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Quando un soldato “cade” su un campo ostile… un bambino malato si spegne, cercando la mano di chi gli vuol bene… un tiranno opprime un popolo, convinto che sia per il suo bene… ogni volta che il malaffare abbatte il corretto funzionamento della cosa pubblica… Tutte le volte che, chi fugge da luoghi di barbarie, viene respinto oltre confine… ecco, proviamo a domandarci:“Perché?”

Arthur Schopenhauer, sosteneva che “il medico vede l’uomo in tutta la sua debolezza, l’avvocato in tutta la sua cattiveria, il parroco in tutta la sua stupidità”

Cari Lettori, un po’ di sere fa, al termine di uno dei convegni cui ci capita di essere invitati, passeggiando sotto un cielo stellato abbiamo rivissuto i contenuti emozionali di quanto avevamo ascoltato (da bambini) dalle nostre madri le quali, abbracciandoci stretti, ci ricordavano, che non conta il successo raggiunto ma è importante che (nel mentre) non si smarrisca la capacità di rischiare tutto quello che si è ottenuto per trovare nuovi sogni nel proprio cuore o se, per caso, dopo i tanti tradimenti della vita, ci si è rinchiusi per paura del dolore futuro.

E osservando la luce della luna riflessa nella rugiada della tarda ora, ci siamo chiesti se le nostre rispettive madri sarebbero state fiere di figli come noi, nello scoprire quanto siamo riusciti a mantenere il calore della loro presenza nei nostri personali momenti di solitudine (ad esempio), senza perdere di vista il piacere della solidarietà.

A quel punto, abbiamo concluso che, probabilmente, il problema diventa il “noi”, nel rapporto dell’io con l’altro. L’egoismo dell’io!

Considerate se questo è un uomo. Che lavora nel fango. Che non conosce pace. Che lotta per mezzo pane. Che muore per un sì o per un no… (Primo Levi)

Osservando tutti i fatti del mondo, soprattutto quelli che si rincorrono in questo particolare momento storico, ciò che colpisce (e, a volte, snerva) risiede nel fatto che ognuno porta avanti la propria verità la quale collide, però, con la verità dell’altro.

Tutto questo intossica il tempo che dobbiamo trascorrere durante il tragitto che percorriamo in quel miglio verde che ci separa dalla nascita alla morte. Si è vero, esistono parametri oggettivi cui appellarsi salomonicamente. Ma la logica universale, è applicabile (in un contesto dialogico) solo quando tutti i partecipanti al discorso sono d’accordo a seguirne i principi.

In caso contrario la si usa lo stesso: si abbattono i conflitti interiori ma non le diatribe con gli altri.

Forse dobbiamo ammettere che, alla fine dei conti, scopriamo di non avere mai avuto degli amici. Probabilmente, solo dei complici. Terminato il momento di condivisione di obiettivi, nella migliore delle ipotesi, ci si ignora.

È questa la verità?

Cari Lettori, siamo nel periodo in cui scatta la “Giornata della Memoria” e ci chiediamo ogni anno se, in questo mondo indifferente ed edonista, abbia senso ricordare.

Pensiamo fermamente di sì perché l’uomo è nello stesso tempo Caino e Abele e solo   stigmatizzando la parte belluina e oscura che è in noi, potremo, al termine di una grande fatica e un forte lavorio interiore, far  emergere atti e comportamenti che hanno a che fare col bello e il bene.

Anton Cechov, nel 1890 si recò verso l’isola – prigione di Sachalin per documentare le condizioni in cui vivevano i detenuti. Perché? Dal bellissimo libro che ci ha lasciato al riguardo (pubblicato da Adelphi) scopriamo che Cechov è convinto che “l’uomo diventerà migliore quando gli avremo mostrato come è”.

Ricordare per sapere, ricordare per migliorare noi stessi e gli altri.

La società civile si è chiusa e comincia a guardare in modo distratto ed indifferente ai temi della Shoah.

Liliana Segre ha dichiarato qualche giorno fa, in modo lucido e sconfortato, che tra qualche anno sulla Shoah nei libri di storia “ci sarà solo una riga e poi più neanche quella”.

La storica Anna Foa ha, su La Repubblica (del 24 gennaio), ripreso quanto affermato dalla Senatrice a vita e aggiunto amaramente “Credo che la memoria di ciò che è accaduto sia destinata all’oblio, anzi in parte questo oblio c’è già, e i segnali sono molteplici :se è possibile che in Italia si facciano dichiarazioni apertamente fasciste, se è possibile un’aggressione in territorio europeo come quella Russa all’Ucraina, se è possibile che persino in Israele ci siano esponenti politici che non hanno paura di dichiararsi omofobi e razzisti, allora dobbiamo chiederci: cosa serve ricordare? “

Il limite di questi anni è aver chiuso e circoscritto questa memoria, quasi come se il genocidio riguardasse solo gli ebrei.

Avremmo dovuto capire – osserva Anna Foa – che il genocidio “riguardava molto più degli ebrei, riguardava il mondo, chi l’aveva perpetrato e chi era rimasto indifferente, riguardava tutti “.

La Shoah è un monito – deve essere un monito – perché niente di simile succeda non solo agli ebrei, ma a chiunque.

La memoria è uno strumento molto strano, uno strumento che può restituire, come il mare, dei brandelli, dei rottami, magari a distanza di anni. (Primo Levi)

Ci furono dopo la seconda guerra mondiale decenni di silenzio.

Non un silenzio completo. Fu pubblicato Se questo è un uomo” di Primo Levi e uscirono sette memorie di donne deportate. Una grandissima finestra per guardare una orrenda tragedia che non dobbiamo dimenticare.

Testi come quello di Primo Levi ci hanno permesso di entrare in un inferno di dolore e orrore.

Ma come è stato possibile tutto questo?

Inesorabile ci viene alla memoria la tremenda espressione di Anna Arendt: la banalità del male.

Tutto è stato possibile perché un numero alto di burocrati, persone a casa assolutamente “normali”, ubbidendo ad ordini scellerati, ha consentito che si sviluppasse la catena dell’orrore.

La musica ha cercato di darci una idea di quel terribile periodo.

Come ricorda Corrado Augias (La Repubblica del 27 gennaio) è stato il grande scrittore Milan Kundera ad affermare che “Un sopravvissuto di Varsavia”, un oratorio di Arnold Schoenberg, è il più grande monumento che la musica abbia mai dedicato all’Olocausto.

Ci si batte perché gli assassini non vengano dimenticati.

L’oratorio dura sette minuti e in così poco tempo Schoenberg genialmente è riuscito a condensare, osserva Augias, incubo, dolore, paura, l’incombere di un destino ineluttabile.

Nessuna musica “classica” potrebbe interpretare un orrore di proporzioni immani sconosciuto ai tempi che furono.

La musica di Schoenberg, coeva al dramma, entra nell’abisso della umana ferocia.

Scrive Corrado Augias da par suo: “Sette minuti di musica, voce recitante, coro maschile e orchestra, niente più di questo, sette minuti che non è esagerato definire sconvolgenti nella loro stridula, dissonante struttura dodecafonica, con un organico orchestrale ricco di percussioni (xilofono, tamburo rullante, glockenspiel, nacchere, tra le altre) con la voce del narratore che per farsi udire supera l’ordinato caos dei suoni… “

La voce che è un grido, un silenzio, un affanno, un disperato sussurro.

Testimonianze, libri, musica sono qui ad ammonire che mai dovremo dimenticare,

Perché un domani nulla di questa ferocia abbia mai a ripetersi.

La vera educazione civica va realizzata attraverso azioni. Basilari sono i luoghi della memoria.

C’è chi fin là Non giunge mai: è lì che muore il mondo… Periferia, dove vivere è un terno alla lotteria… dove un miracolo è un pane in più, un giorno in più, che strappi tu! Periferia… Qui non è mai Natale, la noia qui non ha pietà! Sporchi stracci senza sorte… Morte, dove sei?”(Renato Zero).

Sul finire del 2019, nell’era Pre -COVID, un cucciolo di gatto, a cui abbiamo dato il nome di Greta, ha deciso di “adottare” la nostra “Neverland (sede, tra l’altro, di questo Web Magazine), trasformandola in una sorta di “famiglia allargata” in cui, tutti, siamo diventati migliori nel prenderci cura di lei, gravemente ammalata. 

Questo micio è diventato, in breve tempo, la mascotte non solo di Neverland ma dell’intera complesso condominiale e, molti, ogni giorno, trascorrevano del tempo con lei lasciandosi andare ad effusioni che, altrimenti, sarebbero rimaste “ghiacciate” in qualche ripostiglio dell’anima.

L’ultima sera di vita, Greta, ascoltando il pianto che, una persona addolorata, stava trasmettendo via Skipe, è “salita” a guardare chi stesse soffrendo.

L’interlocutore, colpito dalla scena, ha scattato la foto dal suo telefono

Greta, quella notte ha oltrepassato “il ponte dell’arcobaleno”  ma, quella persona, da allora, ha capito che non avrebbe dovuto e potuto più buttarsi via.

Il micio è volato via nella notte fra Natale e Santo Stefano dello stesso anno e, chiunque l’abbia conosciuto, si è sentito orfano di un bene affettivo.

In quel periodo di intima vicinanza felina ci siamo rivisti in una sorta di proiezione / identificazione e, nei suoi occhi, distinguevamo la solitudine personale e quella di tutta un’Umanità ferita.

Un’attimo dopo il suo “volo” ci siamo domandati se, per caso, non stessimo offendendo (con queste emozioni sofferte) chi si trova in situazione di stress post traumatico conseguente alla perdita di un’Amore come, ad esempio, quel genitore che assiste allo “spegnersi” di un figlio, senza poter far nulla…

Ma, Greta, non era solo un gatto. Ha rappresentato il simbolo di chi, sfortunato, chiede aiuto confidando in una tua irreale onnipotenza, evidenziando tutta la tua reale impotenza…

E’ strana la memoria. Ci sono persone di cui non ricordiamo più il viso ma di cui sentiamo ancora il cuore. (Fabrizio Caramagna)

La Scienza ci spiega che, i fattori ambientali, incidono sulla capacità del DNA di esprimere i contenuti che governano il nostro stato di salute o di malattia. Ebbene, al freddo della certezza della iniqua insicurezza, cominciamo a spiegarci il perché di tanti malanni, fisici e dell’anima….

L’uomo (e la donna) di ieri, basava i suoi sistemi di vita su valori che davano “luce” nei momenti difficili e che, oggi, non ci sono più. Il problema aggiuntivo consiste nel fatto che, chi soffre per questo vuoto profondo, cerca figure su cui poter poggiare che, alla lunga, si rivelano inefficaci, incapaci o, addirittura, controproducenti.

C’è differenza fra equilibrio, maturità e saggezza?

Per settimane e settimane, a volte col sole primaverile, a volte con la neve alta un metro fuori dalla porta e i lecci e i rododendri come immobili giganti di ghiaccio, sono stato ospite di un utraottantenne, coltissimo indiano che, nella sua vita non ha fatto nient’altro che riflettere sul senso della vita e che, dopo aver incontrato tutti i grandi maestri del suo tempo, vive lì da solo, convinto che il vero, grande maestro, sia quello che ognuno si porta dentro. La notte, quando il silenzio è talmente denso che sembra rimbombare, si alza, accende una candela e ci si siede dinanzi per un paio d’ore. A che fare?”

“A cercare di essere me stesso, a sentire la melodia. Tutte le forze, quelle visibili e quelle invisibili, quelle tangibili e quelle intangibili, quelle positive e quelle negative, hanno fatto sì che noi due, in questo momento potessimo sederci qui, dinanzi al camino, a bere il the!”

“E la melodia?”

“Non è facile. Bisogna prepararsi e, a volte, la si sente: è la melodia che vien da dentro, la vita che sostiene tutte le vite, la vita dove tutto ha il suo posto, dove tutto è integrato: il bene e il male, la salute e la malattia, la vita interna… dove non c’è nascita e non c’è morte!” (Da “Un altro giro di giostra” – Tiziano Terzani – Tea Ed. 2010)

Cari Lettori, la suggestiva immagine di copertina disegna, in primo piano, uno dei nostri più probabili “antenati”, simbolo alchemico di trasformazioni e trasmutazioni, dialogo tra gli strati superiori ed inferiori della coscienza secondo dinamiche di congiungimento: lo “Scimmione Saggio

Il Filosofo, Fisico, Genetista Edoardo Boncinelli si è chiesto: Che animale è un Homo sapiens? Cosa lo distingue dagli altri? La libertà? Oppure questa è un’illusione? Sono domande che ci poniamo da secoli

Nel Novecento, tutto è sembrato dipendere dai geni; i progressi delle neuroscienze hanno spostato questa “indagine” all’interno del cervello, creando una nuova concezione di libertà: non più un dono dato per scontato ma, semmai, un processo strettamente legato alle nostre azioni.

Cari Amici Lettori, noi nasciamo (di solito) coi pugni chiusi. Forse per lo sforzo del momento, probabilmente perché siamo arrabbiati per essere stati costretti a lasciare un luogo di pace e accoglienza… qualcuno sostiene che, questo, sia dovuto al fatto che, TUTTI, nasciamo con le mani piene di doni, quelli che la vita ci affida. Fra questi: purezza, curiosità, determinazione, Logica, bellezza interiore.

Naturale, quindi, provare a trattenerli.

Poi, però, gli eventi che disilludono, un po’ alla volta, ci fanno aprire le mani e, conseguentemente, quella ricchezza di partenza, ci sfugge come sabbia fra le dita. E, con essa, anche i sogni che le avevamo affidato.

Ogni tanto, però, capita di sentire (come se provenisse dal sottofondo dell’anima) una specie di musica celestiale. Probabilmente è la nostra, personale, Stella Polare che ci ricorda ciò che avrebbe potuto essere ma non è stato: è in queste circostanze che nasce la malinconia esistenziale, con un certo retrogusto di nostalgia, per i ricordi che hanno scaldato momenti importanti…

Possiamo lasciarci andare, oppure REAGIRE…

Ecco, ricordiamoci (dopo aver provato la gioia di dare e ricevere carezze, espressione del prenderci cura) di serrare, nuovamente, i pugni e andiamo incontro al nostro giorno: i granelli rimasti nei nostri palmi, si moltiplicheranno, come per miracolo, alla stregua dei pani e dei pesci di antica memoria ma soprattutto, chi ci vedrà, potrà affermare…

“Si, questo è un UOMO”!

Adesso basta sangue

Ma non vedi?

Non stiamo nemmeno più in piedi

Un po’ di pietà

Invece tu, invece fumi

Con grande tranquillità

Così sta a me

A me che debbo parlare, fidarmi di te

Domani, domani

Domani chi lo sa che domani sarà

Oh-oh, chi non lo so quale Dio ci sarà

Io parlo e parlo solo per me

Va bene, io credo nell’amore

L’amore che si muove dal cuore

Che ti esce dalle mani

E che cammina sotto i tuoi piedi

L’amore misterioso anche dei cani

E degli altri fratelli animali

Delle piante che sembra che ti sorridono

Anche quando ti chini per portarle via

L’amore silenzioso dei pesci

Che ci aspettano nel mare

L’amore di chi ci ama e non ci vuol lasciare

Ok (ok), lo so che capisci

Ma sono io che non capisco cosa dici

Troppo sangue qua e là sotto cieli di lucide stelle

Nei silenzi dell’immensità

Ma chissà se cambierà

Oh, oh, non so

Se in questo futuro nero buio

Forse c’è qualcosa che ci cambierà

Io credo che il dolore

È il dolore che ci cambierà

Oh ma, oh il dolore che ci cambierà

E dopo chi lo sa

Se ancora ci vedremo e dentro quale città

Brutta, fredda, buia, stretta o brutta come questa

Sotto un cielo senza pietà

Ma io ti cercherò

Anche da così lontano ti telefonerò

In una sera buia, sporca, fredda

Brutta come questa

Forse ti chiamerò perché vedi

Io credo che l’amore, è l’amore che ci salverà

Vedi io credo che l’amore è l’amore che ci salverà

Cari Amiciall’inizio di ogni anno si formulano tanti buoni propositi. Auguriamo, a tutti, di aprire (senza il timore di soffrire) il proprio cuore per godere di quei valori semplici e importanti capaci di colorare il Presente senza la paura del Futuro. Perchè, se riusciremo ad essere delle brave persone, qualcuno ci aiuterà a trasformare in un “giardino” il luogo che ci ricorderà per sempre. Così come è il giaciglio dentro il quale riposa Greta.

BUONA VITA, A TUTTI.

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto per la collaborazione offerta e a Mariella Cipparrone per la cura e la dedizione verso ogni essere senziente

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