterlo con le spalle al muro. Cucinerei i miei piatti migliori e accetterei le critiche, anche se un po’ ci rimarrei male. Comprerei dei vestiti per lui. Lo farei sentire libero. Ma con la voglia di tornare“. (Fernanda Annesi)

La sincronia tra la mente del bambino e quella della madre è stata fotografata grazie alla scansione elettronica del cervello ed è la stessa sincronia registrata, proprio, tra gli innamorati.

L’IMPRINTING NELLE RELAZIONI AMOROSE

Solo attraverso il volto dell’altro, io posso incontrare il mio volto. Solo attraverso la presenza dell’altro, posso costruire la mia vita.

Osserviamo, per un attimo, la bellissima immagine su riportata: una madre che osserva il bambino che, a sua volta, si “perde” nella mamma.

Questo “momento” dà il via al meccanismo del “rispecchiamento”, per cui, la mamma, entrando, attraverso la profondità dello sguardo, nel mondo del proprio figlio, vi ritrova (quasi alchemicamente) il suo essere stata bambina e risperimenta esperienze sopite. A seguito di ciò, gli ritrasmette la gratitudine emotiva per averle donato la possibilità di riprovare momenti che credeva perduti per sempre.

Guarderò attraverso la finestra dei tuoi occhi, per poter riconoscere me (Cit.)

La qualità della vita amorosa, quindi, risente dell’eco delle prime esperienze di vita dell’individuo.
Quella magica sfera di “fusionalità” con la propria madre, o con qualcuno che ne surroghi le funzioni, consente al bambino di sentirsi importante e centrale, ed è il fattore indispensabile per sviluppare la fiducia di base in sé e in chi si troverà di fronte, rappresentando, di fatto, le fondamenta di una gratificante relazionalità successiva.

La madre, infatti, (se tutto va come deve andare) dona al bambino una percezione (inconsapevole ma valida) narcisistica e libidica, che colorirà tutte le relazioni future, comprese quelle amorose.

Ci vuole un lungo periodo per in contrare “veramente” un “altro” perché, anzitutto, bisogna riconoscere l’altro, come “qualcosa” di diverso da noi.

Nel mondo delle nostre rappresentazioni interne (immaginazione inconsapevole), l’altro viene ad essere percepito come un “qualcosa” (prima che un “qualcuno”) verso cui non  sempre si “investe” (sotto forma di attenzioni, interesse, empatia) e che, quindi, non può essere considerato come “altro” da noi.

Noi cerchiamo, nell’altro, degli aspetti che possono soddisfare dei nostri bisogni, sia nel dare che nel ricevere.

Se abbiamo bisogno di relazionarci, cerchiamo il contatto psicologico; se esistono carenze (affettive, sociali, etc.), l’altro diviene occasione di compensazione.

C’è un però…

Se questa “fusione” con la mamma non è transitoria ma dura nel tempo (eccessive cure e attenzioni maternali) il figlio potrebbe non sviluppare una sfera di autonomia di pensiero e  di comportamenti.

In pratica, è come se il bambino arrivasse a questa paradossale conclusione: “Senza mamma non esisto. Ma, anche con Mamma (e per mamma) io non esisto!”

Infatti, la madre, senza rendersene conto (continuando a portare il proprio figlio all’interno di un simbolico marsupio) è come se gli negasse (non riconoscendogliela) la possibilità di una dimensione relazionale propria non consentendogli la percezione di un “altro” da considerare ed eventualmente, da amare.

A queste condizioni, all’interno di una relazione di coppia non si riuscirebbe a “vedere” il partner ma, purtroppo, quel genitore che ha “ingabbiato” il proprio figlio.

In questo caso, ogni decisione sarebbe sì di coppia, ma non di quella formata dai due partner, bensì di quella composta dal genitore-figlio (coppia che sarà molto più resistente e impermeabile ai condizionamenti esterni.

Un’altra problematica legata all’ancestrale fusione disfunzionale con la propria madre potrebbe essere quella di una costante angoscia di abbandono che indurrebbe ad accettare qualsiasi “contratto” relazionale: un esempio è rappresentato dalle relazioni cosiddette “sadomasochistiche”

In questi casi, la persona è convinta che offrendo al partner ogni vantaggio e accettandone tutti i comportamenti (anche negativi), questi non la abbandonerà, certa che lui non ne troverà mai un’altra sottomessa e ubbidiente.

Poi ci sono anche i casi dei traditori seriali, che vanno alla spasmodica ricerca di una specie di perfezione irraggiungibile (“sé” perfetto, “partner” perfetto, “relazione” perfetta, impossibilitati ad integrare armonicamente i vari aspetti del Sé e dell’altro, nonché l’ambivalenza affettiva fisiologicamente insita in ogni relazione): questo, li porterà ad intessere più relazioni contemporaneamente, nell’ingorda illusione di poter raggiungere così la perfezione e la completezza. In realtà, saranno afflitti, sempre più, da una insostenibile paura della solitudine… per una distanza estrema dal contatto con il proprio “Sé”.

Qualcuno sostiene che la pittrice Frida Kahlo rappresenti il simbolo della riappropriazione di sé, delle cicatrici e dei dolori bagaglio di ogni donna, con l’elevazione di tutto questo, a manifestazione artistica.

Nonostante le difficoltà che incontriamo in questo sofferto (e spesso incompreso) bisogno di amare, la speranza per noi umani è quella di poter contare, in un modo o nell’altro, nella grandezza di quello che, senza saperlo, siamo capaci.

“Ho smesso di contare le volte in cui, arrivata alla seconda riga, ho cancellato e riscritto tutto nuovamente. Cercavo un inizio ad effetto, qualcosa di poetico e vero allo stesso tempo, qualcosa di grandioso, ma agli occhi. Non ci sono riuscita. Poi ho capito, ricordando ciò che non avevo mai saputo: che per i grandi cuori che muoiono nel corpo ma che continuano a battere nel respiro della notte, non ci sono canoni o bellezze regolari, armonie esteriori, ma tuoni e temporali devastanti che portano ad illuminare un fiore, nascosto, di struggente bellezza (Frida Kahlo)

Questo video riassume, semplificandoli, i contenuti finora espressi, offerti con una delicata base musicale. Buona “degustazione”

Arrivederci alla prossima puntata dal titolo “Pensavi fosse Amore: sicuro che non fosse un Calesse?”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *